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Distillazione dell’etanolo

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L’etanolo è l’alcol più diffuso che trova largo utilizzo nei campi più svariati sia come disinfettante che nell’industria cosmetica, come solvente, nella preparazione di vernici oltre che come reagente nelle sintesi chimiche.

Esso si ottiene in natura dalla fermentazione degli zuccheri e può essere sintetizzato tramite varie reazioni sia in laboratorio che a livello industriale.

Per ottenere bevande alcoliche come cognac, whisky, rum e vodka si sottopongono a distillazione le soluzioni costituite da liquidi zuccherini fermentabili come vino, canna da zucchero, cereali, tuberi amidacei o zuccherini in cui la quantità di etanolo presente è in genere al massimo il 15%.

In linea puramente teorica, poiché la temperatura di ebollizione dell’etanolo è di 78.5°C mentre quella dell’acqua è di 100°C si potrebbero ottenere i due liquidi puri tramite un processo di distillazione essendo le due temperature sufficientemente diverse tra loro.

Tuttavia la soluzione di etanolo e acqua non si comporta da soluzione ideale e presenta una deviazione positiva dalla legge di Raoult con formazione di un azeotropo di minima con una temperatura di ebollizione di 78.2°C che consente di ottenere una soluzione alcolica al 95.6% V/V come si può vedere dal seguente diagramma isobarico:

curva distillazione

La conseguenza della deviazione dall’idealità della soluzione etanolo/acqua è che non si può ottenere alcol puro al 100% tramite un processo di distillazione frazionata.

Pertanto per ottenere etanolo puro si deve procedere a una disidratazione della soluzione alcolica ottenuta tramite distillazione che può essere effettuata utilizzando carbone attivo o setacci molecolari a base di zeoliti.


Equazioni termochimiche: esercizi

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Un’equazione termochimica definisce la variazione che ha luogo in termini di formule delle sostanze coinvolte considerando i loro stati fisici e il calore di reazione coinvolto.

Un tale tipo di reazione può essere utilizzata per ottenere informazioni utili da dati termodinamici tabulati sfruttando alcune proprietà:

  • Se in una data reazione la variazione di entalpia vale ΔH, per il processo inverso vale – ΔH
  • Moltiplicando una equazione termochimica per una costante le quantità termodinamiche devono essere moltiplicate per la stessa costante
  • Per la legge di Hess la variazione di entalpia relativa a una reazione è indipendente dal numero di stadi in cui la reazione avviene
  • La quantità termodinamica associata a una reazione può essere utilizzata per uno dei reagenti o dei prodotti tenendo conto dei coefficienti stechiometrici.

Esercizi

1) Il perossido di idrogeno si decompone secondo la seguente equazione termochimica:

H2O2(l) → H2O(l) + ½ O2(g)  ΔH = – 98.2 kJ. Calcolare la variazione di entalpia a seguito della decomposizione di 1.00 g di perossido di idrogeno

L’equazione fornisce l’indicazione che, quando si decompone una mole di perossido di idrogeno, la variazione di entalpia vale – 98.2 kJ.

Le moli di perossido di idrogeno corrispondenti a 1.00 g sono pari a:

moli di H2O2 = 1.00 g/34.0147 g/mol= 0.0294

ΔH = 0.0294 mol ∙(- 98.2 kJ/mol) = – 2.89 kJ

2) Per la reazione 2 Ti(s) + 4 Cl2(g) → 2 TiCl4(l) la variazione di entalpia vale – 1608.4 J. Calcolare la variazione di entalpia relativa alla reazione TiCl4(l) → Ti(s) +  Cl2(g)

Per la regola 1) la variazione di entalpia relativa alla reazione 2 TiCl4(l) → 2 Ti(s) + 4 Cl2(g) vale + 1608.4 J

Per calcolare la variazione di entalpia relativa alla reazione richiesta basta dividere per 2 i coefficienti stechiometrici della reazione precedente quindi per la regola 2) si ha ΔH = + 1608.4 J/2 = 804.2 J

3) Data la seguente equazione termochimica CH4(g) + 2 O2(g)→ CO2(g) + H2O(l) ΔH = – 890 kJ calcolare:

Il calore sviluppato dalla combustione di 56.1 g di metano

La variazione di entalpia quando vengono consumati 40.0 g di O2

La massa di metano necessaria per ottenere 2000 J

Poiché la variazione di entalpia della reazione ha segno negativo ciò implica che la reazione è esotermica ovvero avviene con sviluppo di calore; dalla combustione di 1 mole di metano corrispondente a 56.1 g di metano si ottengono 890 kJ.

moli di metano = 56.1 g/16.04 g/mol= 3.50

Il calore sviluppato vale quindi 3.50 mol ∙ 890 kJ/mol= 3115 kJ

Quando vengono consumate 2 moli di ossigeno la variazione di entalpia vale – 890 kJ

Le moli di ossigeno corrispondenti a 40.0 g sono pari a:

moli di O2 = 40.0 g/32 g/mol=1.25

La variazione di entalpia vale quindi:

ΔH = (-890 kJ/ 2 mol O2)(1.25 mol O2) = – 556 kJ

Dalla combustione di 1 mole di metano pari a 16.04 g si ottengono 890 kJ quindi per ottenere 2 kJ occorrono (2 kJ)(16.04 g)/ 890 kJ= 0.036 g

4) Data la seguente equazione termochimica 2 Fe(s) + 3 CO2(g)→ Fe2O3(s) + 3 CO(g) ΔH = +26.3  kJ calcolare:

I grammi di ferro consumati quando vengono assorbiti 54.0 J

Il calore assorbito per la formazione di 6.5 g di Fe2O3

La reazione ha una variazione di entalpia positiva e ciò implica che essa è endotermica e quando vengono consumate 2 moli di Fe corrispondenti a 2 mol ∙ 55.845 g/mol = 111.69 g vengono assorbiti 26.3 kJ. Pertanto i grammi di ferro consumati quando vengono assorbiti 54.0 J è pari a: (111.69 g)(54.0 J)/26300 J = 0.229 g

Quando si forma 1 mole di Fe2O3 corrispondente a 159.69 g vengono assorbiti 26.3 kJ. Pertanto il calore assorbito per la formazione di 6.5 g di Fe2O3 è pari a (6.5 g)(26.3 kJ)/159.69 g = 1.1 kJ

Fluoruro di calcio

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Il fluoruro di calcio è un composto inorganico avente formula CaF2 presente nel minerale fluorite.

E’ un sale bianco, cristallino e, avendo un valore di Kps pari a 3.45 ∙ 10-11 ha una solubilità in acqua di 0.0160 g/L.

E’ insolubile in acetone ma è solubile in soluzioni acide per acido cloridrico, acido fluoridrico, acido nitrico, acido solforico in quanto la solubilità aumenta al diminuire del pH.

Il fluoruro di calcio è un solido ionico la cui struttura è costituita da due celle cubiche semplici in cui lo ione Ca2+ coordina 8 ioni F, mentre lo ione F per soddisfare la regola dell’elettroneutralità locale ha numero di coordinazione 4

CaF2

Può essere ottenuto per reazione del carbonato di calcio con acido fluoridrico con formazione di fluoruro di calcio, biossido di carbonio e acqua:

CaCO3(s) + 2 HF(aq) → CaF2(s) + CO2(g)+ H2O(l)

Ad elevate temperature reagisce con l’acido solforico concentrato per dare solfato di calcio e fluoruro di idrogeno secondo una reazione di doppio scambio:

CaF2(s) + H2SO4(aq) → CaSO4(s) + 2 HF(g)

Il fluoruro di calcio reagisce con l’ossido di boro per dare fluoruro di boro e ossido di calcio secondo la reazione:

3 CaF2(s) + B2O3(s) →  BF3(g) + 3 CaO(s)

Il fluoruro di calcio è trasparente nella regione del visibile ma mostra assorbimento ottico nella regione dell’U.V. e dell’I.R..

