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Reazioni di addizione al gruppo carbonilico

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Il gruppo carbonilico è caratterizzato da un doppio legame tra carbonio e ossigeno ed è tipico di molti composti organici come aldeidi e chetoni, acidi carbossilici, alogenuri alchilici e arilici, anidridi, ammidi ed esteri.

A causa della differenza di elettronegatività tra carbonio e ossigeno il gruppo carbonilico può essere rappresentato da due strutture limite di risonanza:

gruppo carbonilico

Contrariamente ai derivati degli acidi degli acidi carbossilici che presentano buoni gruppi uscenti in cui si verificano reazioni di sostituzione del gruppo uscente, le aldeidi e i chetoni danno luogo a reazioni di addizione sia di tipo nucleofilo che di tipo elettrofilo.

Nelle reazioni di addizione nucleofile il gruppo carbonilico si trasforma in altri gruppi funzionali. Gli stadi attraverso i quali avviene un tale tipo di reazione sono:

  • Attacco del nucleofilo al carbonio carbonilico con rottura del doppio legame carbonio-ossigeno e formazione di un intermedio tetraedrico in cui l’ossigeno è caricato negativamente
  • Protonazione dell’ossigeno

A seconda della reattività del nucleofilo si può verificare:

L’addizione al carbonio carbonilico con formazione di un alcossido che viene protonato in presenza di acido diluito; ciò si verifica quando il nucleofilo è forte come nel caso di un reattivo di Grignard, di litioalchile, litio alluminio idruro o sodio boroidruro

attacco nucleofilo

Nel caso il nucleofilo neutro come nel caso di acqua, alcol o ammina primaria è necessario attivare la reazione con un acido il quale agisce protonando l’ossigeno legato al carbonio carbonilico rendendo il sistema più elettrofilo il quanto sul carbonio viene localizzata, in una delle forme di risonanza la carica positiva

attacco elettrofilo


Acido linoleico

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L’acido linoleico è un acido grasso con 18 atomi di carbonio che presenta due siti di insaturazione in posizione 9 e in posizione 12

acido linoleico

Presentando un doppio legame in posizione 6 rispetto al gruppo –CH3 terminale il cui carbonio costituisce il carbonio ω è una specie appartenente alla famiglia degli omega-6.

I doppi legami si trovano entrambi in posizione cis e pertanto la molecola ha una curvatura pronunciata a causa delle repulsioni che si generano tra gli atomi di idrogeno che si trovano dallo stesso lato della molecola.

È un acido grasso essenziale che si trova nei semi di sesamo, di lino, di papavero, di zucca e di girasole. È quindi contenuto nei rispettivi oli ma lo rinviene anche nei pinoli, mandorle, noci del Brasile, arachidi, pistacchi, in numerosi grassi come quello d’oca, di pollo e di tacchino e nella margarina.

Fu isolato per la prima volta nel 1844, la sua struttura fu compresa solo nel 1939 ma fu sintetizzato nel 1950.

L’acido linoleico è incorporato nei fosfolipidi dei tessuti e dei depositi adiposi e costituisce una forma di riserva. L’acido linoleico è il precursore di molti acidi grassi ω-6: esso viene convertito, ad opera da parte dell’enzima Δ-6-desaturasi, in acido γ-linoleico che presenta tre doppi legami da cui per elongazione si ottiene l’acido arachidonico costituito da 20 atomi di carbonio e da quattro doppi legami.

L’acido arachidonico così sintetizzato oltre a quello assunto direttamente dalla dieta, insieme a colesterolo e fosfolipidi entra a far parte delle membrane cellulari dove svolge un ruolo fondamentale ovvero quello della produzione degli eicosanoidi che sono suddivisi in: prostaglandine che intervengono nei processi infiammatori, prostacicline, trombossani coinvolti nella coagulazione del sangue, leucotrieni e lipossine.

Gli eicosanoidi modulano, tra l’altro il sistema cardiovascolare, la coagulazione del sangue, la funzione renale e la risposta immunitaria.

L’acido linoleico, oltre a contribuire a un abbassamento del colesterolo totale e quindi anche del cosiddetto colesterolo “cattivo”, aiuta a ridurre il rischio cardiovascolare. Per ottenere tali benefici, però, è necessario che esso sostituisca gli apporti alimentari provenienti da grassi contenuti nei grassi animali, nelle carni suine, nella margarina e nei prodotti che li contengono.

Reattivo di Schweizer

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Il reattivo di Schweizer fu preparato nel 1857 dal chimico svizzero Matthias Eduard Schweizer e fa parte della famiglia dei solventi utilizzabili per la dissoluzione e rigenerazione della cellulosa.

Il reattivo di Schweizer ovvero il complesso tetramminadiaquorame (II) idrossido viene ottenuto facendo precipitare idrossido di rame (II) da una soluzione acquosa di solfato di rame usando idrossido di sodio secondo la reazione:

CuSO4(aq) + 2 NaOH(aq) → Cu(OH)2(s) + Na2SO4(aq)

Dopo aver filtrato e lavato il precipitato esso viene trattato con una soluzione di ammoniaca con formazione del complesso secondo la reazione:

Cu(OH)2 + 4 NH3 + 2 H2O → [Cu(NH3)4(H2O)2](OH)2

Il reattivo di Schweizer costituì un importante punto di partenza per lo sviluppo dell’industria tessile per quanto attiene le fibre artificiali a partire dalla cellulosa che costituisce la materia prima maggiormente impiegata per la produzione di tali fibre.

La cellulosa presenta elevata insolubilità nei solventi più comuni per la presenza di legame a idrogenointramolecolari e intermolecolari; la reazione con il reattivo di Schweizer porta alla sua solubilizzazione a causa della formazione di legami a idrogeno diversi con conseguente variazione della solubilità.

Reattivo di Schweizer

Con questo processo si sono ottenute fibre artificiali tra cui il rayon.

Poliisobutene

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Il poliisobutene (PIB) è una gomma sintetica derivante dalla polimerizzazione del  2-metilpropene noto come isobutene e può essere rappresentato dalla struttura:

E’ caratterizzato dalla impermeabilità ai gas ed è pertanto usato nella camera d’aria negli pneumatici e nei palloni da gioco.

Fu prodotto per la prima volta e commercializzato con il nome di Oppanol B presso il gruppo chimico tedesco BASF nel 1931 utilizzando, quale catalizzatore il trifluoruro di boro e la sintesi venne realizzata alla temperatura di – 100°C a causa dell’elevata velocità di reazione.

La sintesi del polimero avviene tramite polimerizzazione cationica vinilica che necessita di un iniziatore che nella fattispecie può essere costituito dal tricloruro di boro.

