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Catalizzatore di Lindlar

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Il catalizzatore di Lindlar, anche noto come palladio di Lindlar è un catalizzatore eterogeneo costituito da palladio supportato su carbonato di calcio avvelenato da tracce di un sale di piombo come l’acetato di piombo e parzialmente disattivato con chinolina. Un catalizzatore “avvelenato” è meno efficiente ma più selettivo ed infatti viene usato nell’idrogenazione catalitica degli alchini. Questi ultimi anche in presenza di quantità equimolari di idrogeno gassoso danno luogo alla formazione di una miscela di alcheni e alcani in presenza di catalizzatore come Pt , Pd o Ni.

I normali catalizzatori, infatti, producono la reazione di idrogenazione sia sugli alchini sia sugli alcheni, quindi la riduzione degli alchini con un eccesso di H2 porta direttamente agli alcani senza che gli alcheni intermedi vengano isolati.

In presenza di un catalizzatore di Lindlar che limita la normale attività del palladio l’idrogenazione porta all’alchene.

lindlar

Inoltre i due atomi di idrogeno si legano dalla stessa parte rispetto all’alchino lineare formando alcheni cis e la reazione è quindi una syn-addizione di H2 al triplo legame ed avviene in un unico stadio sulla superficie del catalizzatore contrariamente a quanto avviene nel caso in cui l’idrogenazione avvenga in presenza di Na/NH3 che dà luogo alla formazione di trans alcheni.

Analogamente al Nichel Raney il catalizzatore di Lindlar è costituito da un metallo opportunamente trattato per ottenere un determinato prodotto di reazione.


Numero di ossidazione nei complessi

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Un composto di coordinazione è costituito da uno ione metallico, spesso metallo di transizione, detto centro di coordinazione intorno al quale sono presenti molecole o anioni detti leganti. I leganti sono uniti all’atomo centrale tramite legami covalenti coordinati.

Molti atomi, compresi quelli che hanno elettroni nell’orbitale d, come i metalli di transizione abitualmente presenti nei composti di coordinazione, possono avere diversi numeri di ossidazione.

I leganti sono basi di Lewis in quanto sono donatori di elettroni allo ione centrale che, in quanto accettore di elettroni è un acido di Lewis. I composti di coordinazione possono essere positivi come [Ag(NH3)2]+ , negativi come [Fe(CN)6]4- o neutri come [CoCl3(NH3)3]

Per conoscere il numero di ossidazione dello ione centrale si deve considerare la carica di ogni legante e la carica complessiva nel caso il complesso non sia neutro.

Si devono tenere presenti le seguenti regole:

1)      Nei complessi neutri la somma delle cariche dei leganti e quella dello ione centrale è pari a zero.

Ad esempio nel caso di [CoCl3(NH3)3] tenendo presente che: NH3 è una molecola neutra, il cloro è presente come Cl- ed ha pertanto numero di ossidazione -1 e nel complesso sono presenti 3 Cl- si può ottenere il numero di ossidazione del cobalto. Detto x tale numero si ha: x + 3(1-) =0 da cui x = +3

Nel caso di [Cr(H2O)5NH3]Cl2

2)      Nei complessi positivi la somma delle cariche dei leganti e quella dello ione centrale è pari alla carica del complesso.

Ad esempio nel composto di coordinazione [Cu(NH3)4]2+ tenendo conto che NH3 è una molecola neutra, il rame ha numero di ossidazione +2.

Nel caso del composto di coordinazione [Co(NH3)5Cl]2+, tenendo conto che NH3 è una molecola neutra, e che il cloro è presente come Cl- ed ha pertanto numero di ossidazione -1 detto x il numero di ossidazione del rame si ha: x – 1 = 2 da cui x = +3

3)      Nei complessi negativi la somma delle cariche dei leganti e quella dello ione centrale è pari alla carica del complesso

Ad esempio nel composto di coordinazione [Fe(CN)6]4- tenendo conto che lo ione CN- ha carica -1 detto x il numero del ferro si ha: x + 6( -1) = -4 da cui x = +2

Nel caso del composto di coordinazione [CuCl4]2- tenendo conto che il cloro è presente come Cl- ed ha pertanto numero di ossidazione -1 detto x il numero di ossidazione del rame si ha: x + 4( -1) = -2 da cui x = +2

Vi sono poi composti di coordinazione che presentano una maggiore complessità.

Ad esempio nel caso di [Co(NH3)5CO3]Cl si deve per prima cosa trovare la carica totale all’interno della parentesi quadrata che nel caso in specie, tenendo conto che NH3 è una molecola neutra e che lo ione carbonato ha carica -2 detto x il numero di ossidazione del cobalto si ha che la carica è pari a x -2. Il cloro è presente come Cl- ed ha pertanto numero di ossidazione -1 pertanto il complesso può essere scritto come [Co(NH3)5CO3]+ e quindi rientra nell’ambito dei complessi positivi di cui al punto (2. Pertanto x – 2 = +1 quindi x = +3.

Un altro caso è fornito dal complesso K2[OsCl5N]: la carica totale all’interno della parentesi quadrata, detto x il numero di ossidazione dell’osmio è  x -5 e, tenendo conto che il potassio è presente come K+, il complesso può essere scritto come [OsCl5N]2-  e quindi rientra nell’ambito dei complessi negativi di cui al punto (3. Pertanto x – 5 = -2 e quindi x = +3.

Nitrocomposti

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I composti organici contenenti il gruppo funzionale nitro –NO2 legato a un atomo di carbonio detti nitrocomposti sono una classe di composti ampiamente diffusi con elevata reattività e pertanto possono facilmente rappresentare intermedi sintetici per l’inserimento di molti gruppi funzionali.

I nitrocomposti vengono denominati con il nome dell’alcano preceduto dal prefisso nitro e con l’indicazione della posizione del nitrogruppo: così CH3NO2 è detto nitrometano e CH3CH(NO2)CH3 è detto 2-nitropropano.

Il nitrogruppo è stabilizzato da due forme limite di risonanza equivalenti in cui l’azoto ha una carica positiva mentre la carica negativa è equamente ripartita tra i due atomi di ossigeno:

nitrogruppo

Il nitrogruppo è polare ed è un elettronattrattore sia per effetto induttivo che per effetto di risonanza.

Il gruppo –NO2 presenta una tautomeria simile alla tautomeria cheto-enolica tipica dei composti carbonilici ovvero la tautomeria aci-nitro

aci-nitro

Nei nitrocomposti alifatici l’idrogeno in α ha natura acida per l’effetto elettron-attrattore del nitrogruppo e possono essere quindi strappati da una base forte con formazione di un anione che viene sfruttato in molte reazioni.

I nitrocomposti alifatici presenti in natura sono in prevalenza gassosi mentre quelli a peso molecolare più elevato sono liquidi. I nitrocomposti aromatici sono in genere liquidi di colore giallo che con il tempo tendono a scurirsi.

Sintesi

1)      Nitrazione di alcani

Gli alcani vengono fatti reagire con una miscela di acido nitrico concentrato. Tale metodo ha una scarsa resa nel caso si tratti di composti alifatici mentre ha una resa maggiore nei composti aromatici. Il meccanismo è di tipo radicalico:

nitrazione

2)      Reazione di iodoalcani con nitrito di argento

Questo metodo ha un’alta resa nel caso di composti alifatici mentre ha una bassa resa nel caso di composti aromatici:

CH3CH2I + AgNO2 → CH3CH2NO2 + AgI

3)      Ossidazione delle ammine con peracidi ed in particolare con l’acido peracetico e con l’acido trifluorometilperacetico

4)      Ossidazione delle ammine terziarie con permanganato di potassio

5)      nitrazione del benzene

La reazione avviene in presenza di acido nitrico e di acido solforico per ottenere in situ lo ione nitronio. Tale reazione è un tipico esempio di sostituzione elettrofila aromatica

nitrobenzene

Il nitrogruppo è un disattivante dell’anello benzenico ed è un meta direttore pertanto la nitrazione del benzene in presenza di acido nitrico fumante dà luogo alla formazione del m-dinitrobenzene.

Reazioni

Le reazioni dei nitrocomposti sono prevalentemente costituite da reazioni di riduzione che vanno studiate separatamente nel caso si tratti di nitrocomposti alifatici o di nitrocomposti aromatici. I nitrocomposti alifatici possono essere ridotti ad alcani per idrogenazione catalitica ad alta temperatura usando il platino quale catalizzatore:

RCH2NO2 → RCH3

In generale le reazioni di riduzione dei nitrocomposti possono essere rappresentate secondo lo schema generale:

R-NO2 → R-N=O → R-NH-OH → R-NH2

I nitrocomposti alifatici possono essere ridotti ad ammine per reazione con Sn e HCl:

CH3NO2 → CH3NH2

I nitrocomposti alifatici possono essere ridotti ad idrossilammine per trattamento con diborano:

CH3NO2 → CH3NHOH

I nitrocomposti alifatici possono essere ridotti ad ossime per trattamento con cloruro di stagno (II):

CH3NO2 → CH3-N=OH

II nitrobenzene viene ridotto ad anilina per reazione con Sn e HCl:

C6H5NO2 → C6H5NH2
II nitrobenzene viene ridotto a fenil idrossilammina per trattamento con zinco e cloruro di ammonio

idrossilammina

In ambiente alcalino, a seconda del reagente riducente, il nitrobenzene dà luogo alla formazione di azobenzene per trattamento con lo zinco e alla formazione di azossibenzene per trattamento con As2O3.

