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Tetradotossina

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La tetradotossina (TTX) è una tossina naturale presente in alcuni tipi di pesci tra cui il pesce palla tristemente nota per la sua tossicità.

La tetradotossina viene rinvenuta anche nel polpo dagli anelli blu famoso nel film di James Bond Octopussy, in alcune rane velenose e nel tritone dalla pelle ruvida. La tetradotossina è prodotta da alcuni batteri simbiotici che il pesce palla tende ad accumulare.

La tetradotossina, molto più potente del cianuro di potassio, costituisce un potenziale pericolo in particolare per i giapponesi per il quali il pesce palla costituisce una prelibatezza culinaria sia cucinato che servito crudo come sashimi.

La tetradotossina è peraltro stabile al calore quindi la cottura non ne diminuisce la tossicità pertanto in Giappone vi sono cuochi appositamente addestrati che sono in grado di eliminare le parti del pesce che la contengono e in particolare fegato, ovaie, intestino e pelle.

Nonostante i cuochi facciano un addestramento di tre anni e debbano superare un esame sia scritto che pratico ancora oggi muoiono qualche decina di giapponesi all’anno.

Si riteneva che la presenza di tetradotossina fosse limitata alle regioni del Sud-est asiatico, ma studi recenti hanno dimostrato che la tossina si è diffusa nelle regioni del Pacifico e del Mediterraneo probabilmente a causa dell’innalzamento della temperatura dei mari.

La tossina fu isolata per la prima volta nel 1909 dal dott. Yoshizumi Tahara dalle ovaie del pesce palla sebbene fosse noto da tempo che questi pesci contenessero sostanze tossiche.

L’azione della tetradotossina viene esplicata tramite il blocco dei canali del sodio ovvero canali ionici che conducono i cationi del sodio attraverso la membrana cellulare.

La tossina è inefficace per i pesci palla in quanto la catena di amminoacidi aromatici presenti nei canali del sodio è sostituita da un amminoacido non aromatico e ciò impedisce che i canali del sodio vengano bloccate

La molecola è costituita da un gruppo guanidinico costituito da tre atomi di azoto caricato positivamente, un anello pirimidinico con strutture cicliche fuse contenenti gruppi –OH. L’interazione tra il gruppo guanidinico caricato positivamente e i gruppi carbossilato presenti negli amminoacidi caricati negativamente che si trovano nei canali del sodio blocca infatti la diffusione degli ioni sodio.

tetradotossina

Il primo sintomo che viene avvertito, a seguito dell’ingestione della tetradotossina, è una sensazione di formicolio delle labbra e della bocca ed infine del corpo in accordo con l’azione della molecola che porta a un impulso nervoso anomalo. La tetradotossina agisce sul muscolo scheletrico che porta alla paralisi e la morte per avvelenamento avviene a seguito della cessazione della contrazione del diaframma.

Solo i migliori chef sono in grado di lasciare una traccia della tossina nel pesce in modo che gli avventori possano godere di quel delicato formicolio con il brivido di giocare alla roulette russa, ma senza rischi.


N-bromosuccinimmide

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L’1-bromo-2,5- pirrolidindione nota come N-bromosuccinimmide o NBS è un’immide dell’acido succinico avente formula C4H4BrNO2

N-Bromosuccinimmide

La N-bromosuccinimmide è un solido cristallino bianco solubile in acetone, tetraidrofurano, dimetilsolfossido e acetonitrile mentre è scarsamente solubile in acqua e acido acetico e non è solubile in etere, esano e tetracloruro di carbonio.

La N-bromosuccinimmide è una fonte di bromo nelle sostituzioni radicaliche e nelle reazioni di addizione elettrofila e viene preferita a Br2 che risulta difficile da maneggiare.

La N-bromosuccinimmide viene ottenuta in laboratorio facendo reagire la succinimmide con bromo in ambiente basico

sintesi

La N-bromosuccinimmide dà molte reazioni e, tra esse, le più importanti sono la bromurazione allilica e la formazione delle bromoidrine.

La bromurazione allilica che consiste nella sostituzione di un idrogeno presente in un carbonio adiacente al doppio legame con il bromo e, nel caso si tratti del benzene, si parla di bromurazione benzilica.

In questo tipo di reazione la N-bromosuccinimmide  viene usata al posto del bromo in quanto il bromo tende a dare a rompere il doppio legame per dar luogo a dibromuri vicinali.

Nella bromurazione allilica detta reazione di Wohl- Ziegler la N-bromosuccinimmde reagisce in presenza di piccole quantità di HBr in presenza di tetracloruro di carbonio per dare Br2 a bassa concentrazione e succinimmide.

succinimmide

Nel primo stadio della reazione che costituisce l’iniziazione si ha, in presenza di luce, una scissione omolitica del bromo con ottenimento di un radicale:

Br-Br → 2 Br:

Nel secondo stadio, ovvero nello stadio di propagazione, il bromo radicale rimuove un idrogeno allilico dalla molecola dell’alchene con formazione di un intermedio radicalico stabilizzato per risonanza.

La stabilità dovuta alla delocalizzazione del radicale fa sì che la sostituzione nella posizione allilica sia preferita rispetto a reazioni concorrenti come quelle di addizione al doppio legame. L’intermedio radicalico reagisce con una molecola di Br2 per dare il prodotto di reazione e un nuovo radicale di bromo che viene a sua volta utilizzato in questa fase.

La terminazione avviene o per formazione di Br2 da due radicali di bromo, o per reazione tra due intermedi radicalici

NBS

La N-bromosuccinimmide viene utilizzata nella sintesi delle bromidrine ovvero di aloidrine in cui l’alogeno è costituito dal bromo a partire da un alchene. Le aloidrine sono costituite da un alogeno e un gruppo –OH legati ad atomi di carbonio adiacenti.

Nella reazione tra un alchene e N-bromosuccinimmide in presenza di acqua o di un alcol si forma uno ione bromonio a ponte e succinimmide. L’intermedio viene attaccato dal solvente con formazione della bromidrina. Se l’alchene è ciclico si può notare che il prodotto della reazione è di tipo trans quindi dal cicloesene di ottiene il trans-2-bromocicloesanolo in quanto l’attacco del nucleofilo avviene dalla parte opposta e meno ingombrata dell’intermedio a ponte.

bromidrine

Bromo

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Il bromo è un elemento appartenente al Gruppo 17 e al 4° Periodo avente configurazione elettronica [Ar] 3d10, 4s2, 4p5 che presenta numeri di ossidazione +7, +5, +4, +3, +1 e -1.