In questa molecola il boro non ha l’ottetto completo e si comporta da acido di Lewis.

BCl3 reagendo con l’acqua che si comporta da base di Lewis a causa del doppietto elettronico solitario presente sull’ ossigeno forma un addotto in cui l’idrogeno ha una parziale carica positiva.

Il doppio legame presente nel monomero attacca l’idrogeno con formazione del carbocatione (CH3)3C+.

Il carbocatione formatosi viene a sua volta attaccato da un’altra molecola di monomero dando inizio alla fase di propagazione. La terminazione avviene, ad esempio, quando il doppio legame di un monomero attacca uno degli atomi di idrogeno del gruppo –CH3 con formazione di un doppio legame terminale

Il polimero ottenuto è saturo pertanto viene copolimerizzato con l’isoprene dando luogo a un copolimero in cui è presente una/due unità isopreniche ogni cento unità di isobutene con il risultato di avere doppi legami che premettono una reticolazione simile a quella della gomma naturale vulcanizzata.

Questo copolimero è detto infatti gomma sintetica.

copolimero

Il poliisobutene è caratterizzato, oltre che dalla impermeabilità ai gas anche da una buona resistenza agli agenti atmosferici, flessibilità, resistenza all’ozono ed è in grado di ammortizzare le vibrazioni.

Il poliisobutene viene utilizzato nei lubrificanti, modificatori di viscosità, adesivi e sigillanti, resine, involucri elastici e nei cosmetici ed in particolare nei rossetti, nei prodotti per il trucco degli occhi e della pelle in quanto è in grado di aumentare la densità dei lipidi in essi contenuta.

 

Valina

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La valina indicata come Val o V è un α-amminoacido il cui nome I.U.P.A.C. è acido 2-ammino-3-metilbutanoico ha struttura

valina

La valina è un amminoacido essenziale di tipo alifatico non polare; si presenta a catena ramificata e, insieme alla leucina e all’isoleucina fa parte degli amminoacidi a catena ramificata (BCAA).

Essendo un amminoacido essenziale essa può essere assunta solo attraverso l’alimentazione e i cibi particolarmente ricchi di valina sono la soia e i suoi derivati, legumi, prodotti lattiero-caseari, carne, pesce e pollame.

La valina, che fu isolata per la prima volta dal chimico tedesco Emil Fischer nel 1901 dalla caseina, si trova in quantità ragguardevoli nei tessuti muscolari in quanto contrariamente ad altri amminoacidi non passa attraverso il fegato ma viene metabolizzata direttamente dai muscoli.

A causa della sua natura idrofobica la valina si trova all’interno delle proteine contribuendo a determinarne la loro struttura terziaria.

La valina offre numerosi benefici in quanto migliora la regolazione del sistema immunitario, ha un effetto stimolante e costituisce una fonte energetica del tessuto muscolare.

Ha un ruolo importante per l’organismo in quanto la sua distruzione porta alla formazione del propionil-CoA che, dopo la conversione in succinil-CoA contribuisce al completamento del ciclo di Krebs.

Risulta pertanto utile durante sforzi prolungati quando il corpo deve attingere alle sue riserve interne.

Probabilmente i maggiori benefici della valina sono sperimentati dagli atleti che praticano sport a lunga distanza e bodybuilding, perché questo amminoacido è importante per il recupero del tessuto muscolare e per il metabolismo muscolare, mentre aumenta la resistenza all’esercizio.

Solitamente i bodybuilder utilizzano valine insieme a isoleucina e leucina per promuovere la crescita dei muscoli e per fornire loro energia. Inoltre, questo amminoacido aiuta a recuperare i tessuti danneggiati durante l’attività fisica. La valina è vitale per il metabolismo muscolare e la crescita del tessuto muscolare in quanto contribuisce a mantenere la giusta quantità di azoto nel corpo.

Integratori a base di valina sono particolarmente indicati per i vegani in quanto essa è contenuta prevalentemente in alimenti di origine animale.

Proprietà colligative: esercizi livello difficile

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Viene riportata una selezione di esercizi sulle proprietà colligative di livello difficile con tipologia analoga a quelli che vengono proposti durante le prove scritte dell’esame di Chimica Generale.

Esercizi

  • Determinare la molalità e la molarità di una soluzione di NaCl ( d = 1.03 g/mL) sapendo che la temperatura di congelamento è di – 2.15°C

NaCl è un elettrolita forte e pertanto l’indice di vant’Hoff vale 2.

Applicando la formula:

ΔT = m ∙ kcr∙ i e ricordando che per l’acqua kcr = 1.86 °C∙ kg∙mol-1 si ha:

2.15 = m ∙ 1.86 ∙ 2

Da cui m = 0.578

Dalla definizione di molalità si ha che vi sono 0.578 moli di NaCl in 1 kg di acqua

Massa di NaCl = 0.578 mol ∙ 58.44 g/mol = 33.8 g

Massa della soluzione = 1000 g + 33.8 = 1033.8 g

Volume della soluzione = massa/ densità = 1033.8/1.03 =1003.7 mL

M = 0.578/1.0037 L= 0.576

  • Calcolare il peso molecolare di una proteina sapendo che una soluzione, di volume 10.0 mL contenente 0.0250 g di proteina alla temperatura di 20.0 °C, esercita una pressione osmotica di 0.00360 atm

Applicando la formula:

π = CRT si ha, dopo aver trasformato la temperatura da gradi centigradi a gradi Kelvin, la seguente espressione:

0.00360 = C ∙ 0.08206 ∙ 293 K

Da cui C =  0.000150 mol∙L-1

Moli della proteina = molarità ∙ Volume = 0.000150 mol∙L-1 ∙ 0.0100 L = 1.50 ∙ 10-6

Peso molecolare = 0.0250 g/1.50 ∙ 10-6 mol = 1.67 ∙ 104  g∙ mol-1

  • Alla temperatura di 21.0 °C una soluzione contenente 18.26 g di un soluto non volatile e non polare in 33.25 g di CH3CH2Br ha una tensione di vapore di 4.42 ∙ 104 Calcolare il peso molecolare del composto sapendo che la tensione di vapore del bromoetano a questa temperatura è di 5.26 ∙ 104 Pa.