I nitrocomposti alifatici primari danno idrossilmammina e acido carbossilico se trattati con acido solforico:

R-CH2NO2 → RCOOH + NH2OH

I nitroalcani, in ambiente basico, reagiscono con aldeidi e chetoni dando luogo alla reazione nitroaldolica nota come reazione di Henry in cui si forma un β-nitroalcol.

La reazione inizia con la deprotonazione di un idrogeno in α al nitrogruppo con ottenimento di un intermedio anionico stabilizzato per risonanza che attacca il carbonio carbonilico per dare un alcossido. Quest’ultimo acquista un idrogeno per dare il prodotto di reazione:

reazione di Henry

I nitroalcani primari e secondari danno luogo alla formazione di composti carbonilici secondo la reazione di Nef: in ambiente basico si ha la deprotonazione di un idrogeno in α al nitrogruppo con ottenimento di un intermedio anionico stabilizzato per risonanza che, trattato con un acido, dà luogo alla formazione di aldeidi o chetoni

reazione di Nef

I nitrocomposti sono intermedi utili nella preparazione di composti amminici e sali di diazonio, vengono inoltre utilizzati per preparare i coloranti azoici
, esplosivi. In particolare il nitrobenzene è il precursore di prodotti chimici di gomma, pesticidi, coloranti, esplosivi e prodotti farmaceutici ed in particolare per la produzione di paracetamolo

Chinolina

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La chinolina il cui nome I.U.P.A.C. è 1-azanaftalene è un eterociclo aromatico avente formula C9H7N ed è un liquido incolore dall’odore penetrante che tende ad ingiallire e diventare scuro nel tempo.

La chinolina, che insieme all’isochinolina è isoelettronica con il naftalene, fu estratta per la prima volta nel 1834 dal catrame di carbone la cui struttura è quella di anello benzenico e un anello piridinico fusi.

chinolina

La chinolina è una base debole e reagisce in modo analogo alla piridina e al benzene e dà reazioni sia di sostituzione elettrofila che nucleofila.

Derivati della chinolina si trovano in diversi composti naturali e hanno proprietà antimalariche, antibatteriche, antifungine, cardiotoniche, antinfiammatorie e analgesiche.

Sintesi

La chinolina  può essere sintetizzata secondo la reazione di Skraup in cui l’anilina viene fatta reagire con acido solforico, glicerolo e un agente ossidante come il nitrobenzene

sintesi

 

Derivati della chinolina, come le 4-idrossichinoline possono essere ottenute con la sintesi di Conrad–Limpach dalla reazione dell’anilina con un β-chetoestere

Conrad–Limpach

Le chinoline sostituite possono essere ottenute:

1)       con la sintesi di Combes in cui viene fatta reagire l’anilina con β-dichetoni in cui avviene la chiusura dell’anello di una base di Schiff catalizzata da un acido

Combes

2)      con la sintesi di Friedländer in cui la 2-amminobenzaldeide viene fatta reagire con un chetone. Tale reazione è catalizzata da acido trifuoroacetico, acido toluensolfonico, iodio e una base di Lewis

 Friedländer

3)      con la reazione di Doebner–Miller in cui viene fatta reagire l’anilina con un composto carbonilico α,β-insaturo in presenza di un acido di Lewis come il tetracloruro di stagno e un acido di Bronsted come l’acido p-toluensolfonico

Doebner–Miller

Reazioni

La chinolina dà luogo a reazioni di sostituzione elettrofila sull’anello benzenico in posizione 8 e 5 piuttosto che sull’anello piridinico.

La nitrazione della chinolina dà luogo alla formazione di 5 e 8 nitrochinoline mentre i prodotti  della solfonazione sono diversi a seconda della temperatura: a 220°C si forma in prevalenza l’acido 8-chinolinsolfonico mentre a 300°C si ha la sostituzione in posizione 6.

elettrofile

La sostituzione nucleofila che nella chinolina avviene più rapidamente che non nella piridina si verifica nell’anello piridinico abitualmente in posizione 2.

nucleofile

La chinolina può essere ridotta per idrogenazione catalitica con Nichel Raney con rottura dei doppi legami presenti nell’anello piridinico.

La chinolina può essere ossidata da permanganato di potassio con formazione dell’acido chinolinico che essendo poco stabile dà luogo alla formazione di acido nicotinico.

Si riporta uno schema generale delle reazioni della chinolina

reazioni

La chinolina e i suoi derivati trovano applicazioni nell’industria dei coloranti che vengono utilizzati negli alimenti, nei cosmetici e nell’industria.

La chinolina inoltre viene usata per la preparazione dell’idrossichinolina e della niacina e come solvente per resine e terpeni.

Separazione tra fasi

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Sin dai tempi antichi furono ricercate tecniche di estrazione dei metalli dai minerali in cui erano contenuti e la metallurgia del bronzo, e più tardi quella del ferro, finirono con il tempo per assumere un ruolo notevole nella fabbricazione di attrezzi e di utensili che ebbero un effetto propulsivo su un ampio spettro di innovazioni tecnologiche e di conseguenza di attività produttive e di processi sociali.

Anche la ricerca empirica di estrazione dalle piante di sostanze ritenute benefiche per scopi terapeutici si perde nella notte dei tempi.

Nel corso dei millenni l’uomo, anche se privo di conoscenze specifiche, è riuscito con le tecniche di estrazione più varie e complesse ad ottenere sostanze che potessero migliorare il suo tenore di vita.

Ancora oggi molti progressi in campo tecnologico sono legati alla possibilità di poter separare un componente da una miscela di reazione pertanto la ricerca si indirizza a trovare tecniche di separazione sempre più sofisticate.

La classificazione delle tecniche di separazione può essere fatta secondo criteri diversi ma si conviene che la separazione può avvenire se la sostanza da separare mostri differenze significative dalle altre in almeno una proprietà fisica o chimica.

Le dimensioni diverse delle particelle costituiscono il metodo più semplice per la separazione delle specie tramite filtrazione con l’utilizzo di un mezzo attraverso il quale solo l’analita o l’interferente possono passare. Esempi di separazione sulla base delle dimensioni comprendono la filtrazione, la dialisi e la cromatografia di esclusione molecolare.

La massa o la densità diverse delle particelle costituiscono un altro metodo di separazione per centrifugazione utilizzando una centrifuga.

Se la specie interferente può dar luogo alla formazione di complessi solubili e stabili si può usare la tecnica del mascheramento in cui si utilizzano agenti mascheranti che convertono i potenziali in una forma tale da non interferire con le successive manipolazioni analitiche.

Poiché un analita e il suo interferente sono generalmente nella stessa fase, possiamo realizzare una separazione se uno di loro subisce una variazione del suo stato fisico o del suo stato chimico.

Ad esempio se l’analita e l’interferente sono entrambi liquidi miscibili e hanno temperature di ebollizione significativamente diverse può essere eseguita una distillazione.

Quando il campione è un solido, la sublimazione può fornire una separazione utile dell’analita con l’interferente. Il campione viene riscaldato ad una temperatura e pressione al di sotto del punto triplo dell’analita, permettendogli di vaporizzare senza passare attraverso lo stato liquido. La condensazione dei vapori consente di recuperare l’analita purificato.

La ricristallizzazione è un altro metodo per purificare un solido. Viene scelto un solvente in cui la solubilità dell’analita sia alta quando il solvente è caldo e bassa quando il solvente è freddo. La miscela solida viene disciolta in un solvente a caldo e poi lasciata raffreddare in modo da far cristallizzare il soluto mentre la maggior parte delle impurezze rimangono nelle acque madri della cristallizzazione.

La distillazione, la sublimazione e la ricristallizzazione utilizzano un cambiamento di stato fisico come mezzo di separazione. Tuttavia anche la reattività chimica può anche essere uno strumento utile per la separazione di analiti e interferenti. Ad esempio si può separare il biossido di silicio da un campione mediante reazione con HF con formazione di SiF4 che è una sostanza volatile e quindi facile da rimuovere mediante evaporazione.

Vi sono altre reazioni come quelle di precipitazione che possono consentire la separazione di un analita da specie interferenti che in genere sono dipendenti dal pH.

Una delle tecniche più importanti per effettuare una separazione consiste nella ripartizione dei composti tra due liquidi immiscibili. La ripartizione deriva dalla diversa solubilità di una sostanza in due liquidi immiscibili e il processo si basa sulla rimozione selettiva di un componente in una fase separata. Se si mette a contatto una fase contenente il soluto S con una seconda fase il soluto si ripartisce tra le due fasi secondo l’equilibrio:

Sfase 1 ⇌ Sfase 2

la cui costante KD è detta costante di distribuzione o coefficiente di ripartizione:

KD= [Sfase 2]/[ Sfase 1]

Se KD ha un valore alto ciò implica che [Sfase 2] >[ Sfase 1] ovvero il soluto si muove dalla fase 1 alla fase 2. Se KD ha un valore basso ciò implica che [Sfase 2] < [ Sfase 1] il soluto si trova prevalentemente nella fase 1.Quando si porta una fase contenente due soluti a contatto con una seconda fase se KD è vantaggiosa solo per uno dei due soluti allora è possibile una separazione tra i due soluti.