Il bromo fu scoperto da due scienziati indipendentemente l’uno dall’altro. Nell’autunno del 1825 Karl Jacob Löwig studente del Laboratorio di Medicina e Chimica del Prof. L. Gemlin, all’Università di Heidelberg ottenne un liquido rossastro dall’odore sgradevole dopo aver trattato un’acqua sorgiva con cloro gassoso e averla dibattuta con etere etilico che, a seguito dell’evaporazione, dava luogo a questo liquido che solo più tardi fu denominato bromo dal greco βρῶμος che significa fetore.
La pubblicazione dei risultati fu ritardata e nel 1926 il chimico francese Antoine Balard che lavorava in una scuola di farmacia a Montpellier, isolò una sostanza con le stesse proprietà del liquido ottenuto da Löwig lavorando sulla cenere delle alghe delle saline di Montpellier.
I risultati furono presentati in una conferenza dell’Académie des Sciences e pubblicati sugli Annales de Chimie et Physique e pertanto la scoperta del bromo viene attribuita a Antoine Balard
Attualmente il bromo viene ottenuto dall’acqua di mare dove è contenuto come bromuro trattando l’acqua con cloro.

Il cloro è un miglior ossidante del bromo in quanto il potenziale standard della semireazione di riduzione Cl2 + 2 e- → 2 Cl- vale + 1.36 V mentre il potenziale standard della semireazione di riduzione Br2 + 2 e- → 2 Br- vale + 1.07 V e pertanto ossida il bromuro a bromo secondo la reazione:
2 Br- + Cl2 → Br2 + 2 Cl-
Il bromo così ottenuto viene allontanato dal vapore d’aria e fatto passare attraverso una soluzione di carbonato di sodio dove avviene la reazione di disproporzione con ottenimento di bromato e bromuro:
3 Br2 + 3 Na2CO3 → 5 NaBr + NaBrO3 + 3 CO2
La soluzione di bromato e bromuro viene acidificata con acido solforico con ottenimento di HBr e HBrO3:
5 NaBr + NaBrO3 + 3 H2SO4 → 5 HBr + HBrO3 + 3 Na2SO4
HBr e HBrO3 reagiscono tra loro in una reazione di comproporzione per dare bromo:
5 HBr + HBrO3 → 3 Br2 + 3 H2O
In laboratorio il bromo può essere ottenuto per ossidazione del bromuro con perossido di idrogeno in ambiente acido secondo la reazione:
2 KBr + H2O2 + 2 HCl → Br2 + 2 H2O + 2 KCl
Il bromo è l’unico non metallo che si presenta liquido a temperatura ambiente e presenta caratteristiche simili a quelle degli alogeni che lo precedono e lo seguono nel gruppo.
Il bromo è un ossidante e reagisce con l’acqua secondo una reazione di disproporzione per dare bromuro e ipobromito:
Br2 + H2O → BrO- + Br- + 2 H+
In ambiente basico si disproporziona dando bromato e bromuro:
3 Br2 + 6 OH- → BrO3- + 5 Br- + 3 H2O
Particolarmente coreografica è la reazione tra alluminio e bromo: immergendo alluminio in scaglie in un beaker non appena i due elementi entrano in contatto tra loro si sviluppano luce e calore. a causa dell’elevata esotermicitàdella reazione:
2 Al + 3 Br2 → 2 AlBr3
Il bromo dà molte reazioni di particolare importanza nell’ambito delle sintesi organiche.

Tra queste vi è l’addizione elettrofila al doppio legame che dà, come prodotto di reazione, un dibromuro vicinale. La reazione avviene tramite un intermedio bromonio a ponte
Alcheni_alogenazione_meccanismo
La reazione è stereospecifica in trans e il meccanismo può essere verificato in presenza di un alchene ciclico che dà luogo alla formazione di due enantiomeri
enantiomeri
Questa reazione è favorita a temperatura ambiente mentre a temperatura superiori a 500°C viene favorita la sostituzione radicalica sulla posizione allilica detta bromurazione allilica che consiste nella sostituzione di un idrogeno presente in un carbonio adiacente al doppio legame con il bromo in presenza di N-bromosuccinimmide.
Il bromo trova applicazioni in molti campi tra cui quello della disinfezione delle acque in alternativa alla clorazione: i composti bromurati sono utilizzati infatti nel trattamento delle acque delle piscine e per controllare la crescita batterica nei processi industriali.
I composti di bromo sono pesticidi efficaci, usati sia come agenti fumiganti del suolo in agricoltura, in particolare nella frutticoltura, sia per impedire ai parassiti di attaccare cereali immagazzinati e altri prodotti.
In campo farmaceutico le sostanze bromurate sono presenti in molti farmaci tra cui analgesici, sedativi e antistaminici.
Il bromuro di argento è un materiale fotosensibile che, sospeso in una gelatina e collocato sulla pellicola fotografica, costituisce un’emulsione che viene impressionata da una sorgente luminosa producendo un’immagine latente visibile a seguito dello sviluppo fotografico.
Il maggior utilizzo dei composti bromurati è nell’ambito dei ritardanti di fiamma; questo tipo di composti organici del bromo, denominati come BFR, esplicano un effetto ritardante della fiamma in materiali combustibili comunemente utilizzati in molti settori industriali tra cui quello tessile, elettronico e per la produzione degli imballaggi di plastica.

 

Rubino

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Il rubino è una pietra preziosa di colore rosso della famiglia del corindone costituito da ossido di alluminio estratto principalmente in Birmania e nello Sri Lanka.

Il corindone è un minerale allocromatico la cui colorazione dipende dalla presenza di impurezze e, se polverizzato, perde il suo colore diventando una polvere spesso biancastra.

Il rubino è una pietra nota fin dall’antichità e viene citata nella Bibbia; gli antichi Indù ritenevano che coloro che offrivano i rubini al dio Krishna ricevessero il dono di rinascere come imperatore. Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia descrisse la durezza e la densità dei rubini.

Il rubino è stato oggetto di numerose leggende nel corso dei secoli. La gente in India credeva che i rubini permettessero ai loro proprietari di vivere in pace con i loro nemici mentre in Birmania i guerrieri possedevano rubini che li rendevano invincibili in battaglia. Il rubino è stato da sempre apprezzato anche nel mondo occidentale divenendo una delle gemme più ambite dei reali europei e delle classi superiori. 