Applicando la legge di Raoult si ha: p = p°X essendo X la frazione molare del solvente

Da cui X = p/p° = 4.42 ∙ 104 Pa/5.26 ∙ 104 Pa = 0.840

Il peso molecolare del bromoetano è pari a 108.966 g/mol

pertanto le moli di bromoetano sono pari a 33.25 g/108.966 g/mol=0.3051

Dalla definizione di frazione molare X = moli solvente/moli di solvente + moli di soluto si ha:

0.840 = 0.3051/0.3051 + moli di soluto

0.840 moli di soluto + 0.256 = 0.3051

0.840 moli di soluto = 0.0491

Moli di soluto = 0.0585

Peso molecolare del soluto = 18.26 g/0.0585 mol =312 g/mol

  • Assumendo che la densità dell’acqua sia pari a 1.00 g/mL calcolare la massa di glicole etilenico (peso molecolare = 62.068 g/mol) necessaria ad abbassare la temperatura di congelamento di 1.00 L di acqua alla temperatura di – 10.0°C

Applicando la formula:

ΔT = m ∙ kcr e ricordando che per l’acqua kcr = 1.86 °C∙ kg∙mol-1 si ha:

10.0 = m ∙ 1.86

Da cui m = 5.38 = moli di glicole etilenico/ 1 kg di acqua

Poiché la massa di 1.00 L di acqua è pari a 1000 mL ∙ 1.00 g/mL = 1000 g = 1 kg

Si ha che le moli di glicole etilenico necessarie sono pari a 5.38

La massa di glicole etilenico è quindi 5.38 mol ∙ 62.068 g/mol =334 g

  • Calcolare la pressione osmotica di un litro di soluzione alla temperatura di 37.0°C in cui sono stati disciolti 3.5 g di NaCl, 2.9 g di citrato di sodio (Na3Cit, Peso molecolare = 258 g/mol), 1.5 g di KCl e 20 g di glucosio

Le moli di NaCl sono pari a 3.5 g/58.44 g/mol=0.060; il cloruro di sodio, in soluzione dà Na+ e Cl pertanto le moli di ioni sono pari a 0.060 + 0.060 = 0.12

Le moli di citrato di sodio sono pari a 2.9 g/258 g/mol = 0.011

Dalla formula Na3Cit si desume che esso, solubilizzandosi dà 3 Na+ + Cit3- pertanto le moli di ioni sono pari a 3 ∙ 0.011 + 0.011 = 0.044

Le moli di KCl sono pari a 1.5 g/74.55 g/mol =0.020; il cloruro di potassio, in soluzione dà K+ e Cl pertanto le moli di ioni sono pari a 0.020 + 0.020 = 0.040

Le moli di glucosio che è un non elettrolita sono pari a 20 g/180 g/mol= 0.11

Le moli totali sono quindi: 0.12 +0.11+0.044 + 0.040= 0.31

La concentrazione vale 0.31 mol/ 1.0 L = 0.19 M

La temperatura in Kelvin è 310 K

Pertanto π = CRT = 0.31 ∙ 0.08206 ∙310 = 8.0 atm

Allo stesso risultato si può pervenire, in modo più elegante, ma facendo qualche operazione in più calcolando la pressione osmotica esercitata da ciascuna specie e poi sommando tutte le pressioni osmotiche.

 

Reazioni di aldeidi e chetoni

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Le aldeidi e i chetoni sono caratterizzati dal gruppo carbonilico >C=O e danno una serie di reazioni caratteristiche che vengono di seguito elencate. Sono state omesse reazioni specifiche come quella con il reattivo di Tollens, la condensazione aldolica o la reazione di Cannizzaro.

  • Ossidazione

Le aldeidi sia alifatiche che aromatiche vengono ossidate in ambiente acido da ossidanti quali bicromato di potassio o permanganato di potassio con ottenimento di acido carbossilico avente lo stesso numero di atomi di carbonio dell’aldeide:

3 RCHO + Cr2O72- → 3 RCOOH + 2 Cr3+ + 4 H2O

I chetoni danno luogo a ossidazione a esteri in presenza di un perossiacido e, per prevenire transesterificazioni, si utilizza l’ idrogenofosfato di disodio (reazione di Baeyer-Villiger):

CH3COCH3 + RCO3H → CH3COOCH3+ RCOOH

  • Riduzione
  1. Ad alcoli

Le aldeidi e i chetoni vengono ridotti rispettivamente ad alcoli primari e ad alcoli secondari utilizzando quali riducenti il litio alluminio idruro, il sodio sodio boroidruro o tramite idrogenazione catalitica in presenza di Ni, Pt o Pd

     2. A idrocarburi

Il gruppo carbonilico di aldeidi e chetoni può essere ridotto a –CH2. Tale reazione può avvenire in ambiente acido (riduzione di Clemmensen) in presenza di un amalgama zinco-mercurio che in ambiente basico (riduzione di Wolff-Kishner) in presenza di idrazina e di glicole etilenico

CH3COCH3 → CH3CH2CH3

Reazioni di addizione al carbonio carbonilico

1.Formazione di cianidrine

Le aldeidi e i chetoni reagiscono in ambiente acido con il cianuro per dare cianidrine

cianidrine

2. Reazione con reattivi di Grignard e composti litio-organici
La reazione di aldeidi e chetoni reagiscono con i reattivi di Grignard e con i composti litioorganici per dare gli alcoli.

La formaldeide dà alcoli primari, le altre aldeidi danno gli alcoli secondari e i chetoni gli alcoli terziari.

3. Reazione con una ilide di fosfonio

Le aldeidi e i chetoni reagiscono con una ilide di fosfonio per dare un alchene (reazione di Witting)

witting

La reazione di aldeidi e chetoni con:

  1. ammine primarie alifatiche e aromatiche dà luogo alla formazione di immine
  2. idrazina dà luogo alla formazione di idrazoni
  3. idrossilammina dà luogo alla formazione di ossime
  4. semicarbazide dà luogo alla formazione di semicarbazoni
  5. ammine secondarie dà luogo alla formazione di enammine
  • Addizione di acqua

Aldeidi e chetoni reagiscono con l’acqua pre dare dioli geminali

diolo

  • Addizione nucleofila di alcol

Aldeidi e chetoni reagiscono con un eccesso di alcol in ambiente acido per dare dapprima emiacetali e successivamente acetali

acetali

Reazioni dello ione Zn2+

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Lo zinco, pur facendo parte degli elementi del blocco d non è un metallo di transizione, e lo ione Zn2+ avendo configurazione elettronica [Ar] 3d10, presentando l’orbitale d pieno non forma composti colorati.

In acqua lo ione zinco forma il complesso esaaquo zinco Zn(H2O)62+ con numero di coordinazione +6 pertanto nelle reazioni dello ione zinco in soluzione acquosa si dovrebbe indicare il complesso piuttosto, come avviene di solito per semplicità, indicare semplicemente Zn2+.