Uno dei metodi che trova un grande riscontro nelle tecniche di separazione è la cromatografia che si basa sulla distribuzione differenziale dei vari componenti tra due fasi, una chiamata fase fissa o fase stazionaria e l’altra chiamata fase mobile o eluente che fluisce in continuo attraverso la fase fissa.

Viene riportato uno schema che riassume le tecniche di separazione:

 

Criterio di separazione Tecnica di separazione
Dimensioni FiltrazioneDialisi

Cromatografia di esclusione molecolare

Massa o densità CentrifugazioneMascheramento
Variazioni dello stato fisico DistillazioneSublimazione

Ricristallizzazione

Variazioni dello stato chimico PrecipitazioneElettrodeposizione

Volatilizzazione

Ripartizione tra fasi EstrazioneCromatografia

 

Dimetil solfuro

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Il dimetil solfuro (DMS) il cui nome I.U.P.A.C. è solfuro dimetile un tioetere avente formula CH3-S-CH3 responsabile di circa il 75% del ciclo dello zolfo.

dimetilsolfuro

Il dimetil solfuro è un liquido incolore apolare con temperatura di ebollizione di 37°C immiscibile in acqua e miscibile con la maggior parte dei solventi organici.

Esso ha un ruolo importante in quanto la sua ossidazione nell’atmosfera porta alla formazione di composti solforati tra i quali l’acido solforico responsabile del fenomeno delle piogge acide con conseguenti danno sugli ecosistemi acquatici e sulla vegetazione.

Il dimetil solfuro, caratterizzato da un tipico odore sgradevole, simile a quello che si avverte quando vengono cotti alcuni vegetali come i cavoli, viene prodotto dal dimetil solfoniopropionato (DMSP) che si trova nelle cellule di alcune specie di fitoplancton.

DMSP

Se la produzione di DMS aumenta a causa dei cambiamenti climatici globali allora potrebbe fornire un effetto di raffreddamento e contribuire a compensare il riscaldamento dovuto all’effetto serra.

ciclo dello zolfo

L’ossidazione del dimetil solfuro che viene emesso in prevalenza dalla superficie degli oceani favorisce la formazione dei nuclei di condensazione delle nubi che disperdono la radiazione solare influenzando l’equilibrio radiativo della Terra. Quando il flusso dell’energia solare in arrivo è bilanciato da un eguale flusso di calore verso lo spazio, la Terra è in condizioni di equilibrio radiativo e la temperatura globale è relativamente stabile. Ogni qualvolta aumenta o diminuisce la quantità di energia in arrivo o in uscita, viene ad alterarsi l’equilibrio radiativo e conseguentemente la temperatura globale del sistema sale o scende.

A livello industriale il dimetil solfuro viene prodotto dalla reazione tra solfuro di idrogeno e metanolo usando come catalizzatore l’ossido di alluminio secondo la reazione:

H2S+ 2 CH3OH → CH3-S-CH3 + 2 H2O

Reazioni

Il dimetil solfuro è una molecola molto stabile e normalmente subisce reazioni solo sull’atomo di zolfo ma il prodotto di reazione iniziale riarrangia per dare un prodotto in cui un atomo di idrogeno è sostituito da un altro gruppo.

La presenza di coppie di elettroni non condivisi sullo zolfo consente alla molecola di formare complessi con molecole elettrondeficienti quindi il dimetil solfuro agisce da base di Lewis.

1)      Reazioni con H2S

CH3-S-CH3 + H2S → 2 CH3-SH

La reazione avviene rapidamente in fase di vapore a 350-400 °C in presenza di ossido di alluminio

2)      Reazione con alogeni in condizioni anidre e a basse temperature:

CH3-S-CH3 + X2 → (CH3)2SX+X-

Dove X è Cl, Br, I

L’idrolisi del prodotto della reazione con Cl2 e Br2 dà luogo alla formazione del dimetilsolfossido

3)      Reazione con Cl2 in presenza di acqua con ottenimento di metansolfonilcloruro:

CH3-S-CH3 → CH3-SO2Cl

4)      Clorurazione a temperatura ambiente:

CH3-S-CH3 → CH3-S-CH2Cl→ CH3-S-CHCl2 → CH3-S-CCl3→ ClCH2-S-CCl3

La reazione è molto rapida nel primo stadio e produce una luce visibile; dopo che si è formato il prodotto monoclorurato la reazione procede lentamente. Lo stadio successivo alla formazione del composto tetraclorurato porta alla rottura della molecola e alla formazione di composti tra cui il tetracloruro di carbonio, il clorometilsulfenilcloruro CH3SCl e a composti clorurati.

Il dimetil solfuro viene usato nell’industria petrolchimica, e in molte sintesi organiche tra cui l’ozonolisi ed è il precursore del dimetilsolfossido usato come solvente, nelle applicazioni industriali e come ossidante nelle reazioni nelle reazioni di ossidazione di Swern e nell’ossidazione di Pfitzner-Moffat

 

Equilibri in fase gassosa. Esercizi

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Una reazione chimica è all’equilibrio quando la velocità della reazione diretta è uguale alla velocità della reazione inversa. Nelle condizioni di equilibrio le concentrazioni di tutte le specie chimiche restano costanti nel tempo; trattandosi di un equilibrio dinamico le due reazioni continuano a verificarsi sempre con la stessa velocità.

Se le specie coinvolte nell’equilibrio si trovano in fase gassosa oltre alla costante di equilibrio Kc viene definita la costante Kp in cui al posto delle concentrazioni sono presenti le pressioni parziali delle specie presenti.

La relazione che correla Kp e Kc viene data dalla seguente espressione:

Kp = Kc(RT)Δn

dove Δn è uguale alla differenza della somma dei coefficienti stechiometrici dei prodotti e dei reagenti.

Esercizi

1)      Dato l’equilibrio PCl3(g) + Cl2(g) ⇌ PCl5(g) a una determinata temperatura è stato trovato che: [PCl3] = 3.0 ∙ 10-1 M, [Cl2] = 2.0 ∙ 10-3 M, [PCl5] = 6.7 ∙ 10-3 M. Determinare:

a)        Kc

b)       la costante di equilibrio relativa all’equilibrio: PCl5(g) ⇌ PCl3(g) +  Cl2(g)

c)        prevedere in quale direzione si sposta l’equilibrio se [PCl3] = 6.3 ∙ 10-2 M, [Cl2] = 5.0 ∙ 10-4 M, [PCl5] = 3.8 ∙ 10-3 M

a) La costante Kc è data da:

Kc = [PCl5]/[PCl3][Cl2]

Sostituendo nell’espressione della Kc i valori dati si ottiene:

Kc = 6.7 ∙ 10-3 / 3.0 ∙ 10-1 x 2.0 ∙ 10-3 = 11

b) L’espressione della costante relativa all’equilibrio PCl5(g) ⇌ PCl3(g) +  Cl2(g) è:
K = [PCl3][Cl2]/[PCl5] che è il reciproco dell’espressione di Kc pertanto K = 1/Kc= 1/11=0.091

c) Per poter prevedere in quale direzione si sposta l’equilibrio calcoliamo il quoziente di reazione:

Q = 3.8 ∙ 10-3 / 6.3 ∙ 10-2 x  5.0 ∙ 10-4 = 121

Poiché risulta Q >> Kc l’equilibrio si sposta a sinistra

2)      Dato l’equilibrio 2 SO2(g) + O2(g) ⇌ 2 SO3(g) per il quale Kc = 4.00 ∙ 102 alla temperatura di 750°C calcolare la concentrazione di SO2 quando [O2] = 2.0 ∙ 10-1 M e [SO3]= 3.0 M

L’espressione di Kc è:
Kc = [SO3]2/[SO2]2[O2]

Sostituendo si ha:

4.00 ∙ 102 = (3.0)2/ [SO2]2(2.0 ∙10-1)

Da cui [SO2]= 0.34 M

3)      Dato l’equilibrio N2(g) + 3 H2(g) ⇌ 2 NH3(g) per il quale Kc a 600 K vale 4.1 calcolare Kp.