Il colore del rubino varia dal rosso brillante al marrone rossiccio scuro a seconda del tipo di impurezze in esso contenute.

Il rubino più apprezzato è il rubino birmano noto per il suo colore “sangue di piccione” la cui colorazione è dovuta alla presenza di ossido di cromo (III).

In realtà il rubino e lo zaffiro hanno la stessa struttura e composizione ma differiscono tra loro per la presenza di metalli di transizione diversi.

Mentre la formula della zaffiro è MxAl2-xO3 essendo M un metallo di transizione ovvero vanadio, cromo, titanio e ferro, la formula del rubino è CrxAl2-xO3 con x~0.05 del tutto simile a quella dello zaffiro rosa da cui differisce per la maggiore quantità di cromo (III) in esso presente.

Il rubino che ha un grado di durezza pari a 9 nella Scala di Mohs, insieme allo smeraldo e allo zaffiro costituisce la triade delle pietre di colore di maggior pregio, ma nell’antichità, in assenza di tecniche analitiche atte alla sua caratterizzazione veniva confuso con lo spinello.

Quest’ultimo ha formula MgAl2O4 e un grado di durezza pari a 8 nella Scala di Mohs appare molto simile al rubino al punto da essere incastonato, confuso con un rubino, sulla fronte della corona imperiale britannica.

Il rubino è stata la prima pietra preziosa ad essere sintetizzata in laboratorio: il chimico francese Auguste Victor Louis Verneuil, sviluppando le ricerche di altri chimici fu il primo a brevettare il metodo di ottenimento del rubino nel 1902. Il metodo detto “di fusione alla fiamma” o metodo Verneuil consiste nel trattare l’ossido di alluminio con l’ossido di cromo (III) finemente polverizzati ad elevate temperature onde ottenerne la fusione il cui lento raffreddamento porta alla formazione di cristalli.

Nel 1916 il chimico polacco Jan Czochralski ottenne rubini sintetici fondendo gli ossidi in un crogiolo di platino e iridio immergendo un germe cristallino sulla superficie degli ossidi fusi da cui viene sollevato in modo da poter trascinare il materiale fuso.

Successivamente sono stati sviluppati altri metodi che hanno portato alla sintesi di pietre dalle caratteristiche del tutto simili a quelle dei rubini naturali che solo un attento esame al microscopio può differenziarle.

Convertitori catalitici

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La reazione chimica più importante che avviene in un motore a combustione interna è la combustione del carburante. Se la combustione fosse completa gli unici prodotti di reazione sarebbero biossido di carbonio e vapore acqueo.

Tuttavia, affinché ciò possa avvenire si dovrebbero verificare una serie di fattori: presenza sufficiente di ossigeno, adeguata miscelazione della benzina e dell’aria e tempo sufficiente affinché la miscela reagisca.

Nei motori a combustione interna, tuttavia, il tempo disponibile è limitato dal ciclo del motore pertanto si verifica una combustione incompleta del carburante e ciò porta all’emissione del monossido di carbonio e di una vasta gamma di composti organici volatili (VOCs) compresi gli idrocarburi (HC) e di sostanze aromatiche.

Vi sono poi altri prodotti del processo di combustione costituiti dagli ossidi di azoto indicati con la sigla NOx che si formano dalla reazione tra l’ossigeno e l’azoto presenti nell’aria ad elevate temperature.

I convertitori catalitici sono dei dispositivi che controllano le emissioni di scarico convertendo i gas nocivi in inquinanti meno dannosi per l’uomo e l’ambiente con conseguente diminuzione dell’inquinamento dell’aria.

I convertitori catalitici sono in grado di trasformare circa il 98% dei fumi nocivi catalizzando reazioni di ossidoriduzione in cui i reagenti sono costituiti dai prodotti di scarico.

Essi sono costituiti da un alloggiamento metallico in cui vi è del materiale ceramico a nido d’ape rivestita da cordierite 2 Mg.2 Al2O3. 5 SiO2 con pareti porose e canali paralleli di circa 60 cm contenente metalli di transizione come platino, palladiorodio.

Per aumentare la superficie di contatto la superficie interna a forma di nido d’ape è rivestita da uno strato irregolare di ossido di alluminio in cui sono contenuti degli ossidi.

L’ossido di bario BaO agisce da promotore strutturale impedendo che le particelle del catalizzatore, per effetto della temperatura o con il tempo subiscano un processo di sinterizzazione provocando una riduzione dell’attività catalitica a causa della diminuzione della superficie totale esterna del catalizzatore.

L’ossido di germanio GeO2 agisce da promotore chimico aumentando l’attività e la selettività del catalizzatore.

Tra i convertitori catalitici più efficaci vi è quello trivalente o ossidante e riducente detto three-way in quanto è in grado di agire sui tre principali inquinanti. Nella prima sezione del convertitore catalitico detta camera riducente vengono ridotti gli NOx in azoto e ossigeno e la reazione è catalizzata dal platino e dal rodio:

2 NO → N2 + O2

2 NO2 → N2 + 2 O2

Nella seconda sezione della camera ossidante vengono ossidati il monossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti e i VOCs ad opera del platino e del palladio:

2 CO + O2 → 2 CO2

CnHm + [n+ (m/4)] O2 → n CO2 + m/2 H2O

I catalizzatori presenti all’interno del convertitore possono danneggiarsi per usura o surriscaldamento ma vi sono sostanze chimiche in grado di inibire i catalizzatori avvelenandoli. Innanzi tutto il piombo che è in grado di rivestire i metalli catalitici impedendo il contatto con i gas di scarico; sebbene le attuali benzine siano prive di piombo tetraetile una eventuale impurezza danneggia il convertitore.

Il metilciclopentadienil-tricarbonil-manganese (MMT), composto utilizzato negli anni ’90 dello scorso secolo per aumentare il numero di ottani della benzina e successivamente bandito è un altro composto che, a causa della presenza di manganese, è in grado di danneggiare il convertitore.

Cifre significative

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Quando si effettuano misure di grandezze fisiche come massa, volume e temperatura si utilizza uno strumento di misura che ha una certa sensibilità che è il più piccolo valore della grandezza che lo strumento è in grado di misurare.