Lo ione zinco reagisce in ambiente basico per dare un precipitato bianco gelatinoso di idrossido di zinco:

Zn2+(aq) + 2 OH(aq) → Zn(OH)2(s)

L’idrossido di zinco è anfotero pertanto in eccesso di ione OH si solubilizza il complesso tetraedrico con numero di coordinazione + 4 tetraidrossozincato secondo la reazione:

Zn(OH)2(s) + 2 OH(aq)→ [Zn(OH)4]2-(aq)

In presenza di ammoniaca lo ione zinco precipita secondo la reazione:

Zn2+(aq) + 2 NH3(aq)  + 2 H2O(l)→ Zn(OH)2(s)+ 2 NH4+(aq)

L’idrossido di zinco precipitato si solubilizza in eccesso di ammoniaca per dare il complesso tetrammino zinco secondo la reazione:

Zn(OH)2(s)+ 4 NH3(aq)  → [Zn(NH3)4]2+(aq) + 2 OH(aq)

Poiché lo zinco forma diversi sali poco solubili le soluzioni contenenti lo ione zinco possono dar luogo alla formazione di precipitati se unite a soluzioni contenenti ioni quali il solfuro, l’ossalato, il carbonato con formazione dei precipitati ZnS, ZnC2O4, ZnCO3.

In presenza di ferrocianuro di potassio lo ione zinco dà luogo alla formazione di un precipitato secondo la reazione:

3 Zn2+(aq)   + 2 K4Fe(CN)6(aq)  → K2Zn3 [Fe(CN)6]2(s) + 6 K+(aq)

Tale reazione può essere utilizzata per titolare una soluzione contenente lo ione zinco utilizzando difenilammina quale indicatore.

Lo ione zinco può essere determinato tramite titolazione complessometrica con EDTA in presenza di una soluzione tampone a pH 10 utilizzando quale indicatore il nero eriocromo T


Idrossilammina

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L’idrossilammina è un composto inorganico avente formula NH2OH che si presenta a temperatura ambiente come un solido cristallino bianco, igroscopico e instabile.

È irritante per le vie respiratorie, la pelle, gli occhi e le mucose e tende a dare reazioni esplosive se viene riscaldata:

4 NH2OH + O2 → N2 + 6 H2O

L’idrossilammina è una base debole secondo Brønsted-Lowry e in acqua si dissocia secondo l’equilibrio:

NH2OH + H2O ⇌ NH3OH+ + OH

con una costante Kb pari a 9.1 ∙ 10-9.

A caldo l’idrossilammina in cui l’azoto presentanumero di ossidazione -1 tende a dare reazioni di disproporzione trasformandosi in ammoniaca e azoto o in ammoniaca e ossido di biazoto:

3 NH2OH → NH3 + N2 + 3 H2O

4 NH2OH → 2 NH3 + N2O + 3 H2O

Sintesi

L’idrossilammina può essere ottenuta tramite diversi processi in cui avviene la riduzione di composti in cui l’azoto si trova in uno stato di ossidazione maggiore come NO, NO2 e NO3.

Riduzione di NO:

A livello industriale l’idrossilammina viene ottenuta dalla reazione tra monossido di azoto e idrogeno in presenza di platino o palladio quale catalizzatore:

2 NO + 3 H2 → 2 NH2OH

Riduzione di HNO2

L’idrossilammina viene preparata a partire da acido nitroso in presenza di acido solforoso secondo la reazione:

HNO2 +2 H2SO3 + H2O → NH2OH + 2 H2SO4

Riduzione di HNO3

L’acido nitrico può essere ridotto elettroliticamente per dare al catodo idrossilammina:

HNO3 + 6 H+ + 6 e → NH2OH + 2 H2O

L’idrossilammina costituisce un importante reagente utilizzato in molte sintesi organiche in quanto contiene un atomo di azoto la cui nucleofilicità è aumentata dalla presenza dell’ossigeno ad esso legato.

L’idrossilammina e i suoi sali vengono comunemente usati quali agenti riducenti in molte reazioni sia organiche che inorganiche in quanto l’azoto tende ad assumere un numero di ossidazione più alto

Reagisce con aldeidi e chetoni per dare le ossime

ossime

L’idrossilammina dà reazioni con gli esteri e con alogenuri acilici per dare acidi idrossamici caratterizzati dal gruppo funzionale R-CO-NH-OH

acidi idrossamici

Leucina

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La leucina indicata con Leu o L  è un α-amminoacido il cui nome I.U.P.A.C. è  acido 2(S)-ammino-4-metilpentanoico ha struttura

leucina

La leucina è un amminoacido essenziale di tipo alifatico non polare; si presenta a catena ramificata e, insieme alla valina e all’isoleucina fa parte degli amminoacidi a catena ramificata (BCAA).

Presentando un carbonio asimmetrico può esistere nella forma D e nella forma L sebbene quella più diffusa è la L-leucina.

La leucina fu isolata nel 1819 dalle fibre muscolari ed è uno dei primi amminoacidi scoperti.

La leucina è contenuta in numerosi alimenti quali mais, legumi, arachidi, soia, carne, pesce, uova e latticini.

E’ utilizzata dal fegato, dai tessuti adiposi e da quelli muscolari ed è in grado di stimolare la sintesi proteica nei muscoli. I prodotti del metabolismo della leucina è l’Acetil-CoA necessario per il ciclo di Krebs.

La leucina stimola la sintesi proteica ed inoltre attiva una proteina chinasi detta mTOR il  cui ruolo principale risiede nella sintesi proteica e la crescita cellulare.

La leucina è inoltre un amminoacido insulinogenico cioè è in grado di stimolare la secrezione di insulina da parte del pancreas con conseguente riduzione della glicemia.

La L-leucina rallenta la decomposizione delle proteine muscolari e promuove i processi di rigenerazione cellulare.

La L-leucina è ampiamente utilizzata nelle formulazioni degli integratori utilizzati nello sport oltre che nel sostentamento di casi di malnutrizione.

Gli integratori a base di leucina vengono assunti dagli atleti in quanto incrementa la resistenza durante un allenamento fisico in quanto, oltre a stimolare la sintesi proteica, aiuta il corpo ad aumentare il livello di energia con conseguente minore affaticamento muscolare.

Diagrammi di fase a tre componenti

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Un diagramma di fase a tre componenti detto anche ternario è rappresentato attraverso un triangolo equilatero; si può così sfruttare la proprietà secondo cui per qualsiasi punto interno ad un triangolo equilatero, la somma dei segmenti paralleli ai lati e che lo congiungono agli stessi è uguale alla lunghezza del lato.

Un tale diagramma ci fornisce indicazioni relative alla composizione dei tre componenti di un sistema a pressione e temperatura costanti e mostra le condizioni in cui si trovano fasi termodinamicamente distinte all’equilibrio.