Δn rappresenta la variazione del numero di moli pertanto Δn = 2 – 1 – 3 = -2

Kp = 4.1( 0.08206 x 600)-2 = 1.7 ∙ 10-3

 

4)      L’idrogeno viene fatto reagire con lo iodio alla temperatura di 400°C. Quando viene raggiunto l’equilibrio H2 + I2 ⇌ 2 HI le concentrazioni delle specie sono: [H2] = 2.00M [I2] = 2.49 x 10-2M [HI] = 1.5 M. Determinare: Kc e Kp

La costante Kc è data da:

Kc = [HI]2 /[H2][I2]

Sostituendo i valori dati si ha:

Kc = (1.5)2/(2.00)( 2.49 x 10-2)= 45

Quando, come in questo caso non vi è variazione del numero di moli infatti Δn= 2 – 1 – 1 = 0

Allora poiché Kp = Kc(RT)Δn si ha che Kp = Kc(RT)0 quindi Kp = Kc = 45

 

5)      In un recipiente di 1.00 L vengono poste, alla temperatura di 490 °C 1.00 moli di H2, 5.00 moli di I2 e 2.50 moli di HI. Una volta che l’equilibrio H2 + I2 ⇌ 2 HI è stato raggiunto la concentrazione di H2 è 1.00 ∙ 10-1 M. Calcolare le concentrazioni delle altre specie all’equilibrio

Poiché il volume è di 1.00 L si ha:

[H2] = 1.00 mol/ 1.00 L = 1.00 M

[I2] = 5.00 mol/ 1.00 L = 5.00 M

[HI] = 2.50 mol/ 1.00 L = 2.50 M

Costruiamo una I.C.E. chart:

H2 I2 2 HI
Stato iniziale 1.00 5.00 2.50
Variazione - x - x +2x
Equilibrio 1.00 ∙ 10-1

 

Ciò implica che 1.0 – x = 1.00 ∙ 10-1

Quindi x = 0.90 e 2x = 1.8

[I2] = 5.00-x = 4.1 M

[HI] = 2.50 + 2x= 4.3 M

6)      Si consideri l’equilibrio eterogeneo CaCO3(s) ⇌ CaO(s) + CO2(s) per il quale Kc vale 8.0 ∙ 10-3 alla temperatura di 750°C. Se alla temperatura considerata vengono messe 1.00 moli di CaCO3 in un recipiente avente volume 5.0 L calcolare:

a)      La concentrazione di CO2 all’equilibrio

b)     La frazione di CaCO3 che si è decomposta

c)      Le moli di CaO prodotte

d)     Il valore di Kp

 

a)      Kc = 8.0 ∙ 10-3 = [CO2] M

b)     Poiché le moli di carbonato di calcio coincidono con le moli di CO2 prodotte si ha:

5 L x 8.0 ∙ 10-3mol/L = 0.040 moli

c)      Moli di CaO prodotte = moli di CO2 = 5 L x 8.0 ∙ 10-3mol/L = 0.040 moli

d)     Δn = 1 quindi Kp = Kc(RT)1

T = 750 + 273 = 1023 K

Quindi Kp = (8.0 ∙ 10-3)( 0.08206 x 1023)=0.67

7)     Una certa quantità di N2O4(g) viene introdotto in un recipiente alla pressione iniziale di 2.0 atm. Dopo che è stato raggiunto l’equilibrio N2O4(g)  ⇌2 NO2(g) la pressione di N2O4(g) è pari a 1.8 atm. Calcolare la Kp

Costruiamo una I.C.E. chart:

N2O4 2 NO2
Stato iniziale 2.0 //
Variazione -x +2x
Equilibrio 1.8 2x

 

Ciò implica che 2.0 – x = 1.8 e quindi x = 0.20 ovvero 2x = 0.40

L’espressione di Kp è:
Kp = (pNO2)2/ pN2O4 = (0.40)2/ 1.8=0.089

Ciclo dell’azoto

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L’azoto è un elemento fondamentale per la crescita e per la riproduzione di piante e animali ed è un costituente di biomolecole come proteine, DNA e clorofilla.

Sebbene l’azoto sia presente nell’aria sotto forma di N2 non può essere assorbito direttamente come tale dagli organismi ad eccezione di particolari batteri azotofissatori. L’azoto si trova in molte molecole tra cui l’ammoniaca, composti organici e inorganici pertanto esso va incontro a molte trasformazioni nell’ecosistema passando la una forma all’altra.

Le trasformazioni principali dell’azoto che, nel loro complesso, rientrano nel ciclo dell’azoto sono la fissazione, la nitrificazione, la denitrificazione e l’ammonificazione. A partire dalla metà del 1900, gli esseri umani hanno esercitato un impatto sempre maggiore sul ciclo globale dell’azoto. Le attività umane, come l’utilizzo di fertilizzanti e la combustione di combustibili fossili, hanno infatti notevolmente modificato la quantità di azoto fissato negli ecosistemi della Terra.

Perché l’azoto sia disponibile per dar luogo alla formazione di proteine, DNA e di altri composti biologicamente importanti, deve prima essere convertito in una forma chimica diversa. Il processo di conversione di N2 in azoto biologicamente disponibile è chiamato fissazione dell’azoto. La molecola di N2 è molto stabile grazie alla forza del triplo legame tra gli atomi di azoto e quindi è necessaria una grande quantità di energia per rompere questo legame.

Di conseguenza, solo un gruppo di procarioti è in grado di realizzare questo processo sebbene una certa quantità di azoto possa essere fissato abioticamente dai fulmini o da alcuni processi industriali. La fissazione avviene con la conversione dell’azoto in ammoniaca secondo la semireazione:

N2 + 8 H+ + 8 e- → 2 NH3 + H2

resa possibile dal un complesso enzimatico appartenente alla classe delle ossidoriduttasi detto nitrogenasi che catalizza il processo di riduzione dell’azoto atmosferico favorendo la sua fissazione da parte di specifici microrganismi.

Il secondo step del ciclo dell’azoto, detto nitrificazione, consiste nella conversione dell’ammoniaca in nitrito e successivamente in nitrato ad opera di batteri nitrosanti e di batteri nitrificanti.

La nitrificazione avviene in ambiente aerobico ad opera di procarioti. Durante la prima fase l’ammoniaca viene dapprima ossidata idrossilammina ad opera dell’ammoniaca monossigenasi secondo la reazione:

NH3 + O2 + 2 H+ + 2 e- → NH2OH + H2O

Durante la seconda fase l’idrossilammina viene convertita in nitrito ad opera dell’idrossilammina ossidoriduttasi secondo la reazione:

NH2OH + H2O → NO2- + 5 H+ + 4 e-

Successivamente avviene l’ossidazione del nitrito a nitrato ad opera di un altro tipo di procarioti noti come nitrito ossidanti secondo la reazione

2 NO2- + O2 → NO3-

Sebbene si sia sempre ritenuto che il processo di nitrificazione avvenisse in condizioni aerobiche è stato scoperto nel 1999 che l’ossidazione dell’ammoniaca potesse avvenire in condizioni anaerobiche che ad opera di alcuni procarioti che ossidano l’ammoniaca utilizzando il nitrito quale accettore di elettroni per dare azoto gassoso.

In tale processo noto come Anammox acronimo di ANaerobic AMMonium OXidation avviene la reazione:

NH4+ + NO2- → N2 + 2 H2O

Il processo Anammox introduce una via più breve e alternativa nel ciclo dell’azoto, tanto che è stato riconosciuto il ruolo importante dei microrganismi responsabili nella produzione dell’azoto gassoso nei sedimenti oceanici.

La fase successiva del ciclo dell’azoto è la denitrificazione che avviene ad opera di batteri in condizioni anaerobiche in cui il nitrato viene convertito in azoto gassoso che ritorna nell’atmosfera. L’azoto gassoso è il prodotto finale del ciclo dell’azoto ma prima della sua formazione si possono ottenere composti gassosi intermedi secondo le reazioni:

NO3- → NO2- → NO + N2O → N2

2 NO3-  + 12 H+ + 10 e- → N2 + 6 H2O

Alcune delle specie coinvolte nelle reazioni come il monossido di diazoto sono considerate gas serra che reagiscono con l’ozono contribuendo all’inquinamento atmosferico.

La denitrificazione può essere considerata un processo negativo in quanto determina la perdita dei composti contenenti azoto presenti nel terreno sottraendolo alle piante. Il flusso di azoto molecolare verso l’atmosfera dovuto alla denitrificazione viene in parte bilanciato dalla azotofissazione che può avvenire per effetto di processi elettrochimici e biologici in quanto richiede energia che viene fornita, nel caso dei processi biologici dall’ossidazione di sostanze organiche, dagli zuccheri forniti dalle piante o dalla fotosintesi.

L’uso di fertilizzanti provoca gravi danni agli ecosistemi andando ad aumentare il flusso di azoto nell’atmosfera.  Le elevate concimazioni se da un lato aumentano la produzione dall’altro modificano profondamente non solo il ciclo dell’azoto ma anche il ciclo del carbonio e del fosforo  che costituiscono meccanismi delicati per il mantenimento degli equilibri biologici e chimici.


Ossidazione di Pfitzner-Moffat

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Nel 1963 fu pubblicato uno studio fatto da Moffat e Pfitzner sull’ossidazione di alcol primari e secondari ad aldeidi e chetoni senza che si verifichi l’ossidazione delle aldeidi ad acidi carbossilici: la reazione viene fatta avvenire a temperatura ambiente trattando l’alcol con dimetilsolfossido (DMSO) anidro e dicicloesilcarbodiimide (DCC) in ambiente moderatamente acido: le fonti di ioni H+ sono acido fosforico, acido acetico o trifluoroacetato di piridinio.

La presenza di acidi forti come HCl, H2SO4 e HClO4 infatti prevengono la formazione dell’ilide. Nella fattispecie l’acido ortofosforico, pur dando molti sottoprodotti, accelera di molto la reazione mentre il trifuoroacetato di piridinio usato insieme alla piridina per dare un effetto tamponante accelera anch’esso la reazione senza promuovere la formazione di sottoprodotti.