Si supponga, ad esempio, che utilizzando una bilancia, si ottenga che la massa di un corpo sia di 7.853 g. Ciò implica che lo strumento ci consente di determinare con sicurezza i grammi, i decigrammi, i centigrammi ma non i milligrammi su cui grava un’incertezza di ±1. La misura potrebbe essere quindi scritta come 7.853 ± 0.001 ovvero la massa del corpo è compresa tra 7.852 e 7.854 g.

La misura ha quindi 4 cifre significative di cui 3 cifre attendibili e una dubbia.

Supponiamo che la massa di un corpo sia di 12.5 g e volessimo esprimere la misura in milligrammi: è sbagliato scrivere 12500 mg in quanto nella misurazione effettuata l’incertezza ricade sui decigrammi pertanto bisogna scrivere, in notazione esponenziale 1.25 ∙ 104 mg.

Uno dei maggiori problemi nell’attribuzione del numero di cifre significative di una misurazione è la presenza dello zero.

Se lo zero è compreso tra due cifre diverse da zero esso è una cifra significativa quindi il numero 3.307 g ha quattro cifre significative.

Se lo zero è l’ultima cifra esso è una cifra significativa pertanto il numero 1.70 g ha tre cifre significative.

Se lo zero si trova a sinistra di un numero e serve solo a localizzare la virgola esso non è una cifra significativa quindi il numero 0.433 g ha tre cifre significative così come in numero 0.0024 g ha due cifre significative.

Calcoli con le cifre significative.

Si supponga che ad un beaker vuoto di massa 75.0 g venga aggiunto un sale di massa 0.235 g. la massa complessiva non è quella che ci fornisce la somma dei due numeri ovvero 75.235 g in quanto il numero 75.0 ha tre cifre significative e un’incertezza sui decigrammi pertanto la somma dei due numeri deve mantenere incertezza sui decigrammi quindi 75.0 g + 0.235 g = 75.2 g.

Quando si fanno operazioni di somma o sottrazione tra due o più misure il risultato dell’operazione deve contenere lo stesso numero di decimale dell’addendo o del sottraendo che ne contiene il minor numero: (22.5 + 12.10 + 10.41) g = 45.0 g

Il risultato della moltiplicazione o della divisione deve contenere lo stesso numero di cifre significative presenti nel fattore che ne contiene di meno: 0.348 coulomb/ 0.12 s = 2.9 coulomb/s

Quando il valore numerico di una grandezza contiene un numero di cifre maggiore rispetto a quello delle cifre significative che devono essere usate si deve procedere al suo arrotondamento eliminando tutte le cifre che seguono l’ultima cifra significativa secondo le regole seguenti:

1) se la prima delle cifre eliminate è maggiore di 5 si aumenta di una unità l’ultima cifra ovvero si arrotonda per eccesso

Esempio: se si deve arrotondare il numero 2.327 a tre cifre significative si deve eliminare il 7 che è maggiore di 5 e il 2 va aumentato a 3 ovvero 2.33

2) se la prima delle cifre eliminate è minore di 5 l’ultima cifra significativa rimane invariata e pertanto si arrotonda per difetto

Esempio: se si deve arrotondare il numero 1.034 a tre cifre significative si deve eliminare il 4 che è minore di 5 e pertanto l’ultima cifra significativa rimane invariata ovvero 1.03

3) se la prima delle cifre eliminate è uguale a 5 onde evitare che nello svolgimento di numerosi calcoli le approssimazioni fatte tutte per eccesso o per difetto diano un risultato poco rispondente si dovrebbe utilizzare un metodo statistico ovvero, ad esempio, approssimare per eccesso se il numero che precede il 5 è dispari o approssimare per difetto se il numero che precede il 5 è pari. Ovviamente questo tipo di convenzione può essere invertita.

Esempio: se si deve arrotondare il numero 3.025 a tre cifre significative si deve eliminare il 5 e poiché il numero che precede il 5 è pari si arrotonda per difetto ovvero 3.02. Se si deve arrotondare il numero 3.035 a tre cifre significative si deve eliminare il 5 e poiché il numero che precede il 5 è dispari si arrotonda per eccesso ovvero 3.04.

Occorre sottolineare che quest’ultimo metodo, che è stato usato per molto tempo, è probabilmente stato considerato farraginoso e quindi anche i testi più accreditati arrotondano sempre per eccesso.

 

Calcoli quantitativi in chimica analitica: esercizi

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La chimica analitica si occupa, oltre che della determinazione qualitativa di un campione, anche di quella quantitativa di un campione utilizzando le tecniche più svariate dall’analisi gravimetrica a quella volumetrica, dall’analisi strumentale che sfrutta metodi elettrochimici a quella che si avvale dell’interazione radiazione materia fino alle tecniche cromatografiche.

Nell’ambito dell’analisi volumetrica si usano le titolazioni che possono essere di vari tipi tra cui acido-base, ossidimetriche, complessometriche, per precipitazione.

Vengono proposti alcuni problemi relativi alla determinazione quantitativa di un analita utilizzando una tecnica volumetrica.

Esercizi

  • Un campione di massa 0.4891 g contenente ferro viene solubilizzato con HCl e tutto il ferro in esso presente viene portato a ferro (II) che viene titolato con bicromato di potassio. Calcolare la percentuale di ferro nel campione espressa come % m/m in Fe2O3 se sono stati impiegati 36.92 mL di bicromato di potassio 0.02153 M per raggiungere il punto finale

Occorre innanzi tutto scrivere la reazione tra il ferro (II) e il bicromato di potassio:

Cr2O72- + 6 Fe2+ + 14 H+ → 2 Cr3+ + 6 Fe3+ + 7 H2O

Le moli di bicromato utilizzate per raggiungere il punto finale sono pari a:

moli di bicromato = 0.03692 L ∙ 0.02153 mol/L = 0.0007949

il rapporto stechiometrico tra bicromato e ferro (II) è di 1:6

Moli di Fe2+ = 0.0007949 ∙ 6 = 0.004769

Moli di Fe2O3 = 0.004769/2 = 0.002385

Massa di  Fe2O3 = 0.002385 mol ∙ 159.69 g/mol = 0.3808 g

% m/m di Fe2O3 nel campione = 0.3808 ∙ 100/0.4891 = 77.86

  • Un campione di candeggina avente volume pari a 25.00 mL viene diluito a 1000 mL. Vengono prelevati 25.0 mL della e posti in una beuta un eccesso di ioduro di potassio il quale riduce lo ione ClO a Cl trasformandosi in I3. Lo ione triioduro ottenuto viene titolato con 8.96 mL di una soluzione di tiosolfato di sodio 0.09892 M. Determinare la quantità di ipoclorito di sodio presente nel campione espressa in % m/V