Viene utilizzato nella produzione del vetro, di smalti, di agenti per saldatura e nella metallurgia dell’alluminio, per l’ottenimento di lenti speciali utilizzate nei telescopi.

Nanoparticelle di fluoruro di calcio vengono usate in alcuni dentifrici per prevenire la carie

Calore di idratazione. Esercizi

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Il calore di idratazione corrisponde alla variazione di entalpia che si verifica quando un sale anidro si combina con un determinato numero di molecole di acqua per dare un sale idrato.

Il calore di idratazione, tuttavia, può riferirsi anche alla variazione di entalpia che di verifica quando una mole di ioni gassosi si solubilizzano in acqua sufficiente per dare una soluzione molto diluita.

Un esempio di tale fenomeno può essere descritto dalla reazione tra il solfato di rame (II) che si combina con 5 molecole di acqua per dare solfato di rame (II) pentaidrato secondo la reazione:

CuSO4(s)+ 5 H2O(l) → CuSO4 ∙ 5 H2O(aq)

Il calore di idratazione del sale può essere calcolato conoscendo l’entalpia di soluzione del sale anidro e del sale idrato. Il sale anidro che si combina rapidamente con un certo numero di molecole d’acqua per formare il sale idrato dà luogo alla formazione di calore pertanto la variazione di entalpia ΔH è minore di zero.

La differenza tra l’entalpia del sale idrato rispetto a quella del sale anidro fornisce il calore di idratazione del sale : ΔHidr= ΔHsol – ΔHanidro (*)

 

Esercizi

  • L’entalpia di soluzione del solfato di rame (II) è pari a – 66.5 kJ/mol mentre quella del sale idrato è di + 11.7 kJ/mol. Calcolare il calore di idratazione

I dati forniti dal testo sono relativi alle due seguenti trasformazioni:

CuSO4(s)+ H2O(l) → CuSO4(aq)    ΔH = – 66.5 kJ/mol (1)

CuSO4 ∙ 5 H2O(aq) → CuSO4(aq)+ 5 H2O(l) ΔH = + 11.7 kJ/mol

Ciò implica che per la reazione

CuSO4(aq)+ 5 H2O(l) → CuSO4 ∙ 5 H2O(aq)  ΔH = – 11.7 kJ/mol  (2)

Sommando membro a membro la (1) e la (2) e semplificando si ha ΔH = – 11.7 kJ/mol – 66.5 kJ/mol = – 78.2 kJ/mol

Allo stesso risultato si perviene applicando la formula (*): ΔH = – 66.5 kJ/mol – (+11.7) = – 78.2 kJ/mol

  • Calcolare l’entalpia di soluzione del cloruro di calcio sapendo che l’entalpia di idratazione dello ione calcio gassoso è di – 1650 kJ/mol, quella dello ione cloruro gassoso è di – 364 kJ/mol e l’entalpia del sale anidro è di + 2258 kJ/mol

I dati forniti dal testo sono relativi alle due seguenti trasformazioni:

Ca2+(g) → Ca2+(aq)   ΔH = – 1650 kJ/mol

Cl(g) → Cl(aq)   ΔH = – 364 kJ/mol

CaCl2(s) → CaCl2(aq)  ΔH = + 2258 kJ/mol

Dalla (*) si ha:

ΔHsol= ΔHidr  + ΔHanidro

ΔHidr   =  – 1650 kJ/mol + 2(- 364 kJ/mol) = – 2378 kJ/mol

ΔHsol= + 2258 kJ/mol – 2378 kJ/mol = – 120 kJ/mol

Acido angelico

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L’acido angelico è un acido carbossilico monoinsaturo che ha formula CH3CH=C(CH3)COOH il cui nome I.U.P.A.C. è acido (2Z)-metilbuten-2-oico e ha struttura

struttura acido angelico

Forma con l’acido tiglico (2E)-metilbuten-2-oico una coppia di isomeri cis-trans e si converte in esso ad alta temperatura in una reazione di isomerizzazione.

Tale reazione può avvenire anche in presenza di acido solforico concentrato o a caldo in soluzione diluita di idrossido di sodio.

L’isomerizzazione inversa da acido tiglico ad acido angelico avviene molto meno rapidamente.

Fu isolato per la prima volta dal chimico tedesco Ludwig Andreas Buchner nel 1842 dalle radici dell’Angelica arcangelica a cui deve il nome. E’ stato isolato dalla secrezione difensiva di alcuni coleotteri appartenenti alla famiglia dei carabidi.

E’ un solido volatile e ha un pungente odore acido e sapore acre, forma cristalli solubili in alcol o in acqua calda mentre si solubilizza lentamente in acqua fredda.

Gli esteri dell’acido angelico costituiscono dei componenti attivi di fitofarmaci usati per molti tipi di disturbi tra cui febbre, coliche, perdita di appetito, bruciore di stomaco, gotta, emicrania ed è utilizzato quale sedativo.

Termodinamica dei processi di dissoluzione

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Le soluzioni sono miscugli omogenei costituiti da un soluto e da un solvente che condividono la medesima fase.

Nel caso di soluzioni costituite da un solvente liquido e da un soluto solido avviene un processo di dissoluzione in cui le particelle del soluto vengono disperse nel solvente.

Il soluto è in genere costituito da un solido ionico dove sono presenti forze coesive di natura elettrostatica tra anioni e cationi disposti in un reticolo cristallino come nel caso di NaCl o da un solido molecolare costituito dalla disposizione regolare nello spazio di molecole discrete come nel caso del saccarosio.

Nei processi di dissoluzione il solvente deve rompere le forze di coesione presenti nell’edificio cristallino di cui è costituito il soluto.

La coesione è rappresentata dall’energia reticolare che è la somma delle interazioni attrattive e repulsive tra tutte le molecole o gli ioni nel cristallo. Quindi per sciogliere un solido bisogna fornire al sistema un’energia pari all’energia reticolare.

Il calore assorbito o emesso durante il processo di dissoluzione è pari all’entalpia di soluzione che dipende dalla natura del soluto, da quella del solvente e dalla temperatura del sistema.

Si verifica che i processi esotermici risultano inibiti da un aumento di temperatura, mentre i processi endotermici risultano favoriti da un aumento della temperatura.

Quindi se la dissoluzione avviene con sviluppo di calore, allora scaldando la soluzione il sale si scioglierà di meno. Viceversa, il caso più comune è quello delle dissoluzioni endotermiche, per cui la dissoluzione avviene con assorbimento di calore, e un aumento della temperatura fa sciogliere una quantità maggiore di composto.

Solidi ionici

La dissoluzione di un solido ionico in acqua può essere vista come una sequenza di due stadi:

MX → M+ + X

Tale processo è di tipo endotermico (ΔH >0) in quanto è richiesta energia per rompere il reticolo cristallino

M+ + X + H2O → M+(aq)+ X(aq)

Questo processo di idratazione è sempre di tipo esotermico (ΔH < 0) in quanto le molecole di acqua vengono attratte nel campo elettrostatico dello ione.

Il processo complessivo ha una variazione di entalpia data dalla somma delle entalpie dei due singoli processi che potrà avere segno negativo il che implica che la dissoluzione avviene con sviluppo di calore o segno positivo il che implica che la dissoluzione avviene con assorbimento di calore.

C’è tuttavia un altro fattore che influenza il processo di solubilizzazione che è costituito dall’entropia.