Tale reazione fu scoperta per caso nell’ambito degli studi di accoppiamento di nucleosidi promosso dalla dicicloesilcarbodiimide: quando fu usato il dimetilsolfossido quale solvente invece di ottenere i prodotti previsti si verificò l’ossidazione degli alcoli ad aldeidi e chetoni.

La reazione di ossidazione del gruppo alcolico non è particolarmente affetta da fattori di impedimento sterico ad eccezione di alcoli particolarmente ingombrati; la reazione di ossidazione avviene anche in presenza di eventuali altri gruppi funzionali presenti nell’alcol come gruppi amminici o doppi legami che, a loro volta, non subiscono ossidazione.

La reazione di Pfitzner-Moffat viene attualmente usata poco frequentemente a causa della bassa resa di reazione e per i sottoprodotti difficilmente allontanabili quali la N,N’-dicicloesilurea e ad essa di preferisce l’ossidazione di Swern sebbene costituisca comunque un utile strumento per l’ossidazione degli alcoli perchè può essere condotta a temperatura ambiente e per il basso costo dei reagenti.

Il primo stadio della reazione prevede la protonazione della dicicloesilcarbodiimide che subisce l’attacco del dimetilsolfossido con formazione di un intermedio in cui lo zolfo ha la carica positiva.

Quest’ultimo viene attaccato dal doppietto elettronico solitario presente sull’ossigeno dell’alcol fino alla formazione di un’ilide di alcossisolfonio che riarrangia dando luogo alla formazione di aldeidi e chetoni.

Moffat e Pfitzner

Fu ipotizzato che potessero essere usati, al posto della dicicloesilcarbodiimide, altri elettrofili quali attivatori del dimetilsolfossido e nel 1965 fi proposto l’uso dell’anidride acetica e del pentossido di fosforo (V)

Reagente di Meerwein

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Il tetrafluoroborato di trietilossonio noto come reagente di Merwein in onore del suo scopritore, il chimico tedesco Hans Meerwein, ha formula [(CH3CH2)3O]BF4 ed è costituito dal catione (CH3CH2)3O+ e dall’anione BF4-. In generale con il nome di reagente o sale di Meerwein vengono indicati i sali di trialchilossonio utilizzati per l’alchilazione dell’ossigeno presente nelle ammidi e lattami.

I sali di trialchil ossonio hanno sono tossici irritanti ma rispetto ad altri agenti alchilanti, i pericoli sono minimizzati in quanto i sali ossonio sono solubili in acqua e non volatili.

Viene sintetizzato a partire da etere etilico, BF3 e clorometilossirano più noto come epicloridina:

4 CH3CH2OCH2CH3 ∙ BF3 + 2 CH3CH2OCH2CH3 + C3H5ClO → 3 [(CH3CH2)3O]BF4 + B[(OCH(CH2Cl)CH2OEt]3

Il tetrafluoroborato di trietilossonio deve essere conservato in etere dietilico o in diclorometano a una temperatura compresa tra 0 e 5°C a causa delle sue proprietà igroscopiche infatti dà luogo a una reazione di degradazione a contatto con l’acqua:

[(CH3CH2)3O]+BF4 + H2O → (CH3CH2)2O + CH3CH2OH + HBF4

Il reagente di Merween è un ottimo agente etilante in grado di convertire gli alcoli ad eteri a pH neutro.

Tra le reazioni in cui viene usato il reagente di Meerwein vi è la conversione di alcossisilani a partire da fluorosilani

Reagente di Lawesson

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Il reagente di Lawesson fu ottenuto per la prima volta nel 1956 nell’ambito degli studi delle reazioni degli areni con P4S10. Fu solo successivamente che il chimico svedese Sven Olov Lawesson divulgò questa sostanza che viene usata quale agente solforante.v

Ha formula molecolare C14H14O2P2S4 ed è costituito da un anello a quattro termini in cui si alternano fosforo e zolfo

Lawesson

Il reagente di Lawesson viene preparato mescolando a caldo anisolo C6H5OCH3 con decasolfuro di pentafosforo P4S10 secondo la reazione:

4 C6H5OCH3 + P4S10 =2 C14H14O2P2S4 + 2 H2S

La reazione viene protratta fin quando la miscela diventa limpida e non si forma ulteriormente H2S e viene poi cristallizzata con toluene o xilene.

In generale le reazioni che coinvolgono il reagente di Lawesson avvengono con la forma aperta della molecola che è stabilizzata per risonanza:

Lawesson

e avvengono per conversione di un gruppo carbonilico in un gruppo tiocarbonilico.

Inoltre il reagente di Lawesson può essere usato quale agente solforante di composti carbonilici α,β- insaturi, esteri, lattoni, ammidi, chinoni e lattami.

Un esempio viene fornito dalla reazione tra un chetone e il reagente di Lawesson che porta alla formazione di un tiochetone

tiochetone

In generale la reazione di solforazione può essere schematizzata come:

Lawesson

Va menzionato uno dei metodi di sintesi del tiofene a partire da un dichetone in cui nel primo stadio i due gruppi C=O vengono convertiti in C=S e successivamente avviene la reazione di ciclizzazione

tiofene

 

Acido perclorico

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L’acido perclorico ha formula HClO4 ed è un acido minerale tra i più forti conosciuti con una costante Ka dell’ordine di 10-10 che lo fa classificare come un superacido.

Le soluzioni concentrate di acido perclorico, incolori e inodori, sono circa al 70% m/m in quanto l’acido forma una miscela azeotropica con l’acqua in cui è presente circa il 72.5% di acido.

Alla temperatura di circa 150°C l’acido perclorico, in cui il cloro ha numero di ossidazione +7, mostra elevate capacità ossidanti, mentre a temperatura ambiente esibisce solo le sue proprietà acide.

L’acido perclorico si disidrata quando viene mescolato a una soluzione di acido solforico concentrato, anidride acetica o al pentossido di fosforo e si forma l’acido perclorico anidro che è altamente instabile e può dar luogo ad esplosioni o a reazioni di combustione se si trova a contatto con molte sostanze organiche.

L’acido perclorico, che è altamente corrosivo, può essere sintetizzato in laboratorio mescolando a caldo perclorato di ammonio aggiungendo, quando la soluzione raggiunge una temperatura di 80°C, acido cloridrico e la soluzione viene portata a una temperatura di 135-140°C per circa 30’. La reazione complessiva di sintesi dell’acido perclorico è la seguente:

34 NH4ClO4 + 36 HNO3 + 8 HCl  → 34 HClO4 + 4 Cl2 + 35 N2O + 73 H2O

Un altro metodo di sintesi prevede la reazione del perclorato di bario con acido solforico secondo la reazione:

Ba(ClO4)2 + H2SO4 → BaSO4 + 2 HClO4

che dà il solfato di bario che precipita e l’acido perclorico.

A livello industriale l’acido perclorico viene ottenuto dalla reazione tra perclorato di sodio e acido cloridrico:

NaClO4 + HCl → HClO4 + NaCl

Dalla miscela di reazione l’acido viene separato per distillazione. La produzione di perclorico è aumentata in quanto esso trova è utilizzato nella produzione di perclorato di ammonio usato come combustibile per razzi

La titolazione degli amminoacidi può essere fatta con una soluzione di acido perclorico in l’acido acetico.

L’acido perclorico viene usato per pulire i diamanti, per l’ossidazione di composti organici, nell’industria dei computer, in applicazioni elettroniche e come solvente di metalli e leghe.

Trova largo utilizzo nell’ambito della chimica analitica e viene utilizzato, tra l’altro, nella determinazione del cromo, del silicio nel ferrosilicio e dello zolfo nel legno.

Toluene

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Il metilbenzene, più noto con il nome di toluene, è un derivato del benzene avente formula C6H5CH3 in cui al posto di un atomo di idrogeno è presente un gruppo metilico.

Il toluene è scarsamente solubile in acqua mentre è solubile in etanolo, etere etilico, benzene e cloroformio.

E’ usato come solvente di oli, resine, gomma naturale e gomme sintetiche, come diluente di pitture, vernici ed inchiostri, come materiale di partenza in molte sintesi organiche e nella fabbricazione di esplosivi, coloranti.

Presenta sei atomi di carbonio ibridati sp2 e un atomo di carbonio ibridato sp3; il gruppo –CH3  è attivante e orto, para direttore nelle reazioni di sostituzione elettrofila aromaticainfatti il toluene reagisce molto più velocemente del benzene nelle medesime condizioni.

Può essere sintetizzato a partire dal benzene tramite alchilazione di Friedel-Craft:

alchilazione

sebbene, una volta formato il toluene, si possano verificare reazioni di polialchilazione.

A livello industriale il toluene può essere ottenuto come sottoprodotto nella fabbricazione della benzina e per ciclizzazione del n-eptano in presenza di ossido di cromo (III) e ossido di alluminio in condizioni di elevata temperatura e pressione

toluene

Reazioni

1)      nitrazione

In presenza di acido solforico e di acido nitrico il toluene dà luogo alla formazione di una miscela di tre isomeri in cui prevalgono il para e l’orto nitrotoluene secondo un meccanismo analogo alla nitrazione del benzene

nitrazione

2)      Alogenazione

A seconda delle condizioni usate la reazione di alogenazione può avvenire sull’anello benzenico prevalentemente in posizione orto o para e sul gruppo metilico secondo due diversi meccanismi: l’alogenazione sull’anello segue il meccanismo della sostituzione elettrofila aromatica mentre l’alogenazione sulla catena laterale avviene tramite un meccanismo di tipo radicalico.