Il numero delle fasi di un sistema all’equilibrio dipende dalla temperatura, dalla concentrazione e dalla pressione.

Nel diagramma rappresentato in figura i tre vertici del triangolo rappresentano un componente puro ovvero il 100% in massa di un componente che nella fattispecie sono indicati con A, B e C e in alternativa possono essere indicate le frazioni molari.

Nel primo caso i valori riportati vanno da 0 a 100 mentre nel secondo caso da 0 a 1. Si noti che un vertice del triangolo rappresenta il 100% di un componente e lo 0% degli altri due.

Ogni lato del triangolo rappresenta un sistema a due componenti di una miscela binaria e ogni linea tracciata parallelamente a uno dei lati rappresenta un valore percentuale costante di un componente.

Dividendo ogni lato in 100 unità uguali la posizione di un punto lungo la linea può essere direttamente correlata alla concentrazione percentuale di un componente in un sistema a due componenti.

Consideriamo il punto M presente nel diagramma; si riportano le parallele ai lati AC, BC e AB per intercettare il punto M.

diagrammi di fase

Nel punto M quindi il % di A è pari a 50, il % di B è pari a 30 e il % di C è pari a 20.

I diagrammi di fase a tre componenti possono trovare applicazioni in molti casi come, ad esempio, nel caso di tre liquidi.

Si consideri il sistema etanolo, acqua e benzene che dà il diagramma di fase rappresentato in figura ad una temperatura alla quale le tre fasi  sono tutte allo stato liquido

diagrammi di fase

Quando un dato punto del sistema si trova nell’area indicata con P = 1 vi è una singola fase liquida la cui composizione viene descritta dalla posizione del punto.

Tale superficie si estende dal lato del triangolo che rappresenta miscele binarie di etanolo e benzene fino al lato del triangolo che rappresenta miscele binarie di etanolo e acqua. Ciò implica che etanolo e benzene sono miscibili in tutte le proporzioni così come etanolo e acqua, quando la composizione è tale che il sistema si trova nell’area denominata con P = 2 sono presenti due fasi liquide le cui composizioni sono date dalle posizioni delle estremità di una linea di collegamento attraverso il punto di sistema. Nel diagramma sono incluse quattro linee di collegamento rappresentative, che devono essere determinate sperimentalmente. 

Nel limite della frazione molare zero di etanolo, la linea di collegamento cade lungo la base orizzontale del triangolo e mostra una lacuna di miscibilità per il sistema binario di benzene e acqua.

I punti della curva rappresentano punti in cui il sistema pur trovandosi con composizioni diverse non presenta lacuna di miscibilità.

Nel punto a sono presenti due fasi liquide ovvero benzene e acqua; nel punto b vi sono due fasi in cui l’etanolo è distribuito tra due solventi parzialmente miscibili ovvero l’acqua e il benzene mentre nel punto c la fase ricca di benzene scompare

 Diagrammi analoghi possono essere utilizzati anche nel caso di due solidi e un liquido come ad esempio cloruro di potassio, cloruro di sodio e acqua

 

Acido carbammico

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L’acido carbammico ha formula NH2COOH e struttura

acido carbammico

è una monoammide dell’acido carbonico e, come quest’ultimo tende a decomporsi.

Dalla decomposizione dell’acido carbammico si ottengono biossido di carbonio e ammoniaca secondo la reazione:

NH2COOH → NH3 + CO2

È tecnicamente il più semplice amminoacido, ma per la sua instabilità è la glicina che viene considerata tale.

L’importanza dell’acido carbammico risiede quindi soprattutto nei suoi derivati.

L’acido carbamico non è mai stato sintetizzato ma costituisce un intermedio di reazione.

Ad esempio, dalla decomposizione termica delle azidi si ottiene isocianato secondo la reazione:

R-CO-N3 → N2 + R-N=C=O

Dall’idrolisi dell’isocianato si ottiene l’acido carbammico N-sostituito:

R-N=C=O + H2O → HNRCOOH

che va incontro a decarbossilazione per dare biossido di carbonio e un’ammina primaria.

In vivo, grazie all’azione dell’ureasi, enzima appartenente alla classe delle idrolasi, dall’idrolisi dell’urea si ottiene dapprima acido carbammico e ammoniaca e successivamente ammoniaca e biossido di carbonio:

H2NCONH2 + H2O → NH2COOH + NH3 → 2 NH3 + CO2

I più importanti derivati dell’acido carbammico sono i carbammati ovvero esteri dell’acido carbammico aventi formula NH2COOR detti uretani.

Azidi

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Le azidi sono composti in cui è presente l’anione N3 stabilizzato dalle seguenti strutture di risonanza:

risonanza N3-

Delle tre strutture, due delle quali presentano un azoto con due cariche negative, quella che apporta il maggior contributo è quella centrale in cui c’è la maggior delocalizzazione.

Le azidi possono essere sia di tipo inorganico che organico: le azidi inorganiche possono essere considerate come sali derivanti dall’acido idrazoico HN3 per sostituzione dell’idrogeno con un metallo mentre nelle azidi organiche l’idrogeno è sostituito da un gruppo R.

Il composto inorganico più importante è la sodio azide da cui possono essere ottenute direttamente o indirettamente altre azidi.

Le azidi inorganiche sono gas, liquidi o solidi, facilmente esplosivi e pertanto usate come esplosivi detonanti per inneschi.

La sodio azide è un sale bianco che può essere preparato attraverso diverse vie sintetiche:

In ambiente basico dalla reazione tra idrazina e n-butilnitrito secondo la reazione:

CH3CH2CH2CH2ONO + N2H+ NaOH → CH3CH2CH2CH2OH + NaN3 + 2 H2O

Dalla reazione tra sodio ammide e monossido di biazoto secondo la reazione:

2 NaNH2 + N2O → NaN3 + NaOH + NH3

Dalla reazione tra idrazina idrata, etilnitrito e metossido di sodio secondo la reazione:

N2H∙ H2O + CH3CH2ONO + CH3ONa → NaN3 + CH3OH + CH3CH2OH

Le azidi aciliche e ariliche vengono ottenute prevalentemente a partire dalla sodio azide come nel caso della reazione tra un cloruro acilico:

cloruro acilico

Le azidi aciliche vengono utilizzate nella trasposizione di Curtius per ottenere gli isocianati

trasposizione di curtius

 

Per ottenere le azidi ariliche si parte da un sale di diazonio in presenza di sodio azide, da anilina in presenza di solfonilazide o da anilina in presenza di nitrito di sodio e idrossilammina

azidi ariliche

Le azidi vengono utilizzate quali detonatori e propellenti ed in particolare negli air-bag, come conservante chimico in ospedali e laboratori, ed in particolare come conservante nei vaccini. Trovano inoltre utilizzo principalmente in agricoltura per il controllo dei parassiti, in alcuni farmaci e negli esplosivi

Alogenuri acilici

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Gli alogenuri acilici sono considerati come derivanti dagli acidi carbossilici per sostituzione del gruppo -OH con un alogeno pertanto la formula generale di un alogenuro acilico è RCOX dove R è un genere un gruppo alifatico e X è l’alogeno che in molti composti è il cloro. 