Sebbene in linea di principio quando un solido viene disperso in una fase liquida vi è un aumento di entropia, nel caso di solidi ionici, ogni ione viene circondato da molecole di acqua che rientrano nel guscio di idratazione con diminuzione di entropia. In taluni casi questo effetto porta a una netta diminuzione di entropia e quindi il processo diviene meno probabile all’aumentare della temperatura.

Solidi molecolari

I solidi molecolari possono essere costituiti da molecole in cui sono presenti atomi con elevata differenza di elettronegatività e le molecole si impacchettano in modo da aderire l’una all’altra in modo da ottimizzare i contatti tra le zone polarizzate con cariche di segno opposto e minimizzare i contatti tra le zone dello stesso segno.

Se gli atomi che costituiscono le molecole del solido molecolare non hanno elevata differenza di elettronegativitàle molecole sono apolari e la coesione è dovuta all’attrazione tra dipoli istantanei.

Le forze intermolecolari dei solidi molecolari richiedono una certa quantità di energia per essere rotte al fine di disperdere le unità molecolari nel solvente. L’aumento di entropia conseguente alla rottura del cristallo può essere maggiore dell’energia reticolare se le forze di legame non sono elevate e in tal caso si ha la solubilizzazione del soluto.

La polarità del solvente e l’eventuale presenza di legami a idrogeno influenzano la solubilità del solido infatti all’aumentare del peso molecolare aumentano le forze di legame e la solubilità diminuisce.

Alluminio

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L’alluminio è un metallo del blocco p appartenente al Gruppo 13 e al 3° Periodo avente numero atomico 13 e configurazione elettronica 1s2,2s2,2p6, 3s2,3p1.

Il numero di ossidazione più comune è +3  sebbene vi siano composti, specie in fase gassosa dove presenta numero di ossidazione +2 e +1.

E’ il metallo più abbondante sulla crosta terrestre ed è, dopo ossigeno e silicio il terzo elemento più abbondante.

Il minerale da cui si ricava l’alluminio è principalmente la bauxite dove si trova sotto forma di Al2O3· 2 H2O ma esso è rinvenuto in minerali alluminosilicati e nella criolite dove è presente sotto forma di Na3AlF6.

E’ un metallo noto fin dall’antichità e Plinio il Vecchio cita una coppa donata da un artigiano a Tiberio di un metallo sconosciuto molto leggero.

Sebbene i composti dell’alluminio fossero noti fin da tempi remoti fu solo nel 1807 che il chimico britannico Sir Humphrey Davy ipotizzò che il solfato di alluminio fosse il sale di un metallo che poteva essere ottenuto tramite processi elettrolitici.

Nel 1825 il chimico danese Hans Christian Ørsted dichiarò di aver ottenuto il metallo per elettrolisi anche se non è noto se il metallo era puro o in lega con altri elementi.

Fu solo nel 1886 che lo statunitense Charles Martin Hall e il francese Paul L.T. Héroult scoprirono che l’ossido di alluminio si scioglie facilmente nella criolite fusa e può quindi essere decomposto per via elettrolitica nel metallo grezzo fuso.

Il complesso processo di estrazione dell’alluminio ne giustifica sia il costo che il suo isolamento in epoca relativamente recente.

L’alluminio si presenta lucido assorbendo molte radiazione U.V. e riflettendo le radiazioni del campo del visibile pertanto la luce riflessa è priva di colorazione.

E’ relativamente tenero, resistente, buon conduttore di calore e di elettricità. E’ molto reattivo e tende a ricoprirsi di uno strato superficiale di ossido di alluminio Al2O3 che lo protegge da ulteriori ossidazioni tramite il fenomeno noto come passivazione.

Reazioni

L’alluminio reagisce con gli acidi per dare idrogeno gassoso:

2 Al(s)+ 6 H+(aq)→ 2Al3+(aq) + 3 H2(g)

In presenza di base l’alluminio dà luogo alla formazione di tetraidrossoalluminato e sviluppo di idrogeno:

2 Al(s)+ 2 NaOH(aq) + 6 H2O(l) → 2 [Al(OH)4](aq) + 2 Na+(aq) + 3 H2(g)

L’alluminio reagisce con gli alogeni per dare i rispettivi alogenuri che si comportano da acidi di Lewis secondo la reazione generale:

2 Al +3 X2 → 2 AlX3

Una delle reazioni più note dell’alluminio è quella della termite che viene condotta bruciando una miscela di ossido di ferro e polvere di alluminio con ottenimento di energia così elevata da provocare la fusione del ferro che costituisce uno dei prodotti della reazione stessa. 

Gli ossidi metallici usati nella termite sono sia l’ossido di ferro (III) Fe2O3 noto anche come ematite che l’ossido di ferro (II) e (III) Fe3O4 noto come magnetite. 

La reazione tra l’ossido metallico e l’alluminio in povere che costituisce un esempio di reazione di scambio semplice è:

Fe2O3(s) + 2 Al(s) → Al2O3(s) + 2 Fe(l)

con ottenimento di ossido di alluminio e ferro.

Tra i composti dell’alluminio riveste particolare importanza il litio alluminio idruro utilizzato in molte sintesi organiche grazie alla sua azione riducente.

Usi

L’alluminio viene spesso utilizzato in lega con il rame, magnesio, manganese e silicio il cui usate in campo aeronautico e aerospaziale.

Trova utilizzo nei settori più svariati come, ad esempio, nell’edilizia per porte e finestre, come materiale da imballaggio, se finemente suddiviso nella preparazione di vernici e come utensile da cucina. Le pentole di alluminio consentono una distribuzione uniforme del calore e, grazie al fatto che l’alluminio si surriscalda difficilmente viene ridotto al minimo il rischio di bruciature. 

Processo sol-gel

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Una sospensione colloidale in cui le particelle di soluto di dimensioni tra 1 nm e 1 μn sono disperse in un liquido viene detta sol.

Un sistema colloidale costituito da due fasi ovvero da un liquido disperso e inglobato nella fase solida viene detto gel.

Il processo sol-gel nella formazione di un gel a partire da un sol tramite reazioni di idrolisi e condensazione.

Tale processo viene ampiamente utilizzato per ottenere materiali come polveri abrasive, fibre ottiche, polveri ceramiche, film sottili.

I materiali di partenza utilizzati nella preparazione del sol sono solitamente sali metallici inorganici o composti organici metallici come alcossidi metallici che si presentano sotto forma di M(OR)n essendo M un metallo e OR un gruppo uscente o come R’-M(OR)n-1 essendo R’ un gruppo organico legato al metallo tramite legame covalente o di coordinazione
Nel processo sol-gel il precursore viene sottoposto a un’idrolisi con formazione di un idrossido:

M-OR + H2O → M-OH + ROH

L’idrossido può quindi reagire con altri centri metallici per condensazione per dare un oligopolimero

M-OH + XO-M → M-O-M + X-OH 

Il punto di partenza di un gel di silice è costituito da un alcossido o da un silanolo che dà luogo a reazioni di idrolisi e condensazione spesso catalizzate da ambienti acidi o basici.

Nella reazione di idrolisi si ha la sostituzione di un gruppo alcossidico -OR con un gruppo ossidrile -OH. Nelle successive reazioni di condensazione si ha la formazione di legami silossanici (Si-O-Si) con formazione di acqua o alcol

≡Si-OR + H2O → ≡Si-OH + ROR (idrolisi)

≡Si-OH + ≡Si-OR → ≡Si-O-Si≡ + ROH (condensazione)

≡Si-OH + ≡Si-OH → ≡Si-O-Si≡ + H2O (condensazione)

Quando la polimerizzazione è condotta in ambiente basico le particelle si aggregano formando un numero minore di particelle di dimensioni maggiori.

In tal caso il prodotto finale della polimerizzazione è un sol. Al contrario, in ambiente acido, o in presenza di un sale  quale agente flocculante, le particelle si aggregano in reticoli tridimensionali formando il gel.