Occorre scrivere:

  1. a) la reazione tra ipoclorito e ioduro:

OCl +3 I + 2 H+ → Cl + I3 + H2O

  1. b) la reazione del triioduro con il tiosolfato

I3 + 2 S2O32- → 3 I + S4O62-

Le moli di tiosolfato utilizzate nella titolazione del triioduro sono:

moli di tiosolfato = 0.00896 M ∙ 0.09892 mol/L = 8.86 ∙ 10-4

Il rapporto stechiometrico tra tiosolfato e triioduro è di 2:1

Moli di triioduro = 8.86 ∙ 10-4/2 = 4.43 ∙ 10-4

Il rapporto stechiometrico tra triioduro e ipoclorito è di 1:1 pertanto le moli di ipoclorito presenti in 25.0 mL della soluzione diluita sono 4.43 ∙ 10-4

Le moli di ipoclorito contenute in 1000 mL sono pari a 1000 ∙  4.43 ∙ 10-4/25.0 = 0.0177

La massa di ipoclorito di sodio è quindi pari a 0.0177 mol ∙ 74.44 g/mol = 1.32 g che corrisponde alla massa di ipoclorito contenuta nella soluzione iniziale di 25.00 mL

% m/V = 1.32 x 100/25.00= 5.28

  • La concentrazione del biossido di azoto presente nell’aria viene determinata ossidando NO2 a HNO3 con una soluzione di perossido di idrogeno e titolando l’acido nitrico con NaOH. Calcolare la concentrazione di NO2 in mg/L se 5.00 L di aria richiedono 9.14 mL di NaOH 0.01012 M per raggiungere il punto finale

La reazione di ossidazione del biossido di azoto con perossido di idrogeno è:

2 NO2 + H2O2 → 2 HNO3

In cui il rapporto tra NO2 e HNO3 è di 2:2 ovvero di 1:1

La reazione che avviene nel corso della titolazione è:

HNO3 + NaOH = NaNO3 + H2O

In cui il rapporto tra acido nitrico e idrossido di sodio è di 1:1

Moli di NaOH = 0.00914 ∙ 0.01012 mol/L = 9.25 ∙ 10-5

Moli di NaOH = moli di HNO3 = moli di NO2 = 9.25 ∙ 10-5

Massa di NO2 = 9.25 ∙ 10-5 ∙ 46.0047 g/mol = 0.00426 g = 4.26 mg

Concentrazione di NO2 = 4.26 mg/5.00 L = 0.852 mg/L

Riduttore di Jones

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Nelle titolazioni ossidimetriche l’analita deve avere un unico numero di ossidazione.

Si consideri, ad esempio, un campione contenente ferro presente, in genere, sotto forma di ferro (II) e ferro (III) di cui si vuole valutare il titolo di ferro. Questo tipo di analisi può essere fatta per via permanganometrica solo se tutto il ferro (III) viene trasformato in ferro (II).

A tale scopo si può utilizzare un agente riducente che reagisce quantitativamente con il ferro (III) e che non interferisce con la reazione.

Può essere utilizzato a tale scopo il riduttore di Jones costituito da un cilindro di circa 2 cm di larghezza e 40.50 cm di altezza in cui è contenuta un amalgama zinco-mercurio preparato trattando lo zinco metallico con una soluzione al 2% di cloruro di mercurio (II).

Lo ione mercurio (II) reagisce con lo zinco metallico secondo la reazione:

2 Zn + Hg2+ → Zn2+ + Zn(Hg)

Gli ioni Hg2+ vengono ridotti a mercurio metallico che forma l’amalgama che viene lavato con una soluzione acida e posta nel riduttore dotato di un rubinetto e di un disco di vetro sinterizzato che sostiene l’amalgama.

La soluzione che contiene lo ione che deve essere ridotto viene fatta passare attraverso l’amalgama che, non presentando passivazione, costituisce un riducente migliore rispetto allo zinco metallico.

Il potenziale di ossidazione relativo alla semireazione:

Zn → Zn2+ + 2 e

è pari a + 0.763 V quindi ed è in grado di ridurre numerosi ioni metallici o metalli contenuti in ioni poliatomici che hanno un potenziale di riduzione minore ad un numero di ossidazione più basso.

Le semireazioni di riduzione che tipicamente avvengono in un riduttore di Jones sono:

Cr3+ + 1 e→ Cr2+  per la quale E° = – 0.44 V

Cu2+ + 2 e → Cu per la quale E° = 0.337 V

Fe3+ + 1 e → Fe2+  per la quale E° = 0.771 V

H2MoO4 + 6 H+ + 3 e → Mo3+ + 4 H2O per la quale E° = + 0.43 V

TiO2+ + 2 H+ + 1 e → Mo3+ + H2O per la quale E° = + 0.19 V


Bromato di potassio

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Il bromato di potassio ha formula KBrO3 si presenta come un solido cristallino di colore bianco solubile in acqua.

Il bromato è un agente ossidante che ossida il ferro (II), l’arsenico (III) e l’ossalato e può essere utilizzato quale standard primario nelle titolazioni bromatometriche; viene utilizzato, tra l’altro per la determinazione di alcuni composti organici che danno luogo alla bromurazione dell’anello aromatico come, ad esempio, il fenolo.

Il bromato di potassio può essere ottenuto facendo reagire idrossido di potassio con bromo secondo la reazione complessiva:

6 KOH + 3 Br2 → KBrO3 + 5 KBr + 3 H2O

Inizialmente si forma l’ipobromito di potassio che è instabile e si disproporziona in bromuro e bromato.

Il bromato di potassio viene separato dal bromuro di potassio in quanto è molto meno solubile di quest’ultimo a freddo e pertanto precipita e viene separato per filtrazione.

Gli agenti riducenti trasformano il bromato in bromuro in ambiente acido secondo la semireazione di ossidazione:

BrO3 + 6 H+ + 6 e → Br + 3 H2O

In presenza di un eccesso di bromato quest’ultimo reagisce con il bromuro secondo una reazione di comproporzione per dare bromo:

BrO3 +5  Br + 6 H+ → 3 Br2 + 3 H2O

Il bromato di potassio è stato utilizzato quale additivo nei processi di panificazione industriale perché migliorava la resa della farina in quanto per le sue proprietà ossidanti favorisce la formazione della maglia glutinica.