In presenza di Br2 e di di un acido di Lewis come FeBr3 avviene l’alogenazione sull’anello

alogenazione

In assenza di un acido di Lewis e in presenza di luce l’alogenazione avviene sulla catena laterale tramite un meccanismo radicalico

meccanismo radicalico

3)     ossidazione

a)       Il gruppo metilico presente nel toluene può essere ossidato con formazione di acido benzoico in presenza di un forte agente ossidante come il permanganato di potassio
ossidazione

a)       In presenza di cloruro di cromile CrO2Cl2 il gruppo metilico presente nel toluene può essere ossidato con formazione di benzaldeide secondo la reazione di Etard. In tale reazione il cloruro di cromile converte il gruppo metilico in un complesso intermedio che porta, per idrolisi, alla formazione della benzaldeide.

etard

 

Titolazione degli amminoacidi

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Gli amminoacidi hanno un ruolo fondamentale sia nella formazione delle proteine che come intermedi metabolici e pertanto possono essere considerati come le specie fondamentali degli organismi.

Gli amminoacidi sono composti in cui è presente sia il gruppo funzionale amminico che quello carbossilico legati allo stesso carbonio

amminoacido

pertanto sono molecole anfotere in quanto, a seconda del pH, i due gruppi funzionali possono essere neutri o ionizzati.

Il gruppo amminico, a causa del doppietto elettronico solitario presente sull’azoto, hanno natura basica mentre il gruppo carbossilico ha natura acida. A causa della natura opposta dei due gruppi funzionali essi si neutralizzano reciprocamente con il trasferimento di uno ione H+ dal gruppo carbossilico al gruppo amminico formando un sale interno denominato zwitterione che ha una carica netta pari a zero.

zwitterione

A bassi valori di pH il gruppo carbossilico risulta come tale mentre il gruppo amminico risulta protonato e la specie ha una carica netta pari a +1; ad alti valori di pH il gruppo amminico risulta come tale mentre il gruppo carbossilico risulta deprotonato e la specie ha una carica netta pari a -1:

equilibrio

Il valore di pH, tipico di ogni amminoacido, in cui la carica netta è uguale a zero è detto punto isoelettrico (pI): ad un valore di pH inferiore a quello del pI l’amminoacido ha una carica di +1 mentre a valori di pH superiori al pI l’amminoacido ha una carica di -1.

I gruppi ionizzabili presenti negli amminoacidi agiscono da acidi deboli o da basi deboli a seconda del pH. Si possono ottenere curve di titolazione valutando il pH di un volume noto di un campione di soluzione dopo aggiunte successive di un acido o di una base a concentrazione nota. Se il campione di amminoacido viene titolato con un acido esso agisce da base mentre se viene titolato con una base agisce da acido.

Tali reazioni seguono l’equazione di Henderson-Hasselbalch

pH = pKa + log [forma non protonata]/[forma protonata]

Quando il rapporto tra la forma non protonata e la forma protonata è uguale a 1 allora pH = pKa quindi il pKa viene definito come il pH in cui le due forme sono uguali.

L’ordine di dissociazione del protone dipende dall’acidità del protone: quello che è più acido ( ovvero quello che ha un valore più basso di Ka) si dissocia per primo e conseguentemente lo ione H+ del gruppo –COOH si dissocia prima di quello del gruppo NH3+.

Alcuni amminoacidi posso essere considerati triprotici se, in aggiunta ai due gruppi ionizzabili, sono presenti protoni dissociabili nel gruppo R che può essere a sua volta acido o basico; ad esempio l’acido glutammico presenta un gruppo carbossilico sulla catena laterale mentre l’istidina ha un anello imidazolico di natura basica sulla catena laterale.

La curva di titolazione viene costruita ponendo il pH sull’asse delle ordinate e gli equivalenti di titolante sull’asse delle ascisse. La curva di titolazione fornisce informazioni relativa al numero di gruppi ionizzabili, ai valori di pKa e alla regione in cui ci si trova davanti a una soluzione tampone.

Gli amminoacidi come la glicina sono caratterizzati  da due gruppi ionizzabili: il gruppo carbossilico con pKa1 pari a 2.3 e il gruppo amminico con pKa2 pari a 9.6.

dissociazioni

 

In acqua la glicina è presente nella sua forma zwitterionica in cui sono presenti il gruppo –COO- e il gruppo NH3+.

Pertanto la titolazione deve essere effettuata sia con un acido che con una base; l’aggiunta di un acido alla soluzione contenente l’amminoacido inizialmente abbassa il pH in modo marcato e successivamente nella regione in cui vi è la soluzione tampone la variazione di pH è meno rapida. A pH 2.3, ovvero quando è stato raggiunto il pKa è stato consumato la metà dell’acido. La titolazione con una base dà luogo ad una curva nella regione alcalina simile alla precedente. L’intersezione tra le curve fornisce il punto in cui la glicina non ha una carica netta ovvero il pH in cui è presente lo zwitterione; nel caso di un amminoacido con due gruppi ionizzabili come la glicina pI = pKa1+ pKa2/2 ovvero pI = 2.3+9.6/2 = 5.95. La curva di titolazione della glicina che ha solo due gruppi ionizzabili presenta solo due punti di flesso

glicina

Per ottenere la curva di titolazione della glicina si procede al prelievo di 25 mL di una soluzione 0.2 M dell’ amminoacido e si titola con HCl 1.0 M. Si annotano i valori di pH rilevati da un pH-metro dopo ogni aggiunta  di 0.5 mL di acido fino a raggiungere il pH di 1.5.

Si esegue poi una titolazione su 25 mL di soluzione 0.2 M dell’amminoacido e si titola con NaOH 1.0 M procedendo come sopra fino a raggiungere il pH di 13.

La curva di titolazione può essere ottenuta riportando il grafico i valori sperimentali.

 

Istidina

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L’istidina è un amminoacido essenziale incolore, solubile e cristallino contenuto in molte proteine e precursore dell’istamina grazie all’azione dell’istidina decarbossilasi che, utilizzando la vitamina B6 come cofattore, catalizza la reazione.

Dalla condensazione dell’alanina e dell’istidina si ottiene la carnosina, dipeptide che  si trova nei muscoli e nel cervello e che ha proprietà antiossidanti. Amminoacido vitale per il sostentamento delle guaine mieliniche, l’istidina è necessaria per l’elaborazione dei globuli rossi e dei globuli bianchi ed è presente in ragione dell’8.5% in massa dell’emoglobina.

L’istidina presenta una catena laterale di tipo imidazolico in cui sono presenti due atomi di azoto che hanno diverse proprietà: il doppietto elettronico presente sull’atomo di azoto legato all’idrogeno contribuisce all’aromaticità dell’anello e quindi non viene attaccato mentre quello presente sull’altro azoto lo rende basico.

istidina

L’anello imidazolico ha un pKa pari circa a 6.0 quindi, a valori di pH inferiori a 6.0 l’anello imidazolico si protona presentando una carica positiva. A valori di pH in cui l’anello imidazolico non è protonato esso agisce da nucleofilo e da base ed inoltre è un legante per molti metalli di transizione come ferro e rame.

L’istidina indicata con His o H ha formula molecolare C6H9N3O2 fu isolata per la prima volta nel 1896 da alcune proteine e, pur essendo un amminoacido essenziale, può essere sintetizzata da alcuni microrganismi dal ribosio e dall’ATP.

Tra i venti amminoacidi naturali l’istidina è quello più attivo e versatile e svolge molteplici azioni nelle interazioni con le proteine costituendo spesso un residuo che è la chiave per molte reazioni catalitiche enzimatiche.

L’istidina è contenuta sia in alimenti di origine animale come carne, pollame, uova, pesce e prodotti lattiero-caseari che di origine vegetale come riso, grano, segale e frumento. Come tutti gli amminoacidi, ad eccezione della glicina, l’istamina si presenta in due forme enantiomere D e L e, poiché gli amminoacidi di tipo L si trovano nella stessa forma naturale di quelli presenti nelle piante o nei tessuti animali, sono considerati più compatibili con la biochimica umana.

I livelli di istidina presenti nel corpo devono essere adeguati per garantire una buona salute fisica e mentale: alti livelli di questo amminoacido sono collegati a disturbi psicologici come ansia e schizofrenia mentre bassi livelli parrebbero essere correlati all’artrite reumatoide e a un certo tipo di sordità dovuta a danni ai nervi. Recenti ricerche suggeriscono che l’istidina agisce come disintossicante naturale, previene dai danni dovuti alle radiazioni e favorisca la rimozione di metalli pesanti e può inoltre prevenire l’insorgenza dell’AIDS.

La L-istidina è importante per lo sviluppo e la guarigione dei tessuti, per la cura dell’ulcera, dell’iperacidità e della cattiva digestione. E’inoltre necessaria per il trattamento delle allergie, dell’artrite reumatoide, dell’anemia oltre che nella produzione di globuli rossi e bianchi.