Le strutture ottenute possono accrescersi o aggregarsi fino a raggiungere grosse dimensioni con formazione del gel.

L’allontanamento del solvente viene attuato per essiccazione a cui segue un trattamento termico, spesso necessario per favorire ulteriori policondensazioni e migliorare le proprietà meccaniche e la stabilità strutturale del materiale attraverso la sinterizzazione.

La possibilità di variare il tipo di solvente, le proporzioni tra alcossido metallico ed acqua nella reazione di idrolisi, la forza ionica del mezzo di reazione, il tipo di catalizzatore porta alla formazione di prodotti dalle differenti proprietà che rappresenta indubbiamente uno dei maggiori vantaggi offerti dal processo sol-gel.


Reazioni di idrolisi

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Le reazioni di idrolisi dal greco ὕδωρ e λύω, che significa sciogliere in acqua sono reazioni che possono essere viste come l’opposto delle reazioni di condensazione.

Nelle reazioni di condensazione, infatti, due molecole si combinano tra loro per dare una molecola con un maggior peso molecolare ed eliminazione di un’altra molecola a basso peso molecolare che spesso è rappresentata dall’acqua.

Le reazioni di idrolisi possono verificarsi sia nei composti inorganici che nei composti organici.

Idrolisi dei sali

I sali derivanti da acidi forti e da basi forti come NaCl si dissociano in ioni Na+ e Cl che non danno luogo a idrolisi e il pH della soluzione è neutro.

I sali derivanti da acidi forti e basi deboli come NH4Cl si dissociano in ioni NH4+ e Cl. Lo ione ammonio idrolizza secondo l’equilibrio:

NH4+ + H2O ⇌ NH3 + H3O+

Pertanto il pH della soluzione è acido

I sali derivanti da acidi deboli e basi forti come NaF si dissociano in ioni Na+ e F. Lo ione fluoruro idrolizza secondo l’equilibrio:

F + H2O ⇌ HF + OH

Pertanto il pH della soluzione è basico

I sali derivanti da acido debole e base debole come NH4F si dissociano in ioni NH4 e F. In tal caso idrolizzano sia lo ione ammonio che lo ione fluoruro e, in generale, il pH della soluzione è determinato dal valore delle costanti Kb e Ka

Idrolisi degli acidi

Gli acidi deboli idrolizzano agendo da acidi di Brønsted-Lowry donando un protone all’acqua che si comporta da base:

HCN + H2O ⇌ CN + H3O+

Idrolisi delle basi

Le basi deboli si idrolizzano agendo da basi di Brønsted-Lowry accettando un protone all’acqua che si comporta da acido:

NH3 + H2O ⇌ NH4+ + OH

Le reazioni di idrolisi riguardano anche i composti organici come, ad esempio, l’idrolisi del saccarosio che dà luogo alla formazione di glucosio e fruttosio

idrolisi saccarosio

Molto comuni, in chimica organica, sono le reazioni di idrolisi che avvengono in ambiente acido o in ambiente basico.

Un esempio è l’idrolisi acida delle ammidi in cui lo ione H+ protona l’ossigeno del carbonio carbonilico con formazione di un carbocatione.

Quest’ultimo subisce l’attacco nucleofilo dell’acqua ad opera del doppietto elettronico solitario presente sull’ossigeno con formazione di un intermedio che, a seguito di reazioni di equilibrio, porta alla formazione di un acido carbossilico

idrolisi ammidi

Un esempio di idrolisi alcalina è l’idrolisi degli esteri in ambiente basico detta anche reazione di saponificazione che avviene tramite un meccanismo di addizione-eliminazione.

Lo ione OH attacca il carbonio carbonilico con rottura del doppio legame (addizione) seguita dall’eliminazione del gruppo –OR dell’estere con formazione dello ione carbossilato

idrolisi esteri

Le reazioni di idrolisi sono comuni anche nell’ambito della biochimica; un esempio è fornito dall’idrolisi dell’ATP da cui si ottiene ADP, fosfato ed energia

idrolisi ATP

L’idrolisi ha un ruolo fondamentale anche nel metabolismo degli alimenti del cibo facilmente assimilabili. 

La maggior parte dei composti organici presenti negli alimenti non reagisce facilmente con l’acqua, e di solito è necessario un catalizzatore per consentire che questi processi abbiano luogo. I catalizzatori organici che aiutano con le reazioni negli organismi viventi sono noti come enzimi. Nel corpo, enzimi come lipasi, carboidrasi e proteasi catalizzano le reazioni con grassi, carboidrati e proteine ​​con l’acqua.

Energia rilasciata nell’idrolisi dell’ATP

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L’adenosina trifosfato è un composto ad alta energia che consente, tramite lo “stratagemma” delle reazioni accoppiate, a molte reazioni termodinamicamente sfavorite, di poter avvenire.

L’idrolisi dell’ATP, catalizzata dall’enzima ATPasi, è una reazione che avviene con rilascio di energia che può essere quantificato: la variazione di energia libera di Gibbs in condizioni standard relativa all’equilibrio:

ATP + H2O ⇌ ADP + Pi

vale – 30.5 kJ/mol.

Nel calcolo della variazione di energia libera in condizioni standard si assume che le concentrazioni delle specie siano pari a 1 M. Tuttavia le concentrazioni biologiche delle specie sono dell’ordine 1 mM pertanto per ottenere la variazione di energia libera in tali condizioni si deve applicare l’equazione generale:

ΔG = ΔG° + RT ln Q

Dove, nella fattispecie Q = [ADP][Pi]/[ATP].

Le concentrazioni di tali specie variano a seconda della temperatura, del pH e del tipo di cellula e pertanto, a titolo di esempio, verranno considerate le concentrazioni di tali specie alla temperatura di 25°C a pH = 7 negli eritrociti.

In tali condizioni si ha: [ADP] = 2.50 ∙ 10-4 M; [Pi] = 1.65 ∙ 10-3 M; [ATP] = 2.25 ∙ 10-3 M.

Tenendo conto che R = 8.315 J/mol∙K e che T = 298 K si ha:

ΔG = – 30500 J/mol + (8.315 J/mol∙K)(298 K)  ln (2.50 ∙ 10-4 )(1.65 ∙ 10-3) /2.25 ∙ 10-3 = – 5.18 ∙ 103 J/mol= – 51.8 kJ/mol

Tale valore è molto maggiore, in valore assoluto, rispetto a quello calcolato in condizioni standard.

Anche senza disporre di dati di riferimento dettagliati ipotizzando una concentrazione uguale di tutte le specie con un ordine di grandezza della concentrazione di 1 mM si ottiene, con calcoli analoghi un valore di ΔG di – 47.6 kJ/mol

Meccanismo di azione degli antiossidanti

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Gli antiossidanti sono composti in grado di ritardare o inibire i processi di ossidazione che si verificano sotto l’influenza dell’ossigeno atmosferico o delle specie reattive dell’ossigeno ROS acronimo di Reactive Oxygen species tra cui perossidi, superossidi e radicali.

Gli antiossidanti sono coinvolti nel meccanismo di difesa dell’organismo contro le patologie associate all’attacco dei radicali liberi.

Gli antiossidanti endogeni sono enzimi, come la superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi o composti non enzimatici, come l’acido urico, la bilirubina, l’albumina e le metallotioneine. 

Quando i fattori endogeni non sono in grado di assicurare una protezione completa dell’organismo contro le ROS, sorge la necessità di antiossidanti esogeni, come integratori nutrizionali o prodotti farmaceutici, che contengono come principio attivo un composto antiossidante. 

I più importanti antiossidanti esogeni sono la vitamina E, la vitamina C, il beta-carotene, i flavonoidi, ma anche la vitamina D e K3.