Nelle farine sono infatti presenti in proporzioni diverse due proteine ovvero la gliadina in grado di formare una massa pastosa che conferisce proprietà plastiche al glutine e la gluteina responsabile della consistenza dell’impasto durante la cottura.

Quando la farina viene impastata con l’acqua queste proteine formano un reticolo detto glutine o maglia glutinica. Il biossido di carbonio prodotto dal lievito esercita una pressione sulla maglia glutinica con conseguente lievitazione dell’impasto.

Il bromato di potassio è stato quindi ritenuto un valido additivo anche per le sue proprietà decoloranti che rendono il pane più bianco.

Durante la cottura il bromato di potassio viene ridotto a bromuro secondo la reazione di decomposizione:

2 KBrO3 → 2 KBr + 3 O2

Tuttavia la reazione che dipende dalla temperatura, dal tempo di cottura e dalla quantità di bromato di potassio presente, pur avvenendo con un’alta resa, non avviene in modo quantitativo e pertanto rimane un residuo di bromato di potassio.

Il bromato di potassio è tuttavia stato classificato dall’International Agency for Research on Cancer come un possibile cancerogeno per l’uomo. Per la sua capacità ossidante, il bromato agisce infatti sulle basi azotate del DNA modificandone la struttura e, conseguentemente, provocando la possibile insorgenza di neoplasie.

Nella gran parte dei paesi del mondo pertanto il bromato di potassio è stato bandito mentre negli USA è consentito fino a 20 ppb sebbene si tenda a ridurli a 5 ppb e quindi i prodotti da forno vengono sottoposti ad analisi per determinarne la concentrazione.

Acido perfluoroottanoico

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L’acido perfluoroottanoico (PFOA) è un acido carbossilico con otto atomi di carbonio avente la stessa struttura dell’acido ottanoico con la differenza che gli atomi di idrogeno della catena sono sostituiti da atomi di fluoro ed ha pertanto formula CF3(CF2)6COOH.

L’acido perfluoroottanoico è un acido forte per effetto induttivo, di origine sintetica utilizzato in molti prodotti di consumo e nella produzione di fluoropolimeri. A causa dei forti legami carbonio-fluoro l’acido perfluoroottanoico è stabile al degrado metabolico e ambientale come biodegradazione, fotolisi e idrolisi.

L’acido perfluoroottanoico può essere ottenuto per fluorurazione elettrochimica (ECF) facendo reagire il cloruro di ottanoile con il fluoruro di idrogeno o per telomerizzazione a partire da ioduro di perfluoroetile e tetrafluoroetene e, a seconda del metodo e delle condizioni di reazione si può ottenere una catena ramificata o lineare.

Le sostanze perfluorurate, come il PFOA e i suoi derivati, sono resistenti all’acqua e ai lipidi e sono comunemente usati come agenti tensioattivi che alterano la tensione superficiale di una miscela. Storicamente, PFOA è stato utilizzato nel trattamento di tappeti, pelli, tessuti, imbottiture, imballaggi di carta e additivo per rivestimento quale agente impermeabilizzante o antimacchia, schiume antincendio, vernici per

Uno dei sali più noti dell’acido perfluoroottanoico è il perfluoroottanoato di ammonio APFO avente formula CF3(CF2)6COONH4 utilizzato quale emulsionante nella sintesi di polimeri come il teflon.

Il PFOA può essere rilasciato nell’ambiente dagli impianti di produzione dei fluoropolimeri e, stante la sua stabilità, lo si ritrova nell’aria, nelle acque e anche nel cibo come uova e pesce oltre che nei prodotti di consumo in cui è contenuto.

Il PFOA fa parte delle sostanze perfluoroalchiliche note come PFAS e, sebbene vi siano controversie sui suoi possibili danni all’organismo e all’ambientei, è dimostrato, da studi effettuati su animali da laboratorio, che l’acido perfluoroottanoico ha effetti tossici a danno del fegato, possibilità di indurre il cancro a fegato e pancreas. Inoltre sono ancora sconosciuti gli effetti a lungo termine dell’acido perfluoroottanoico ma la tendenza è quella di limitarne l’uso cosa che meritoriamente hanno fatto alcuni produttori.

In Europa infatti si tende sempre a dilazionare la soluzione del problema: secondo l’ultimo regolamento (UE) del 13 giugno 2017 “ l’uso o l’immissione sul mercato del PFOA, dei suoi sali e delle sostanze correlate al PFOA, in quanto tali, come componenti di altre sostanze, miscele o articoli, comportano rischi inaccettabili per la salute umana e l’ambiente. La Commissione ritiene che tali rischi vadano affrontati a livello di Unione” e speriamo che l’Unione affronti presto il problema.

Burro di arachidi

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Il burro di arachidi è uno degli alimenti maggiormente utilizzati negli USA dove viene consumato sia a colazione che per arricchire panini o condire alcuni piatti.

Già da molti anni egli USA al burro di arachidi viene dedicato il giorno nazionale che cade il 24 gennaio in cui si celebra questo alimento che gli statunitensi consumano in ragione di oltre 2.7 kg all’anno pro capite.

L’uso delle arachidi risale agli Aztechi e agli Incas che probabilmente utilizzavano le arachidi tostate e tritate insieme ad altre specie.

Fu solo nel 1884 che il chimico canadese Marcellus Gilmore Edson ottenne il brevetto della pasta di arachidi che, una volta raffreddata, si presenta dalla consistenza burrosa.

Il burro di arachidi venne utilizzato dalle truppe americane durante la Prima e la Seconda Guerra mondiale per il suo alto potere nutrizionale.

Negli anni ’80 e ’90 la vendita di burro di arachidi è diminuita in quanto si è ritenuto che esso fosse un alimento poco salutare ma, a seguito della recessione che si è verificata alla fine degli anni ’90 le vendite sono nuovamente aumentate: il burro di arachidi, infatti, è economico e nutriente e costituisce un alimento perfetto nei momenti difficili in quanto 100 g di prodotto apportano 588 kcal.

Il burro di arachidi contiene circa il 20% di carboidrati tra saccarosio, amidi e fibre mentre il 50% è costituito da grassi di vario genere.

Sono infatti presenti grassi saturi ed in particolare l’acido palmitico, grassi monoinsaturi come l’acido oleico, e grassi polinsaturi come l’acido linoleico.

Vi sono inoltre le proteine che contribuiscono per il 25% tra cui arginina e istidina.