 


Carbonato di calcio

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Il carbonato di calcio CaCO3 è un solido bianco che viene ricavato da calcite, dolomite, aragonite e siderite; è poco solubile in acqua a  cui impartisce un pH moderatamente alcalino

A livello industriale il carbonato di calcio viene sottoposto a una reazione di decomposizione termica a 1500°C in forni rotativi da cui si ottiene la calce viva secondo la reazione:
CaCO3 → CaO + CO2

Il monossido di calcio ottenuto viene trattato con acqua per ottenere l’idrossido di calcio o calce spenta in un processo noto come spegnimento della calce secondo la reazione fortemente esotermica:

CaO + H2O → Ca(OH)2

Gli usi principali del carbonato di calcio e della calce sono nel campo delle costruzioni ma vengono utilizzati anche nell’industria metallurgica e in campo agricolo.

La calce spenta, a causa della sua porosità quando viene impastata con acqua, ne assorbe una grande quantità dando origine ad una pasta morbida, fine e adesiva, quasi untuosa al tatto detta grassello che è un legante aereo.

Tra i leganti idraulici, oltre alla calce idraulica prodotta dalla cottura di calcari argillosi vi è il cemento costituito, in partenza, da quattro ossidi: CaO, Al2O3,SiO2 e Fe2O3 mescolati e successivamente cotti in rapporti definiti.

Il carbonato di calcio viene usato per la tutela dell’ambiente: per la sua basicità, suddiviso in polvere molto fine viene spruzzato nei laghi che, a causa dell’inquinamento atmosferico, risultano essere acidi con danni alla flora e alla fauna per rialzare il pH.

Calcare e calce vengono usati per rimuovere il biossido di zolfo prodotto dalla combustione del carbone nelle centrali elettriche. Gli effluenti gassosi dovuti alla combustione del carbone vengono fatti passare attraverso un getto di calcare finemente macinato. La reazione:

CaCO3(s) + SO2(g)→ CaSO3(s) + CO2(g)

Il solfito di calcio reagisce con l’aria per formare solfato di calcio noto come gesso secondo la reazione:

2 CaSO3(s) + O2(g) → 2 CaSO4(s)

Il prodotto della reazione viene, tra l’altro, usato in miscela per intonaci, lastre di cartongesso, lastre composite per isolamento fonico e termico.

Il carbonato di calcio viene utilizzato per la produzione del carbonato di sodio secondo il metodo Solvay, nell’industria siderurgica per eliminare le impurezze del ferro e come stabilizzante nella fabbricazione del vetro.

Per la sua disponibilità e il suo basso costo, il carbonato di calcio viene usato come carica nella fabbricazione della carta. Inoltre il colore bianco conferisce alla carta il suo tipico colore, opacità e elevata qualità di stampa. Sempre come riempitivo il carbonato di calcio viene usato nelle vernici e nei riempimenti adesivi: la sua finezza e la sua granulometria contribuiscono ad un alto effetto coprente.

Nella fabbricazione delle materie plastiche rivestono un ruolo particolarmente importante le cariche e i riempitivi e i modificatori che, come il carbonato di calcio ne migliorano notevolmente i processi e le proprietà meccaniche.

Particolare importanza riveste il carbonato di calcio in campo agricolo infatti la maggior parte delle piante predilige terreni neutri o debolmente alcalini. Tuttavia la tipologia del suolo, l’uso eccessivo di fertilizzanti, carenza di sostanza organica e errate pratiche agronomiche possono portare il terreno in condizioni di acidità. Il correttivo dell’acidità del terreno è l’ossido di calcio usato da secoli nelle operazioni agronomiche che migliora la struttura del terreno e aumenta l’efficienza dei fertilizzanti. Una carenza di calcio nel terreno provoca problemi alle piante, alla crescita e alla rigogliosità delle foglie pertanto il carbonato di calcio può essere utilizzato come fertilizzante sia per terreni ad uso agricolo che per quelli ad uso floristico.

Nel settore zootecnico il carbonato di calcio viene impiegato come additivo e come integratore nella produzione di mangimi per animali.

Il carbonato di calcio viene inoltre utilizzato negli integratori alimentari stante la sua elevata quantità di calcio ( 40%) in esso contenuta.

Pirite: l’oro degli stolti

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“non è tutto oro quello che luccica”

Mai come nel caso dell’oro degli stolti questa locuzione nota già dai tempi di Esopo e ripresa da Shakespeare nel Mercante di Venezia sembra essere più appropriata.

Appassionati e cercatori d’oro anche esperti venivano tratti in inganno dalla pirite, minerale costituito da disolfuro di ferro FeS2 che, per il suo colore oro e la sua brillantezza illudeva anche esperti di aver trovato l’ oro.

Basta tuttavia una analisi anche superficiale per distinguere l’oro dall’oro degli stolti infatti l’oro è un metallo e come tale è tenero, e, se sottoposto ad azione meccanica può essere piegato mentre la pirite essendo un minerale si rompe e si riduce in scaglie. Se riscaldato l’oro si rammollisce e poi fonde mentre la pirite se riscaldata emette una miscela di solfuri dal tipico odore di uova marce.

Sebbene la pirite si presenti lucente di colore simile all’ottone ha un peso specifico minore dell’oro ed inoltre se strisciata su una tavola ruvida lascia una striscia nera mentre l’oro lascia una striscia gialla ma, nonostante le evidenti differenze molti si illudevano di aver trovato l’oro.

La pirite è da sempre stata avvolta da un alone di fascino infatti, se la si percuote con un pezzo di metallo genera scintille e veniva ritenuto contenesse del fuoco al suo interno. La pirite veniva quindi usata come pietra focaia in quanto gli spazzi di scintille emessi possono incendiare un’esca o la polvere da sparo.

Ancora oggi viene usata nell’ambito della naturopatia per i suoi presunti effetti benefici sia sul corpo che sulla psiche.

Sebbene la pirite sia un minerale ad alto contenuto di ferro essa non viene usata per ottenere tale metallo in quanto, a tale scopo vengono preferiti altri minerali ed in modo particolare la magnetite e l’ematite.

La pirite è polimorfo della marcasite pur avendo un peso specifico superiore; inoltre la pirite ha una struttura cubica mentre la marcasite ha una struttura ortorombica.

La pirite è stata utilizzata come fonte di zolfo e di acido solforico nel corso della Seconda guerra mondiale quando le fonti tradizionali di zolfo non esano disponibili o erano comunque insufficienti per far fronte alla domanda. Attualmente la maggior parte dello zolfo viene ottenuto da giacimenti di gas naturale che contengono anche il solfuro di idrogeno
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Attualmente la pirite viene considerata come un potenziale minerale di riferimento per nuovi sviluppi tecnologici. La pirite è infatti un semiconduttore e potrebbe costituire quindi il materiale per pannelli solari fotovoltaici a basso costo sebbene ad oggi mostrano una scarsa efficienza.

Lo scorso anno è stata realizzata una batteria ibrida in cui il catodo è costituito da nanocristalli di FeS2 che ha un costo inferiore alle tradizionali batterie al litio.

Magnesio

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Il magnesio è un metallo alcalino-terroso avente configurazione elettronica [Ne]3s2 e ha numero di ossidazione +2.

Il magnesio è presente in molti minerali ma viene estratto principalmente da dolomite MgCO3∙CaCO3 e magnesite MgCO3 oltre che da brucite, carnallite e olivina e può essere ottenuto con due metodi:

a)      Riduzione termica dell’ossido di magnesio

La roccia dolomitica dopo essere stata ridotta in piccoli pezzi viene riscaldata e si ottiene una miscela di ossidi di magnesio e calcio secondo la reazione:

MgCO3∙CaCO3(s) → MgO(s) + CaO(s) + 2 CO2(g)

Per ridurre l’ossido di magnesio si utilizza come riducente una lega ferro-silicio contenente silicio in ragione dell’80% ottenuta mescolando sabbia con coke e rottami di ferro. La reazione viene condotta a 1200-1500 °C e a bassissima pressione. In queste condizioni avviene la reazione:

2 MgO(s) + Si(s)⇌ SiO2(s) + 2 Mg(g)

I vapori di magnesio vengono condensati a circa 830 °C e poi rimossi. La reazione è esotermica pertanto l’equilibrio può essere spostato verso la formazione dei prodotti allontanando i vapori di magnesio man mano che si formano.

Il biossido di silicio ottenuto reagisce con l’ossido di calcio per formare una scoria di silicato di calcio fuso:

CaO(s) + SiO2(s) ⇌ CaSiO3(l)

Con tale metodo si ottiene magnesio puro al 99.99% , grado di purezza lievemente superiore a quello che si ottiene dall’elettrolisi del cloruro di magnesio

b)      Elettrolisi del cloruro di magnesio fuso contenuto nell’acqua di mare

L’elettrolisi deve avvenire con il cloruro di magnesio fuso infatti dall’elettrolisi del cloruro di magnesio acquoso si ottiene al catodo idrogeno gassoso piuttosto che il magnesio.

Le semireazioni sono:

(-) catodo: Mg2+ + 2 e- → Mg

(+) anodo: 2 Cl- → Cl2 + 2 e-

L’elettrolisi viene condotta alla temperatura di 680-750°C.