La carenza di antiossidanti provoca lo stress ossidativo che si manifesta con l’attacco dei radicali liberi che danneggiano i componenti della cellula tra cui lipidi, proteine e DNA.

Le caratteristiche essenziali dell’ossidazione attraverso una reazione a catena mediata dai radicali liberi sono fasi di iniziazione, propagazione e terminazione.

Il processo può essere avviato dall’azione di agenti esterni come calore, luce o radiazioni ionizzanti o dall’iniziazione chimica che coinvolge ioni metallici o metalloproteine.​​

Iniziazione

Un substrato LH come, ad esempio un lipide, viene attaccato da un radicale R∙ con formazione di un radicale L∙ altamente reattivo:

LH + R∙ → L∙ + RH

Propagazione

Il radicale L∙ reagisce rapidamente con l’ossigeno per dare un radicale perossilico

L∙ + O2 → LOO∙

Il radicale LOO∙ può ulteriormente ossidare il lipide cone formazione di idroperossidi lipidici:

LOO∙ + LH → L∙ + LOOH

Gli idroperossidi lipidici a loro volta danno luogo alla formazione di una vasta gamma di composti come alcoli, aldeidi, chetoni, radicali tra cui il radicale alcossido RO∙

Terminazione

Durante la fase di terminazione due radicali si legano tra loro per dare un composto stabile:

LOO∙ + LOO∙ → LOOL + O2

L∙ + L∙ → L-L

LOO∙ + L∙ → LOOL

A seconda del meccanismo di azione gli antiossidanti possono essere classificati in tre gruppi principali: preventivi, scavenger e i chain breaker ed infine quelli di riparo.

Gli antiossidanti preventivi impediscono la formazione dei radicali prevenendone la formazione o convertendoli in molecole non dannose.

Essi agiscono con vari meccanismi come la chelazione dei metalli di transizione, l’inattivazione dei perossidi o il quenching delle ROS in modo che le reazioni radicaliche non abbaino inizio.

Ad esempio:

  • l’enzima superossido dismutasi catalizza la reazione 2 H++ 2 O2 → H2O2 + O2
  • l’enzima glutatione perossidasi catalizza la reazione del perossido di idrogeno e dei perossidi lipidici in altre molecole prima della formazione di radicali liberi secondo la reazione 2 glutatione + H2O2→ glutatione disolfuro + H2O
  • l’enzima catalasi catalizza la conversione del perossido di idrogeno in ossigeno e acqua: 2 H2O2→ O2+ 2 H2O
  • proteine come ferritina e la transferrina che contribuiscono alla difesa fornita dagli antiossidanti chelando i metalli di transizione e, nello specifico il ferro, e prevenendo l’effetto catalitico che questi forniscono alla produzione di radicali liberi.

Gli antiossidanti secondari detti scavenger sono sostanze diverse sia idrosolubili che liposolubili che catturano i radicali liberi prevenendo le tipiche reazioni a catena.

Essi riducono la concentrazione di radicali liberi interagendo con essi e inattivandoli.

Esempi di antiossidanti secondari scavenger sono l’ubichinone, i composti tiolici, l’albumina, la bilirubina e l’acido urico.

Tra gli antiossidanti secondari vi sono i chain breaker che sono in grado di bloccare la propagazione delle reazioni radicaliche a catena.

Esempi di antiossidanti secondari chain breaker sono carotenoidi, tocoferoli e ascorbato.

Gli antiossidanti terziari, detti agenti di riparo, sono enzimi che esplicano la loro azione dopo che è avvenuto il danno provocato della specie reattive. essi, dopo aver determinato il segmento molecolare ossidato, eliminano il frammento inutilizzabile e inseriscono un nuovo segmento al posto di quello eliminato.

Esempi di antiossidanti di riparo sono le idrolasi, le trasferasi e le polimerasi che riparano molecole come il DNA di danni provocati dai radicali liberi.

 

 

Elettrochimica: esercizi svolti

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Per risolvere gli esercizi di elettrochimica devono essere noti i concetti di:

Esercizi

  • Determinare se una soluzione di solfato di rame (II) può essere conservata in un recipiente di zinco

Per risolvere il quesito si devono conoscere i potenziali normali di riduzione che sono presenti nelle apposite tabelle:

Cu2+ + 2 e → Cu   E° = + 0.337 V

Zn2+ + 2 e → Zn   E° = – 0.763 V

Entrambi i potenziali sono riferiti alle rispettive semireazioni di riduzione e poiché una reazione redox possa avvenire è necessario che avvenga una semireazione di ossidazione per la quale il potenziale è pari a quello di riduzione con il segno cambiato e una semireazione di riduzione.

Per la semireazione di ossidazione Zn → Zn2+ + 2 e- il potenziale è pari a + 0.763 V

Pertanto le due semireazioni sono:

Cu2+ + 2 e → Cu   E° = + 0.337 V

Zn → Zn + 2 e   E° = + 0.763 V

Il potenziale della reazione Cu2+ + Zn → Cu + Zn2+ è pari a + 0.337 + 0.763 = 1.10 V > 0

Il fatto che il potenziale sia maggiore di 0 implica che questa è la reazione che avviene spontaneamente quindi lo ione rame presente nella soluzione si trasforma in rame metallico e lo zinco che costituisce il recipiente in ione zinco. Quindi la soluzione di rame (II) non può essere conservata in un recipiente di zinco

  • Calcolare il numero di elettroni che attraversano un filo metallico se una corrente di 0.5 ampere viene fatta passare per 2 ore

2 h = 2 ∙ 60∙ 60 = 7200 s

0.5 coulomb/s ∙ 7200 s = 3600 coulomb

Poiché 1 Faraday = 96500 coulomb

3600 coulomb/96500 coulomb/faraday = 0.0373 faraday

0.0373 ∙ 6.02 ∙ 1023 = 2.25 ∙ 1022 elettroni

  • Determinare la massa di nichel che si deposita al catodo se in una soluzione di Ni(NO3)2 viene fatta passare una corrente di 5.0 ampere per 20 minuti

(20 min)(60 s/min) = 1200 s

5.0 coulomb/s ∙ 1200 s =6000 coulomb

Poiché 1 F = 96500 coulomb si ha:

6000 coulomb/96500 coulomb/faraday =0.0622 faraday

La semireazione che avviene al catodo è Ni2+ + 2 e→ Ni e ciò implica che per ogni 2 faraday consumati si deposita al catodo una mole di nichel.

0.0622 faraday (1 mole di Ni/2 faraday) = 0.0311 moli di Ni

0.0311 mol ∙ 58.71 g/mol= 1.83 g

  • Determinare il potenziale di un elettrodo a idrogeno immerso in una soluzione a pH = 10

Per la semireazione H+ + 1 e → ½ H2   E° = 0.0 V

A pH = 10 la concentrazione di ioni H+ è pari a 10-10 M

Applicando l’equazione di Nernst si ha:
E = E° – 0.0591/1 log 1/[H+]

Sostituendo:

E = 0.0 – 0.0591 log 1/10-10 = – 0.591 V

  • Calcolare il potenziale di una cella in cui avviene la seguente reazione: 2 Ag+ + Ni → 2 Ag + Ni2+ sapendo che [Ag+]= 0.0020 M e che [Ni2+]= 0.160 M

Si deve innanzi tutti calcolare il potenziale della cella in condizioni standard. Dai potenziali normali di riduzione:

Ag+ + 1 e → Ag   E° = + 0.7994 V

Ni2+ + 2 e → Ni   E° = – 0.25 V

Pertanto per la reazione 2 Ag+ + Ni → 2 Ag + Ni2+  il potenziale della cella vale E° = + 0.7994 + 0.25= 1.05 V