Sono inoltre presenti vitamine del gruppo B: B1,B2, B3, B5, B6 e B9 e vitamina E,  numerosi minerali quali calcio, ferro, magnesio, manganese, fosforo, potassio, sodio e zinco e fitosteroli.

Il burro di arachidi, come ogni alimento contenente grassi, va mangiato senza tuttavia eccedere ma bisogna tener presente che le arachidi da cui esso deriva costituiscono uno degli allergeni più comuni che, in alcuni casi può avere gravi conseguenze in taluni casi fatali.

Acido oleico

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L’acido cis-9-ottadecenoico noto come acido oleico è un acido carbossilico insaturo della serie omega-9 che si trova in natura in grassi e oli sia animali che vegetali.

Esso ha formula CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOH e costituisce l’acido grasso maggiormente presente nell’olio di oliva e, a causa della parte idrofoba presente nella molecola, è insolubile in acqua.

Al contrario di molti acidi grassi essenziali l’acido oleico può essere ottenuto dall’organismo a partire dall’acido stearico che è un acido grasso saturo con lo stesso numero di atomi di carbonio dell’acido oleico e che differisce da esso per la mancanza del doppio legame ed ha pertanto formula CH3(CH2)16COOH.

L’acido oleico viene infatti ottenuto nel reticolo endoplasmatico in due stadi:

  • Allungamento dell’acido palmitico CH3(CH2)14COOH ad acido stearico ad opera dell’acetilCoA
  • Desaturazione dell’acido stearico ad opera dell’NADH ad acido oleico. La reazione è catalizzata dall’enzima steroilCoA(Δ-9)desaturasi

Il metabolismo dell’acido oleico, comune a quella degli acidi grassi avviene in tre stadi:

  • β-ossidazione in cui l’acido oleico va incontro a un distacco progressivo di unità bicarboniose sotto forma di acetilCoA
  • l’unità acetilica viene ossidata a CO2 nel ciclo di Krebs
  • i coenzimi ridotti NADH e FADH2 donano i loro elettroni alla catena respiratoria dei mitocondri e gli elettroni giungono all’ossigeno con concomitante fosforilazione di ATP in ADP

Pertanto l’energia rilasciata dalla reazione di ossidazione dell’acido oleico viene conservata sotto forma di ATP.

L’acido oleico presenta sia il doppio legame tipico degli alcheni che il gruppo carbossilico tipico degli acidi carbossilici.

Come gli alcheni può dare reazioni di addizione al doppio legame e, nel caso di idrogenazione porta all’acido stearico:

CH3(CH2)7CH=CH(CH2)7COOH + H2 → CH3(CH2)16COOH

In presenza di ossigeno il doppio legame può dar luogo all’irrancidimento ossidativo attraverso un processo che avviene per via radicalica.

La riduzione del gruppo carbossilico porta alla formazione dell’alcol oleico CH3(CH2)7-CH=CH-(CH2)8OH che fa parte degli alcoli grassi.

L’acido oleico viene utilizzato nella produzione di tensioattivi, saponi, plastificanti e, come agente emulsionante in alimenti, prodotti farmaceutici e cosmetici.

L’acido oleico è noto per i suoi effetti benefici a carico del sistema cardiovascolare: in particolare parrebbe avere sortire effetti antiossidanti, di ridurre i valori della pressione arteriosa ed essere in grado, rimpiazzando i grassi saturi, di abbassare il livello di colesterolo totale nel sangue con conseguente riduzione del colesterolo LDL noto come colesterolo “cattivo” e di innalzare il colesterolo HDL noto come colesterolo “buono”.

Questi dati confermano i benefici della Dieta Mediterranea che privilegia l’uso dell’olio di oliva.

Fenantrolina

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L’1,10-fenantrolina nota anche come o-fenantrolina indicata spesso come phen è un composto eterociclico aromatico in cui sono presenti tre anelli condensati di cui due contenenti azoto
struttura
Essa ha formula C12H8N2 e si presenta sotto forma di cristalli bianchi scarsamente solubili in acqua e benzene ma solubili in acetone, metanolo e acidi minerali diluiti.
La fenantrolina ha proprietà strutturali e chimiche specifiche come rigidità, struttura planare, aromaticità e possibilità di formare complessi pertanto costituisce una specie versatile utilizzabile in molti campi della chimica analitica, organica, inorganica, come catalizzatore e come specie in grado di trasferire elettroni.
La fenantrolina può essere sintetizzata a partire dalla 1,2-fenilendiammina, glicerolo e nitrobenzene in presenza di acido solforico.
La fenantrolina reagisce con alcuni ioni metallici per formare complessi colorati agendo da legante con ferro, rame, nichel e cobalto e complessi incolori con cadmio e zinco.

La formazione di complessi colorati consente applicazioni in campo analitico in quanto costituisce un metodo efficace per la determinazione di ioni metallici.
Ad esempio lo ione Fe2+ forma con la fenantrolina un complesso di colore rosso intenso noto come ferroina secondo la reazione:
Fe2+ + 3 C12H8N2 ⇌ [(C12H8N2)3Fe]2+
Il coefficiente di estinzione molare ε del complesso è di 11,100 L/mol∙cm al massimo di assorbanza corrispondente a λ = 508 nm.

L’elevato valore del coefficiente di estinzione molare indica che il complesso assorbe in modo intenso ed inoltre l’intensità del colore è indipendente dal pH in un intervallo che va da 2 a 9. Stante la stabilità del complesso l’intensità del colore non varia apprezzabilmente nel tempo.

Pertanto la fenantrolina risulta di grande utilità nella determinazione spettrofotometrica del ferro (II).
La ferroina è utilizzata come indicatore nelle titolazioni ossidimetriche ed in particolare nella cerimetria in quanto può essere ossidata a [(C12H8N2)3Fe]3+ di colore blu.
La ferroina è nota in quanto utilizzata nella reazione oscillante di Belousov-Zhabotinsky.
Per la sua capacità di formare complessi, la fenantrolina e i suoi derivati, vengono utilizzati come leganti nella catalisi o come agenti stabilizzanti nella sintesi di nanoparticelle.

La fenantrolina è utilizzata quale legante in molti complessi che hanno un ruolo importante in applicazioni nel campo tecnologico come nei diodi organici a emissione di luce (OLED), materiali elettroluminescenti, semiconduttori organici e medico per la sua capacità di legarsi o interagire con il DNA.