Per ottenere il cloruro di magnesio l’acqua di mare viene trattata con la dolomite preventivamente riscaldata in modo che si siano ottenuti ossidi misti di calcio e magnesio. Avviene una precipitazione selettiva: l’idrossido di calcio rimane in soluzione mentre l’idrossido di magnesio precipita e viene allontanato per filtrazione e trattato con HCl.

Il magnesio tende a ossidarsi risultando un ottimo riducente infatti il potenziale standard di riduzione relativo alla semireazione Mg2+ + 2 e- → Mg è pari a – 2.37 V pertanto molti metalli possono essere ottenuti dai loro sali per trattamento con il magnesio in una reazione di scambio semplice come ad esempio: ZnCl2 + Mg → Zn + MgCl2

Reazioni:

Il magnesio reagisce

1)      lentamente a caldo con l’acqua per dare idrogeno gassoso e idrossido di magnesio che è scarsamente solubile in acqua:
Mg(s) + 2 H2O(l) → Mg(OH)2(s) + H2(g)

2)      vigorosamente con vapore acqueo per dare un’intensa luce bianca. Dalla reazione si ottiene idrogeno gassoso e ossido di magnesio; quest’ultimo in soluzione forma l’idrossido:

Mg(s) + H2O(g) → MgO(s) + H2(g)

3)      con l’ossigeno in una reazione di combustione per dare l’ossido di magnesio. La reazione è accompagnata dall’emissione di una luce bianca molto intensa che nel passato veniva utilizzata in ambito fotografico come flash:

Mg(s) + O2(g) → 2 MgO(s)

4)      con acido cloridrico diluito per dare cloruro di magnesio e idrogeno gassoso:

Mg(s) + HCl(aq) → MgCl2 (aq) + H2(g)

5)      con acido solforico diluito per dare solfato di magnesio e idrogeno gassoso:

Mg(s) + H2SO4 (aq) → MgSO4 (aq) + H2(g)

6)      con acido nitrico per dare nitrato di magnesio e idrogeno gassoso:

Mg(s) + HNO3 (aq) → Mg(NO3)2 (aq) + H2(g)

Il magnesio è un metallo leggero generalmente usato in leghe con alluminio, zinco, manganese o silicio utilizzate nel settore automobilistico e aerospaziale per la loro bassa densità e alta resistenza.

Le leghe di magnesio sono usate come anodi sacrificali: se collegato ad un metallo meno reattivo, il magnesio diventa l’anodo della cella elettrica, e corrode di preferenza un altro metallo pertanto può essere usato per proteggere gli scafi delle navi in ​​acciaio e le strutture di piattaforme petrolifere.

Lo zirconio ed elementi delle terre rare vengono aggiunti in alcune leghe contenenti magnesio per rendere la lega più resistenti.

Pirrolo: reattività

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Il pirrolo è un eterociclo a 5 termini come il furano e il tiofene avente formula C4H4NH in cui il doppietto elettronico solitario dell’azoto fa parte del sistema aromatico.

Tuttavia, rispetto al furano e al tiofene in cui la carica negativa è localizzata sull’ossigeno e sullo zolfo rispettivamente, il pirrolo presenta una carica positiva localizzata sull’azoto nonostante esso sia più elettronegativo dell’ossigeno. Ciò è dovuto al fatto che nelle strutture limite di risonanza la carica negativa compare su tutti e quattro gli atomi di carbonio mentre sull’atomo di azoto compare solo la carica positiva.

pirrolo

L’effetto della risonanza prevale rispetto alla differenza di elettronegatività e pertanto il comportamento chimico del pirrolo è conseguente alla distribuzione degli elettroni delle rispettive strutture di risonanza. Trattando il pirrolo con un acido infatti possono protonarsi gli atomi di carbonio e non l’azoto e il catione più stabile da un punto di vista termodinamico è quello in cui la protonazione avviene in posizione 2.

Il pirrolo ha proprietà anfotere: non è solo una base debole ma anche un acido molto debole infatti reagisce con il potassio metallico per dare un composto ionico di potassio.

L’anione pirrolo è stabilizzato per risonanza ed è un nucleofilo.

Come gli altri eterocicli il pirrolo dà luogo a reazioni di sostituzione elettrofila che, a causa della maggiore densità elettronica sugli atomi di carbonio, avviene sul carbonio piuttosto che sull’azoto. Tuttavia vi sono due diversi tipi di carbonio ovvero i carboni in posizione 2 e 5 e quelli in posizione 3 e 4. Per comprendere dove avviene la sostituzione si devono considerare le strutture di risonanza relative ai due intermedi di reazione.

Nel caso che la sostituzione avvenga in posizione 2 ( ovvero 5) si hanno 3 strutture limite di risonanza:

sostituzione elettrofila

Nel caso in cui la sostituzione avvenga in posizione 3 (ovvero 5) si hanno solo 2 strutture limite di risonanza:

sostituzione elettrofila

Pertanto la sostituzione in posizione 2 è favorita ed infatti la nitrazione del pirrolo porta all’80% del 2-nitropirrolo e al 20% del 3-nitropirrolo.

Nell’ambito delle reazioni si sostituzione elettrofila, come il benzene, il pirrolo dà luogo alla nitrazione, solfonazione alogenazione, alchilazione e acilazione.

Una tipica reazione del pirrolo è la reazione di Mannich in cui reagisce con un’ammina secondaria e metanale per dare un prodotto di sostituzione elettrofila

sostituzione elettrofila

La reazione del pirrolo detta reazione di Vilsmeier con un’ammide N,N-disostituita porta all’acilazione in posizione 2

sostituzione elettrofila

La reattività del pirrolo alla sostituzione elettrofila è paragonabile a quella dei fenoli e delle aniline. Ad esempio reagisce con lo iodio per dare il tetraidropirrolo; dà reazioni di copulazione con i sali di diazonio e dà reazione di Friedel-Craft con anidride acetica.

Il pirrolo reagisce con le basi forti o con i reattivi di Grignard o con il potassio in solventi inerti e con sodio ammide in ammoniaca per dare sali che possono essere usati per alchilare o acilare l’atomo di azoto.

Porfirine

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Quanto più si impara a conoscere la chimica, tanto più spesso si rimane stupiti dai principi della natura. La natura ci impressiona per la sua complessità e precisione e spiega il modo in cui si applica ordinatamente uno stesso concetto di base alle diverse situazioni. La porfirina è uno di quei composti con caratteristiche uniche e peculiari che tuttavia mostra una versatilità e una capacità di giocare un ruolo chiave in molti fenomeni chimici.

Con il termine di porfirine vengono indicati un tipo di composti solubili in acqua contenenti azoto che sono tra i pigmenti biologici tra cui le emoproteiene come la clorofilla presente nei grana dei cloroplasti delle cellule vegetali, l’emoglobina presente nei globuli rossi del sangue dei vertebrati, i citocromi presenti nelle cellule degli organismi aerobi e la catalasi presente in tutti gli esseri viventi a eccezione dei microrganismi anaerobi.

Le porfirine hanno una struttura chimica complessa e sono costituite da quattro anelli di pirrolo legati tra loro tramite ponti metinici –CH=.

porfirina

La molecola è stabilizzata dal carattere aromatico che si estende sull’intera struttura pertanto le porfirine godono di una stabilità elevata e una scarsa reattività, tuttavia è possibile effettuare trasformazioni delle catene laterali che non intaccano il nucleo porfirinico.

I quattro atomi di azoto presenti al centro della molecola possono legarsi a uno ione metallico abitualmente di carica +2 o +3 come il ferro nell’emoglobina, il cobalto nella vitamina B12 e il magnesio nella clorofilla per formare stabili complessi organometallici.

Tutte le porfirine, dette pigmenti della vita, sono costituite da un sistema con un alto grado di coniugazione e assorbono alcune radiazioni della luce bianca riflettendo le rimanenti che si compongono per dare una determinata colorazione che è rossa nel caso dell’emoglobina e della vitamina B12 e verde nel caso della clorofilla.

Le porfirine sono protagoniste di un ampio spettro di funzioni nei sistemi biologici che vanno dal trasferimento di elettroni, trasporto di ossigeno e trasduzione di energia fotosintetica. Il chimico tedesco Alfred E. Treibs isolò per primo metalloporfirine simili alla clorofilla nel petrolio confermandone l’origine biologica.

La biosintesi delle porfirine avviene per condensazione della glicina con il succinil-CoA in presenza di ALA sintetasi per ottenere l’acido δ-aminolevulinico (dALA) che viene trasportato fuori dai mitocondri e nel citoplasma due molecole di dALA si combinano per dare il porfobilinogeno (PBG) che contiene un anello pirrolico. Quattro molecole di PBG si combinano tramite deamminazione per dare l’idrossimetilbilano (HMB) che idrolizza con formazione dell’uroporfirinogeno III che dopo successive modificazioni dà luogo alla formazione della porfirina IX che si combine con il ferro per dare l’eme.

Le porfirine possono essere sintetizzate per condensazione e ossidazione del pirrolo con un’aldeide in presenza di un acido come l’acido formico. I sottoprodotti della reazione vengono allontanati tramite ricristallizzazione o per via cromatografica

sintesi

Le porfirine trovano utilizzo in ambito medico in alcune patologie per la loro capacità di assorbire la luce che è convertita in calore ed energia, come catalizzatori e come coloranti.

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