Applicando l’equazione di Nernst e tendendo presente che il numero n di elettroni scambiati è pari a 2 si ha:
E = E° – 0.0591/2 log [Ni2+]/[Ag+]2

Sostituendo:

E = 1.05 – 0.0591/2 log 0.160/(0.0020)2= 0.91 V

  • In una cella elettrochimica ha luogo la seguente reazione: 2 Fe3+ + I2 → 2 Fe2+ + 2 I-. Calcolare la variazione dell’energia libera di Gibbs e la costante di equilibrio

Dai potenziali normali di riduzione:

Fe3+ + 1 e → Fe2+   E° = + 0.771 V

I2 + 2 e → 2 I   E° = + 0.535 V

Pertanto per la reazione 2 Fe3+ + I2 → 2 Fe2+ + 2 I-. il potenziale della cella vale E° = + 0.771 – 0.535= 0.236 V

Poiché ΔG° = – n ∙ F ∙ E° tenendo conto che n (numero di elettroni scambiati) = 2 si ha:

ΔG° = – 2 ∙ 96500 ∙ 0.236 = – 45.55 ∙ 103 J/mol

La variazione dell’energia libera e la costante di equilibrio sono correlate dall’equazione:

ΔG° = – 2.303 RT log Kc

Si ha:

log Kc = ΔG° /- 2.303 RT

A 25°C la temperatura è pari a 298 K pertanto:

log Kc = – 45.55 ∙ 103/ – 2.303 ∙ 8.31∙ 298 = 7.99

Da cui Kc = 10– 7.99 = 1.00 ∙ 10-8

Fattori che influenzano l’attività enzimatica

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Le reazioni biologiche sono caratterizzate da una elevata energia di attivazione e possono avvenire solo grazie agli enzimi che agiscono da catalizzatori biologici.

Essi sono costituiti prevalentemente da proteine e hanno la funzione di aumentare la velocità di una reazione agendo solo sull’aspetto cinetico della stessa in quanto ne abbassano l’energia di attivazione.

Gli enzimi sono dotati di elevata specificità ovvero catalizzano solo una determinata reazione secondo il modello chiave-serratura secondo il quale l’enzima ed il substrato possiedono una forma esattamente complementare che ne permette un incastro perfetto.

Gli enzimi sono dotati di un sito attivo che si lega al substrato quindi, in generale, affinché avvenga la catalisi enzimatica è necessario che enzima e substrato collidano secondo un determinato orientamento.

Vari sono i fattori che influenzano l’attività enzimatica, accelerandola, rallentandola o addirittura inibendola.

Temperatura

Un aumento di temperatura comporta un aumento dell’energia cinetica delle molecole il che determina una loro maggiore velocità e una maggiore probabilità di collisione.

Poiché gli enzimi catalizzano le reazioni grazie alla collisione con il substrato un aumento di temperatura comporta un aumento della velocità della reazione con formazione di maggiori quantità di prodotto.

Tuttavia, l’aumento della temperatura comporta un aumento dell’energia vibrazionale delle molecole, che comporta una tensione dei legami all’interno di esse fino alla possibile rottura dei legami intermolecolari più deboli con conseguente deformazione del sito attivo.

Ciò comporta che il sito attivo assume una forma che non è più perfettamente complementare a quella del substrato e quindi è meno probabile che riesca a catalizzare la reazione. Ulteriori aumenti di temperatura comportano la denaturazione dell’enzima che non è quindi più in grado di catalizzare la reazione.

Un aumento di temperatura quindi comporta un aumento della velocità della reazione fino a una temperatura ottimale per ciascun enzima alla quale la velocità presenta un massimo per poi decrescere.

effetto della temperatura

La temperatura ottimale per la maggior parte degli enzimi è compresa tra i 40 e 45°C sebbene vi siano enzimi attivi anche a temperature maggiori.

pH

Le condizioni di pH influenzano l’attività enzimatica e ciascun enzima ha un pH ottimale a cui la velocità di reazione è massima

pH ed enzimi

La maggior parte degli enzimi mostra un’attività ottimale a valori di pH compresi tra 6 e 8.  Vi sono, tuttavia, eccezioni come nel caso della pepsina che ha un pH ottimale a valori di pH compresi tra 1 e 2, la fosfatasi acida che ha un pH ottimale a valori di pH compresi tra 4 e 5 e la fosfatasi alcalina che ha un pH ottimale a valori di pH compresi tra 10 e 11.

Piccole variazioni di valori di pH rispetto a quello ottimale non provocano variazioni permanenti della struttura molecolare dell’enzima mentre valori di pH molto diversi da quello ottimale portano alla denaturazione dell’enzima.

Concentrazione

La concentrazione dell’enzima e del substrato influenzano la velocità della reazione e il controllo di entrambi i fattori è un modo con il quale l’organismo regola l’attività enzimatica e quindi il metabolismo.

Bisogna tuttavia considerare che la reazione avviene tra enzima e substrato e se c’è tra le due specie una presente in eccesso, l’aumento della sua concentrazione, non determina un aumento della velocità della reazione.

Concentrazione del substrato

L’aumento della concentrazione del substrato determina un aumento della velocità di reazione in quanto aumenta la probabilità che il substrato possa collidere con l’enzima. Al di sopra di una data concentrazione, tuttavia, quando il substrato non costituisce più il reagente limitante un aumento della sua concentrazione non determina un aumento della velocità

Concentrazione dell’enzima

Gli enzimi costituiscono in genere il fattore limitante della reazione pertanto un aumento della loro concentrazione determina un aumento della velocità

effetto della concentrazione

Concentrazione dei prodotti

L’aumento della concentrazione dei prodotti di reazione generalmente diminuisce la velocità della reazione. In taluni casi i prodotti possono combinarsi con i sito attivo dell’enzima formando un complesso e, in tal caso, l’attività enzimatica viene inibita.

Effetto degli attivatori

Alcuni enzimi vengono attivati da alcuni cationi metallici come Mg2+, Mn2+, Ca2+, Co2+, Cu2+, Na+ e K+ che determinano un aumento della velocità della reazione.  

Effetto degli inibitori

Gli inibitori sono sostanze che diminuiscono l’attività enzimatica o rendono l’enzima inattivo. Gli inibitori sono in genere piccole molecole che legandosi all’enzima ne riducono l’attività modificando l’affinità nei confronti del substrato.

 

Energia di attivazione

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Una reazione per la quale la variazione dell’energia libera di Gibbs è minore di zero, ovvero una reazione termodinamicamente favorita può avvenire in tempi brevi o in tempi lunghissimi.

Lo studio del tempo con cui avviene una reazione attiene l’aspetto cinetico.

Affinché una reazione possa aver luogo è necessario che i reagenti debbano collidere tra loro secondo un determinato orientamento per dar luogo alla formazione di un intermedio di reazione, detto stato di transizione o complesso ativato che ha una certa energia.

La differenza di energia tra quella dell’intermedio e quella dei reagenti viene detta energia di attivazione che si esprime in Joule o in Joule/mol o in kcal/mol.

L’energia di attivazione rappresenta quindi l’energia minima necessaria per fare avvenire una reazione e può essere vista come una barriera di potenziale.

L’energia di attivazione può essere visualizzata da un grafico in cui in ascissa viene riportato il profilo della reazione e in ordinata l’energia.

energia di attivazione

Come si può vedere dalla figura nelle reazioni esotermiche, ovvero quelle che rilasciano energia per le quali ΔH > 0, l’energia dei prodotti è maggiore rispetto a quella dei reagenti.

Per le reazioni endotermiche, in cui è richiesta energia perché avvengano per le quali ΔH < 0, l’energia dei prodotti è minore rispetto a quella dei reagenti.

In entrambi i casi è necessaria una certa energia per innescare la reazione e, nel caso delle reazioni esotermiche, solo quando si è formato il complesso attivato e la reazione decorre si ha sviluppo di energia.