Nomenclatura

Per ottenere il nome I.U.P.A.C. del composto si fa riferimento al nome dell’acido corrispondente pertanto il composto CH3COCl derivante formalmente da CH3COOH il cui nome è acido etanoico prende il nome di cloruro di etanoile e viene anche detto cloruro di acetile dato che l’acido è detto comunemente acido acetico.

Proprietà

Un alogenuro acilico come il cloruro di etanoile è un liquido fumante incolore caratterizzato da un forte odore di etanil cloruro derivante dall’odore dell’aceto e da quello acre del cloruro di idrogeno. L’odore e i fumi provengono dalla reazione tra il cloruro di etanoile e il vapore acqueo contenuto nell’aria.

Gli alogenuri acilici reagiscono spesso violentemente con l’acqua per produrre acidi carbossilici e alogenuri di idrogeno.

Gli alogenuri acilici sono molecole polari e pertanto tra le molecole vi sono legami di tipo dipolo-dipolo ma non si verifica formazione di legami a idrogeno pertanto essi hanno temperature di ebollizione maggiori degli alcani di peso molecolare simile ma inferiore a quella degli alcoli che formano legami a idrogeno.

Metodi di preparazione

Gli alogenuri acilici possono essere preparati attraverso diverse vie sintetiche. Vengono riportati alcuni metodi nei quali il prodotto di reazione è il cloruro di etanoile. L’acido etanoico viene fatto reagire con:

  • Cloruro di fosforo (V)

Il cloruro di fosforo (V) reagisce con gli acidi carbossilici a freddo per dare ossicloruro di fosforo e HCl gassoso secondo la reazione:

CH3COOH + PCl5 → CH3COCl + POCl3 + HCl

Il cloruro acilico viene poi separato per distillazione

  • Cloruro di fosforo (III)

Il cloruro di fosforo (III) reagisce con gli acidi carbossilici per dare acido fosforoso secondo la reazione:

CH3COOH + PCl3 → CH3COCl +H3PO3

Il cloruro acilico viene poi separato per distillazione

  • Cloruro di tionile

Il cloruro di tionile reagisce con gli acidi carbossilici per dare biossido di zolfo e cloruro di idrogeno che, essendo entrambi gassosi, fuoriescono lasciando solo il cloruro acilico pertanto tale metodo non necessita di successiva distillazione

CH3COOH + SOCl2 → CH3COCl + SO2 + HCl

Reazioni

Ad eccezione dello iodio gli alogeni hanno una elettronegatività significativamente maggiore rispetto a quella del carbonio e quindi il gruppo funzionale è polarizzato. Il carbonio che ha una parziale carica positiva agisce da elettrofilo mentre l’alogeno da nucleofilo

Gli alogenuri acilici sono in genere reattivi e, nei prodotti di reazione, l’alogeno risulta essere sostituito; se il reagente è un cloruro acilico viene prodotto anche il cloruro di idrogeno che, in taluni casi, reagisce a sua volta con uno dei prodotti di reazione.

Gli alogenuri acilici vengono ridotti in presenza di litio tri(t-butossi) alluminio idruro ad aldeidi

conversione ad aldeidi

Gli alogenuri acilici reagiscono con gli alcoli per dare gli esteri secondo la reazione:

RCOX + R’OH = RCOOR’ + HX

Gli alogenuri acilici reagiscono con gli acidi carbossilici per dare anidridi

anidridi

  • Trasformazione in acidi carbossilici

Gli alogenuri acilici reagiscono con l’acqua per dare acidi carbossilici

acidi carbossilici

Gli alogenuri acilici reagiscono con ammoniaca, ammine primarie e secondarie per dare ammidi

ammidi

Nel caso di reazione con un’ammina primaria si ottiene un’ammide N-sostituita mentre con un’ammina secondaria si ottiene un’ammide N,N-disostituita

  • Trasformazione in chetoni

Gli alogenuri acilici reagiscono con i reagenti di Gilman, composti organo-rame aventi formula R2CuLi, per dare i chetoni

RCOX + R2  CuLi → RCOR’ + R’Cu

Gli alogenuri acilici vengono utilizzati nelle reazioni di acilazione di Friedel-Crafts che costituiscono le reazioni più importanti al fine di creare legami carbonio-carbonio con l’anello benzenico

Friedel-Craft

Semicarbazide

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La semicarbazide è un composto organico avente formula H2NCOCHNH2 ed è un’idrazide dell’acido carbammico la cui struttura è:

semicarbazide

La semicarbazide può essere ottenuta dalla reazione tra urea e sodio ipoclorito in presenza di ammoniaca secondo la reazione

sintesi semicarbazide

Un altro metodo sintetico prevede la reazione dell’urea con idrazina secondo la reazione:

NH2CONH2 + NH2NH2 → H2NCOCHNH2 + NH3

La reazione più importante della semicarbazide è quella che dà luogo alla formazione di semicarbazoni. La semicarbazide, in presenza di aldeidi o chetoni, dà luogo a una reazione di condensazione per dare un semicarbazone e acqua

semicarbazide

La semicarbazide viene utilizzata nella preparazione di farmaci tra cui antibatterici e antimicrobici.


Calore e lavoro a confronto

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Il calore e il lavoro sono due forme di energia che possono essere tra loro mutuate: ad esempio l’energia termica sotto forma di calore può essere convertita in lavoro come avviene nei motori a vapore

Lavoro e calore vengono descritti usando la stessa unità di misura: nel sistema internazionale si utilizza il joule o suoi multipli ma spesso viene usata la caloria che è la quantità di calore necessaria per innalzare di 1°C la temperatura di 1 g di acqua essendo 1 cal = 4.187 J.

In fisica il lavoro viene definito come il prodotto della componente Fs nella direzione dello spostamento della forza F che viene applicata ad un corpo provocando lo spostamento s.

Per comprendere il lavoro da un punto di vista termodinamico si consideri un pistone munito di stantuffo contenente un gas.