Nel 1899 Svante Arrhenius ottenne un’equazione in cui viene correlata la dipendenza della velocità di una reazione con l’energia di attivazione:

k = Ae– Ea/RT 

nella quale k è la costante specifica di velocità di reazione; A è una costante caratteristica della reazione detta costante di Arrhenius o fattore pre-esponenziale; Ea è l’energia di attivazione; R è la costante universale dei gas e T la temperatura assoluta.

Quanto maggiore è il rapporto Ea/RT tanto è più piccola k stante il segno negativo. Ciò implica che se la temperatura è alta e l’energia di attivazione è bassa il rapporto è piccolo e la velocità della reazione è alta.

Tale equazione può essere messa in forma logaritmica:

ln k = ln A – Ea/RT

che rappresenta l’equazione di una retta il cui coefficiente angolare vale – Ea/RT.

Riportando in grafico da dati sperimentali  1/T in ascissa e ln k in ordinata si ottiene una retta:

energia di attivazione

di coefficiente angolare – Ea/RT.

Per determinare l’energia di attivazione si possono considerare due valori della temperatura T1 e T2 cui corrispondono due diverse costanti di velocità k1 e k2.

Si ha quindi:

ln k2 = ln A – Ea/RT2

ln k1 = ln A – Ea/RT1

Sottraendo la seconda equazione dalla prima si ha:

ln k2 – ln k1 = ln A – Ea/RT2 – (ln A – Ea/RT1) = (Ea/R )(1/T1 – 1/T2)

da cui

Ea = R(ln k2 – ln k1)/ (1/T1 – 1/T2)

 

Calcolo di ΔU e ΔH in una bomba calorimetrica

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Un calorimetro è un dispositivo che permette di misurare la quantità di calore liberata o assorbita durante una reazione che avviene a volume costante.

In una bomba calorimetrica si misura abitualmente il calore di combustione di una nota quantità di sostanza in presenza di ossigeno.

Poiché il calorimetro è isolato dall”Universo” possiamo definire i reagenti (campione e ossigeno) come il sistema e il resto del calorimetro (bomba e acqua contenuta nel calorimetro) come l’ambiente circostante.

Variazione di energia interna

La variazione di energia interna dei reagenti a seguito della combustione può essere calcolata dall’espressione:

dUtot = dUsis + dUamb = 0

Da cui dUsis = – dUamb = [(δU/δT)v dT + (δU/δV)T dV]

Poiché il processo avviene a volume costante dV = 0 pertanto dalla definizione di Cv si ha:

dUsis = – Cv dT

assumendo che Cv sia indipendente da T nel range di temperatura considerato si ha, integrando l’espressione:

ΔU = – Cv dT

dove Cv è la capacità termica dell’ambiente come, nella fattispecie della bomba calorimetrica, l’acqua.

Variazione di entalpia

Per definizione di entalpia ΔH = ΔU + Δ(pV)

Per le fasi condensate Δ(pV)≈ 0 e assumendo che i gas si comportino da ideali si ha: ΔH = ΔU + RTΔngas essendo Δngas la variazione del numero di moli dei gas prodotti rispetto e quelle dei reagenti.

Esercizi

  • Calcolare l’entalpia di combustione dell’acido ossalico sapendo che dalla combustione di 0.7022 g in un calorimetro avente capacità termica di 1.238 kJ/K la temperatura aumenta di 1.602°C

La reazione di combustione dell’acido ossalico è:

C2H4O2(s) + ½ O2(g) → 2 CO2(g) + H2O(l)

In cui Δngas = 2 – ½ = 1.5

1.602°C = 1.602 K

Moli di acido ossalico = 0.7022 g/90.03 g/mol= 0.00780

ΔU = – Cv dT/mol = – 1.238 kJ/K ∙ 1.602 K/0.00780 = – 254.2 kJ/mol

ΔH = ΔU + RTΔngas =  – 254.2 kJ/mol + 0.008314 kJ/K mol ∙ 298 K ∙ 1.5 mol = – 250.5 kJ/mol

  • Calcolare la capacità termica di un calorimetro sapendo che dalla combustione di 0.1025 g di acido benzoico la temperatura aumenta di 2.165°C e che per l’acido benzoico la variazione di entalpia di combustione è di – 3227 kJ/mol

La reazione di combustione dell’acido benzoico è:

C7H6O2(s) + 14/2 O2(g) → 7 CO2(g) + 3 H2O(l)

In cui Δngas = 7 – 14/2 = – 0.5

ΔU = ΔH –  RTΔngas = – 3227 – (0.008314 ∙298∙ (-0.5) = – 3226 kJ/mol

Moli di acido benzoico = 0.1025 g/122.12 g/mol=0.0008393

Il calore prodotto è pari a 0.0008393 mol ∙ 3226 kJ/mol=2.707 kJ

La capacità termica vale quindi  C = 2.707 kJ/2.165 °C = 1.251 kJ/°C

 


Chimica dello ione Sb3+

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L’antimonio presenta numero di ossidazione -3, +3 e +5.

Tra i composti dell’antimonio (III) vi è l’ossido Sb2O3 poco solubile in acqua, che, essendo un ossido anfotero, può essere solubilizzato in ambiente basico per NaOH dando meta-antimonite:

Sb2O3+ 2 NaOH → 2 NaSbO2 + H2O

In acidi forti e concentrati come HCl l’ossido di antimonio (III) si solubilizza dando cloruro di antimonile e successivamente cloruro di antimonio (III):

Sb2O3+ 2 HCl → 2 SbOCl + H2O

Il cloruro di antimonio (III) idrolizza rapidamente dando cloruro di antimonile e cloruro di idrogeno:

SbCl3 + H2O → SbOCl + 2 HCl

L’antimonio forma con gli alogeni i rispettivi alogenuri; oltre al cloruro di antimonio (III) forma il fluoruro SbF3 che può essere ottenuto dall’ossido per reazione con il fluoruro di idrogeno secondo la reazione:

Sb2O3+ 6 HF → 2 SbF3 + 3 H2O

Il bromuro di antimonio (III) SbBr3 può essere ottenuto dalla reazione tra antimonio e bromo:

2 Sb + 3 Br2 → 2 SbBr3

o a partire dall’ossido con una reazione analoga a quella relativa alla formazione del fluoruro.

Lo ioduro di antimonio (III) può essere preparato analogamente al bromuro.

Il composto più importante dell’antimonio (III) è il solfuro Sb2S3 composto tra i meno solubili in acqua avendo un valore del prodotto di solubilità dell’ordine di 10-93.

Il solfuro di antimonio (III) era noto fin dai tempi dell’antico Egitto e veniva usato come cosmetico per gli occhi. Viene attualmente utilizzato per esplosivi e fuochi di artificio nonché per ottenere vetri color rosso rubino e come ritardante di fiamma.

Esso può essere ottenuto dalla reazione tra soluzioni di antimonio (III) e solfuro di idrogeno:

2 SbCl3 + 6 H2S →  Sb2S3+ 6 HCl

Il solfuro di antimonio (III) reagisce in ambiente acido in presenza di nitrato per dare il ossido di antimonio (V):

3 Sb2S3+ 28 NO3 + 19 H+ → 3Sb2O5+ 28 NO + 9 HSO4 + 5 H2O

Meccanismo E1 ed E2 a confronto

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Nelle reazioni di eliminazione un atomo o un gruppo di atomi detto gruppo uscente viene allontanato da un atomo di carbonio e un idrogeno viene allontanato dal carbonio adiacente con formazione di un prodotto in cui è presente un doppio legame carbonio-carbonio.

Le reazioni di eliminazione possono avvenire con meccanismo E1 o con meccanismo E2.

Il meccanismo E1 è unimolecolare quindi la velocità della reazione dipende dalla concentrazione del reagente.

Il primo stadio della reazione che costituisce lo stadio lento che determina la velocità della reazione è l’allontanamento del gruppo uscente con formazione di un carbocatione.

La base attacca un idrogeno legato al carbonio adiacente con formazione del doppio legame. Poiché il meccanismo prevede la formazione di un carbocatione possono verificarsi riarrangiamenti.

meccanismo E1

Quanto più stabile è il carbocatione tanto più veloce è la reazione: poiché lo stadio lento è costituito dalla formazione del carbocatione non è necessaria la presenza di una base forte. Non vi è inoltre nessun requisito stereochimico del materiale di partenza ovvero l’idrogeno può trovarsi in qualunque posizione rispetto al gruppo uscente.

Il meccanismo E2 è bimolecolare quindi la velocità della reazione dipende sia dalla concentrazione del reagente che da quella della base pertanto è necessaria una base forte che permetta la fuoriuscita dell’idrogeno.

La reazione avviene in modo concertato in quanto la base estrae un protone dal carbonio adiacente a quello che è legato al gruppo uscente con formazione di un doppio legame stante l’allontanamento del gruppo uscente.

meccanismo E2

Inoltre l’idrogeno che deve essere rimosso deve trovarsi in posizione anti rispetto a quella del gruppo uscente

Tra i due meccanismi vi sono alcuni punti in comune:

  • In entrambi vi è la formazione di un legame π, la rottura di un legame C-H e la rottura di un legame C-gruppo uscente
  • In entrambi una specie agisce da base per rimuovere un idrogeno
  • Le reazioni di eliminazione, a prescindere con quale meccanismo avvengono seguono, dove è possibile la regola di Zaitsev
  • Le reazioni di eliminazione sono favorite dal calore

Si riportano in tabella le principali differenze tra i due meccanismi:

  E1 E2
Tipo di reazione Unimolecolare Bimolecolare
Stadio lento Formazione del carbocatione Nessuno
Base necessaria Forte Qualunque base
Stereochimica Nessuna Il gruppo uscente in anti rispetto all’idrogeno che deve essere rimosso

 

Esercizi sull’idrolisi

Catalasi

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La catalasi è un enzima appartenente alla famiglia delle ossidoreduttasi che viene prodotta dalle cellule insieme alla superossido dismutasi con azione antiossidante.

E’ un enzima che catalizza la conversione del perossido di idrogeno in acqua e ossigeno molecolare secondo la reazione:

2 H2O2 → 2 H2O + O2

ed è quindi in grado di ritardare o inibire i processi di ossidazione che si verificano sotto l’influenza dell’ossigeno atmosferico o delle specie reattive dell’ossigeno ROS acronimo di Reactive Oxygen species tra cui perossidi, superossidi e radicali.

Il perossido di idrogeno è prodotto dal metabolismo ossidativo cellulare e può essere convertito nel radicale idrossilico altamente reattivo attraverso i metalli di transizione, essendo questo radicale in grado di danneggiare un’ampia varietà di molecole all’interno di una cellula, portando a stress ossidativo e morte cellulare.

Le catalasi sono tetrameri di quattro catene polipeptidiche ciascuna contenente un gruppo ferroso all’interno della struttura tuttavia accessibile tramite canali idrofobici.

La struttura delle catalasi le rende molto stabili, poco propense al folding, resistenti in un ampio range di pH e alla denaturazione termica.

Gran parte del perossido di idrogeno prodotto dal metabolismo cellulare deriva da una delle specie più reattive all’ossigeno ovvero dall’anione superossido O2∙ che, grazie all’azione della superossido dismutasi viene trasformato in perossido di idrogeno.

La reazione del perossido di idrogeno con la catalasi avviene secondo un meccanismo a due stadi in cui il perossido di idrogeno alternativamente ossida e riduce il centro ferroso del gruppo eme legato all’enzima. Nel primo stadio una molecola di H2O2 ossida il centro ferroso:

H2O2 + Fe(II)-E → H2O + O=Fe(III)-E

Nel secondo stadio una molecola di perossido di idrogeno viene usata quale riducente per rigenerare l’enzima con ottenimento di acqua e ossigeno molecolare:

H2O2 +O= Fe(III)-E → H2O + O2 + Fe(II)-E

Alcune catalasi contengono il cofattore NADPH che ha la funzione di prevenire la formazione di un composto inattivo.

Calorimetro di Junker

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Il calorimetro di Junker viene utilizzato per determinare il calore specifico di un combustibile gassoso. Il principio di funzionamento è simile a quello di una bomba calorimetrica.

Esso è costituito fondamentalmente da una camera di combustione in cui il gas viene fatto bruciare contenuta all’interno di un contenitore in cui viene immessa acqua che fluisce dal basso verso l’alto e che si riscalda a seguito della combustione. Diversi termometri sono posti a varie altezze per monitorare la temperatura

Una quantità misurata del gas di cui si vuole determinare il calore specifico viene inviata al bruciatore a una determinata pressione che viene misurata da un manometro.

Dopo la combustione del gas i prodotti derivanti dalla combustione migrano verso l’alto e, attraverso dei tubi ricadono verso il basso e fuoriescono dal calorimetro.

Viene registrata la temperatura alla quale i gasi derivanti dalla combustione fuoriescono che dovrebbe essere prossima alla temperatura ambiente; ciò implica che tutto il calore derivante dalla combustione è stato assorbito dall’acqua. L’acqua eventualmente formata dalla condensazione del vapore viene raccolta in un recipiente.

Esempio

Determinare il potere calorifico superiore ed inferiore per m3 di gas alla temperatura di 13°C e alla pressione 76 cm di Hg dai seguenti dati:

Volume di gas bruciato nel calorimetro =  0.08 m3

Pressione di alimentazione del gas = 5.2 cm di acqua (ovvero pressione esercitata da una colonna di acqua alta 5.2 cm)

Pressione atmosferica = 75.5 cm Hg

Temperatura del gas = 13°C

Massa dell’acqua riscaldata dal gas = 28 Kg

Temperatura dell’acqua in ingresso = 10°C

Temperatura dell’acqua in uscita =  23.5 °C

Quantità di vapore condensato = 0.06 Kg

Il volume del gas è stato misurato alla temperatura di 13°C e alla pressione di 5.2 cm. Calcoliamo quindi il volume a STP usando l’equazione combinata dei gas:

p1V1/T1 = p2V2/T2

Ricordando che la densità del mercurio è di 13.6 g/cm3 si ha che la pressione iniziale p1 è data da:

p1= 75.5 + (5.2/13.6)= 75.882 cm Hg

inoltre V1 = 0.08 m3 e T1= 13 + 273 = 286 K

Poiché p2 = 76 cm Hg e T2 = 15 + 273 = 288 K possiamo ottenere V2

V2 = p1V1T2/T1∙ p2 = 75.882 ∙ 0.08 ∙ 288/ 286 ∙76 =  0.0804 m3

Si calcola il calore ricevuto dall’acqua dalla formula Q = m ∙ c ∙ΔT dove m è la massa dell’acqua, c è il calore specifico pari a 4.18  e ΔT è la variazione di temperatura.

Q = 28 ∙ 4.18 ( 23.5 – 10)= 1580 kJ

Potere calorifico superiore = 1580 kJ/0.08 m3 =19750 kJ/m3

La quantità di vapore acqueo formato per m3 di gas bruciato è pari a 0.06/0.08 = 0.75 Kg

Ricordando che il calore di vaporizzazione dell’acqua è pari a 2465 kJ/Kg si ha:

Potere calorifico inferiore = 19750 – (2465 ∙ 0.75) = 17901 kJ/Kg

 

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