Sia il pistone isolato con l’ambiente ad eccezione della parte che si trova in basso. Se viene erogato calore il gas si espande compiendo un lavoro

pistone e stantuffo

Il lavoro quindi viene definito come W = d ∙ area ∙ pressione

Essendo il prodotto d ∙ area = volume si ha W = ΔV∙ p essendo ΔV la variazione di volume

Assumendo che il gas sia ideale e che segua l’equazione di stato dei gas perfetti pV = nRΔT si ha:

W = nRΔT e, nel caso che la quantità di gas sia pari a una mole si ha W = RΔT

L’idea di come il calore i il siano forme distinte ma intercambiabili di energia è fondamentale per il funzionamento dei processi termodinamici. 

Per il primo principio della termodinamica il calore fornito a un sistema si converte in parte in lavoro e in parte per modificare una funzione di stato denominata energia interna.

Per il secondo principio della termodinamica il lavoro può essere trasformato in calore ma il calore non può essere trasformato tutto il lavoro.

Vengono riportate in tabella le proprietà del calore e del lavoro:

 

  Lavoro (W) Calore (Q)
Interazione Meccanica Termica
Condizioni Forza e spostamento Differenza di temperatura
Processo Spostamento macroscopico Collisioni microscopiche
Valore positivo W > 0 se il lavoro è eseguito dal sistema Q > 0 se il calore entra nel sistema
Valore negativo W < o se il lavoro viene fatto sul sistema Q < 0 se il calore esce dal sistema
Equilibrio Un sistema è in equilibrio meccanico quando la sommatoria delle forze e dei momenti è pari a zero Un sistema è in equilibrio termico quando non c’è flusso di calore tra due corpi

 

 

 

Classificazione dei metodi elettrochimici

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Le tecniche elettroanalitiche riguardano l’interazione tra energia elettrica e chimica, ovvero la correlazione tra grandezze elettriche come la corrente, il potenziale o la carica con grandezze chimiche quali la concentrazione.

L’uso di misure elettriche per scopi analitici ha trovato un’ampia gamma di applicazioni, tra cui il monitoraggio ambientale, il controllo di qualità e le analisi biomediche.

I metodi elettrochimici mostrano alcuni vantaggi rispetto ad altre tecniche analitiche sia per quanto attiene la possibilità di analisi chimiche sia qualitative e che quantitative di basse quantità di analita sia per i bassi costi e per la velocità del metodo.

Sebbene le fonti del segnale elettrico siano solo tre ovvero il potenziale, la corrente e la carica le tecniche possibili sono moltissime che nelle linee generali possono essere suddivise in metodi che si basano sulla misura di grandezze in condizioni di equilibrio e quindi in assenza di corrente e metodi in cui viene misurata l’intensità di corrente elettrica all’interno di una cella elettrochimica.

Questi ultimi metodi vengono a loro volta classificati sulla base della misura che viene effettuata e si suddividono in coulombometria ed elettrogravimetria, conduttimetria e voltammetria.

La potenziometria, che permette di seguire la variazione di concentrazione di una specie redox tramite la variazione del potenziale elettrico, si basa su misure di potenziale in celle elettrochimiche in cui non vi sia passaggio di corrente che è legato alle concentrazioni delle specie coinvolte nelle reazioni agli elettrodi.

La potenziometria, a sua volta, si divide in potenziometria diretta in cui si misura il potenziale di una cella per determinare la concentrazione di una specie e in potenziometria indiretta in cui si misura la variazione del potenziale di una cella durante una per determinarne il punto finale.

Con la coulombometria ed elettrogravimetria la determinazione di un analita avviene sfruttando, rispettivamente, la carica elettrica che è proporzionale alla quantità di analita necessaria per la sua completa ossidazione o riduzione o la massa che si deposita su uno dei due elettrodi di una cella elettrochimica in seguito a tale processo.

La coulombometria si suddivide a sua volta in coulombometria quando viene applicato un potenziale costante durante il tempo dell’elettrolisi che viene scelto in corrispondenza della corrente limite di diffusione e in coulombometria a corrente costante meglio nota come titolazione coulombometrica in cui viene mantenuta fissa la corrente tramite un amperostato e il titolante è generato per via elettrochimica.

Nell’elettrogravimetria viene determinata la massa dell’analita che si deposita all’elettrodo nel corso di un processo elettrolitico e viene abitualmente utilizzata per l’analisi di cationi che si depositano al catodo a seguito di un processo di riduzione. I processi elettrogravimetrici possono essere condotti controllando o meno il potenziale dell’elettrodo di lavoro.

La conduttimetria è una tecnica analitica basata sulla misura della conducibilità elettrica delle soluzioni elettrolitiche in cui vengono immersi due elettrodi inerti che vengono sottoposti ad una opportuna d.d.p.

Le misure conduttimetriche si possono classificare in misure dirette della conducibilità specifica che vengono utilizzate quando si vogliono raccogliere informazioni sul contenuto di ioni e misure indirette (titolazioni conduttimetriche) in cui si va a monitorare la variazione della conducibilità specifica:  il principio su cui si basa questo metodo è sostituire ioni con una certa mobilità con ioni con diversa mobilità, in modo da ottenere variazioni della conducibilità nel corso della reazione.

La voltammetria si basa sulla scarica di un analita misurando la corrente che attraversa un elettrodo immerso nella soluzione contenente le specie elettroattive, in grado cioè di ridursi o ossidarsi, quando viene applicato

 

 

Proprietà degli idrossidi

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Ad eccezione degli idrossidi dei metalli alcalini che sono tutti solubili e pertanto si comportano da basi forti quelli di altri metalli sono poco solubili in acqua.

In particolare la solubilità degli idrossidi dei metalli alcalino-terrosi decresce dal basso vero l’alto lungo il gruppo e quindi la solubilità di tali idrossidi in acqua segue l’ordine: Be(OH)2 < Mg(OH)2 < Ca(OH)2 < Sr(OH)2 < Ba(OH)2

L’idrossido di berillio è anfotero e pertanto in ambiente basico dà luogo alla formazione del trtraidrosso berillato secondo la reazione:

Be(OH)2(s) + 2 OH(aq) → [Be(OH)4]2-(aq)

Gli idrossidi degli elementi del gruppo 3A presentano caratteristiche peculiari infatti l’idrossido di boro B(OH)3 noto come acido borico in cui il boro non ha l’ottetto completo non si dissocia in acqua ma reagisce con essa  agendo da acido di Lewis per dare il tetraidrosso borato secondo la reazione:

B(OH)3 + H2O → [B(OH)4] + H+

L’idrossido di alluminio è un elettrolita estremamente debole avendo un prodotto di solubilità dell’ordine di 10-34. Esso, tuttavia, essendo un idrossido anfotero in ambiente basico si solubilizza dando il tetraidrosso alluminato secondo la reazione:

Al(OH)3(s) + 3 OH(aq) → [Al(OH)4](aq)

L’idrossido di alluminio, inoltre, a 1250°C dà luogo a una reazione di decomposizione dando ossido di alluminio secondo la reazione:

2 Al(OH)3(s) → Al2O3(s) + 3 H2O(g)

I metalli di transizione formano idrossidi in cui presentano generalmente numero di ossidazione +2 come Mn, Fe, Co, Ni, Cu o +3 come Fe, Ru, Rh e Ir.

Gli idrossidi di metalli con numero di ossidazione +1 sono poco stabili: ad esempio l’idrossido di argento tende a decomporsi spontaneamente in ossido secondo la reazione:

2 AgOH → Ag2O + H2O

Gli idrossidi dei metalli di transizione sono generalmente poco solubili e sono quasi sempre colorati. Ad esempio Ni(OH)2, Fe(OH)2 e Cr(OH)3 sono verdi, Cu(OH)2 è blu mentre Fe(OH)3 è rosso bruno

Reazioni isodesmiche

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Negli anni ’70 dello scorso secolo il chimico britannico Sir John Anthony Pople, premio Nobel per la chimica nel 1988, pubblicò le sue ricerche sulle reazioni isodesmiche.

Le reazioni isodesmiche sono quelle reazioni in cui il numero e il tipo di legami presenti nei reagenti è mantenuto nei prodotti.

Per illustrare il concetto si consideri la reazione tra il metilchetene e il metano che dà, come prodotti di reazione, etano, etene e formaldeide

reazioni isodesmiche

Legami presenti nei reagenti:

metilchetene: 1 legame doppio carbonio-carbonio, 1 legame doppio carbonio-ossigeno, 1 legame semplice carbonio-carbonio, 3 +1 = 4 legami carbonio-idrogeno

metano: 4 legami carbonio-idrogeno. Poiché reagiscono 2 molecole di metano si hanno 4∙2= 8 legami carbonio-idrogeno

Totale: 1 legame doppio carbonio-carbonio, 1 legame doppio carbonio-ossigeno, 1 legame semplice carbonio-carbonio, 4+8 = 12 legami carbonio-idrogeno

Legami presenti nei prodotti:

etano: 1 legame semplice carbonio-carbonio, 3+3=6 legami carbonio-idrogeno

etene: 1 legame doppio carbonio-carbonio, 2+2=4 legami carbonio-idrogeno

formaldeide: 1 legame doppio carbonio-ossigeno, 2 legami carbonio-idrogeno

Totale: 1 legame doppio carbonio-carbonio, 1 legame semplice carbonio-carbonio, 1 legame doppio carbonio-ossigeno, 6+4+2= 12 legami carbonio-idrogeno

Un altro esempio di reazione isodesmica è la reazione tra difluorometano e metano, che dà, come prodotto fluorometano:

CH2F2 + CH4 → 2 CH3F

A causa del numero costante di legami di un determinato tipo queste reazioni, che possono anche essere del tutto teoriche, costituiscono uno strumento per predire il calore di formazione di composti organici.

Inoltre, una reazione del tipo NH3 + CH3NH3+ → NH4+ + CH3NH2, può essere utilizzata per determinare l’affinità protonica delle basi azotate rispetto all’ammoniaca.

Le reazioni isodesmiche vengono principalmente utilizzate nel campo della chimica computazionale come misura delle deviazioni dall’additività delle energia di legame ed in particolare per la quantificazione delle energie di deformazione di composti ciclici, per la valutazione dell’aromaticità del benzene e per correlare la struttura in funzione della stabilità di cationi e radicali liberi.

Osmosi e conservazione degli alimenti

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Già nell’antichità nacque l’esigenza della conservazione degli alimenti che abbondavano in alcune stagioni e fu compreso che una delle cause che provocava la loro alterazione era la presenza di acqua che permette la proliferazione di microrganismi e onde evitare questo fenomeno fin dal primo millennio a.C, furono attuate tecniche di salatura o di essiccazione degli alimenti come carne e pesci.

Si consolidarono quindi tecniche di lavorazione del cibo miranti all’allontanamento dell’acqua in essi contenuta estendendo il campo di applicazione anche alla frutta per la quale veniva utilizzato lo zucchero.

Tali tecniche di conservazione degli alimenti si basano sul fenomeno dell’osmosi.

Se due comparti contenenti due soluzioni a diversa concentrazione sono separati da una membrana semipermeabile, che presenta la proprietà di farsi attraversare dalle molecole del solvente ma non da quelle del soluto si osserva che l’acqua passa dal compartimento a minore concentrazione a quello a maggiore concentrazione e la pressione che bisogna esercitare per impedire l’osmosi viene detta pressione osmotica.

Se due soluzioni liquide sono separate da una membrana semipermeabile si possono verificare tre casi:

1) la prima soluzione è più diluita della seconda: in tal caso si parla di soluzione ipotonica

2) la prima soluzione è più concentrata della seconda: in tal caso si dice ipertonica

3) le due soluzioni hanno la stessa concentrazione molare: in tal caso sono dette isotoniche

La disidratazione osmotica consiste nell’immergere l’alimento in una soluzione salina o zuccherina ad elevata concentrazione ovvero ipertonica.

Si verifica in questo modo il trasferimento di acqua dalla soluzione più diluita a quella più concentrata a causa della differenza di pressione osmotica.

Infatti le cellule sia animali che vegetali sono circondate da una membrana cellulare a doppio strato lipidico che consente il flusso di acqua dentro e fuori la cellula quindi a contatto con soluzioni ipertoniche l’acqua fuoriesce dalla cellula in modo che i microrganismi non possano moltiplicarsi e accrescersi.

Le sostanze più comuni utilizzate per ottenere soluzioni ipertoniche atte a conservare determinati alimenti, anche grazie alle loro proprietà organolettiche e al basso costo, sono il sale da cucina ovvero NaCl e lo zucchero ovvero il saccarosio.

Utilizzando il sale da cucina si preparano le acciughe salate che abbondano nei paesi di mare in alcuni periodi dell’anno così come la carne, spesso di maiale, quando c’era l’esigenza di conservarla per il maggior tempo possibile.

Con lo zucchero si prepara la frutta sciroppata, la marmellata dove il materiale conservato viene cotto nello zucchero fino al punto di cristallizzazione.

Tale procedimento si presta alla conservazione di alcuni alimenti per i quali altre tecniche come la surgelazione non danno risultati adeguati.

 

 

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