Carbonio anomerico

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Le aldeidi hanno formula generale RCHO se ono caratterizzate dalla presenza di un gruppo funzionale caratteristico detto carbonilico >C=O in cui il carbonio è ibridato sp2.

Tra le reazioni dei composti in cui è presente il gruppo carbonilico vi è quella tra aldeidi e alcoli che porta alla formazione di emiacetali e successivamente di acetalicaratterizzati dalla presenza di due gruppo –OR legati allo stesso carbonio

emiacetali

I monosaccaridi come il glucosio che contengono un gruppo aldeidico e quindi sono degli aldosi possono presentarsi a catena aperta con uno scheletro lineare che viene rappresentato dalla proiezione di Fischer.

Essi, tuttavia, si presentano, in prevalenza sotto forma ciclica e, nel caso del glucosio, la chiusura ad anello, rappresentata dalla formula di Haworth, avviene grazie alla presenza del gruppo –OH presente sul carbonio 5 e il gruppo aldeidico presente sul primo carbonio che subisce l’attacco nucleofilo dell’ossidrile.

Nella forma ciclica il carbonio, detto anomerico, è il carbonio che, nella forma a catena aperta è il carbonio numero uno ovvero il carbonio aldeidico.

La ciclizzazione porta alla formazione di due diastereoisomeri che differiscono per la posizione del gruppo –OH che può trovarsi in posizione assiale o in posizione equatoriale.

carbonio anomerico

Per individuare nella forma ciclica il carbonio anomerico si deve quindi individuare l’ossigeno che fa parte dell’anello. Si devono quindi considerare i due atomi di carbonio a cui esso è legato: uno di essi è legato a un gruppo –CH2OH mentre l’altro è il carbonio anomerico.

Il carbonio anomerico è di particolare importanza perché quando il gruppo emiacetalico  -OH legato al carbonio anomerico si lega con il gruppo alcolico di un’altra molecola si forma il legame glicosidico

legame glicosidico

Poiché il gruppo –OH può appartenere a un altro monosaccaride si ottiene un disaccaride costituito da due monosaccaridi legati tra loro da un legame glicosidico.

Ad esempio il saccarosio C12H22O11 è costituito da una molecola di α-D-glucosio e da una molecola di β-D-fruttosio unite tra loro da un legame glicosidico fra il carbonio 1 anomerico del glucosio e il carbonio 2 anomerico del fruttosio: tale legame viene infatti detto 1,2-glicosidico

Reazioni degli alcoli grassi

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Gli alcoli grassi sono alcoli primari ad elevato peso molecolare e possono essere lineari o ramificati, saturi e insaturi, di origine naturale o sintetica.

L’importanza industriale degli alcoli grassi è dovuta al numero elevato di reazioni che può dare il gruppo –OH ed inoltre i prodotti di reazione possono a loro volta costituire degli intermedi di importanza industriale come, ad esempio, esteri, aldeidi e ammine.

Una reazione particolarmente importante è l’etossilazione degli alcoli grassi con ossido di etilene che dà, come prodotto, eteri poliglicolici di un alcol grasso che vengono utilizzati nell’industria dei detersivi:

RCH2OH + n C2H4O → RCH2(-O-CH2-CH2-)nOH

In condizioni normali gli alcoli grassi sono resistenti all’ossidazione e possono essere trasformati in aldeidi o in acidi carbossilici utilizzando ossidanti energici e per reazione con l’ossigeno in presenza di catalizzatore.

Questa reazione è importante per la sintesi di aldeidi con un numero di atomi di carbonio che va da 6 a 10 in genere non ottenibili da fonti naturali.

Le reazioni degli alcoli grassi insaturi sono moltissime in quanto nella molecola sono presenti due gruppi funzionali ovvero il doppio legame e il gruppo alcolico. Pertanto vengono riportate alcune delle reazioni degli alcoli grassi saturi, fermo restando che, se esse non coinvolgono il doppio legame, sono valide anche per gli alcoli grassi insaturi.

Reazioni:

alcol grasso + solfuro → tiolo

alcol grasso + acido alogenidrico → alogenuro alchilico

alcol grasso + acido carbossilico → estere

alcol grasso + aldeidi o chetoni → acetale

alcol grasso + H2SO4etere


Perossidazione lipidica

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La perossidazione lipidica può essere descritta come un processo in cui agenti ossidanti come specie reattive all’ossigeno (ROS) e  radicali liberi attaccano i lipidi contenenti doppi legami ed in particolare gli acidi grassi polinsaturi.

L’aumento della produzione di radicali liberi può verificarsi negli stati infiammatori, nel metabolismo di ormoni, farmaci e tossine e nel caso di esposizione a radiazioni ionizzanti che possono sopraffare gli antiossidanti protettivi endogeni arrecando notevoli danni alla struttura e alla funzionalità della membrana cellulare.

Le specie reattive all’ossigeno più diffuse che possono dar luogo alla perossidazione lipidica nota anche come degradazione ossidativa sono il radicale idroperossido HO2∙ e il radicale idrossile HO∙ che il più reattivo, di piccole dimensioni, mobile, idrosolubile e attacca le biomolecole situate a pochi nanometri dal suo sito di generazione.

Il radicale idrossile si forma in quanto, nella catena di trasporto mitocondriale, alcuni trasportatori cedono elettroni direttamente a O2 anziché al trasportatore successivo formando il radicale superossido O2 il quale mediante una reazione di disproporzione è convertito a perossido di idrogeno H2O2 che reagendo con lo ione Fe2+ dà origine al radicale idrossile.

Oltre allo ione ferro possono essere responsabili della formazione del radicale idrossile anche ioni di metalli di transizione come rame, nichel, cobalto e vanadio.

Il radicale idroperossido a sua volta svolge un ruolo importante nella chimica della perossidazione lipidica in quanto dà luogo all’ossidazione a catena dei fosfolipidi polinsaturi, portando così a compromissione della funzione della membrana.

Il processo complessivo della perossidazione lipidica prevede tre stadi come in tutte le reazioni radicaliche: iniziazione, propagazione e terminazione.

Durante l’iniziazione il radicale promuove la formazione di un radicale sul carbonio dopo scissione omolitica e allontanamento di un idrogeno allilico.

RH → R∙ + H∙

Nella fase di propagazione il radicale formato reagisce velocemente con O2 con formazione del radicale idroperossi molto instabile:

R∙ + O2 → ROO∙

Seguita dalla formazione dell’idroperossido e nuovamente dal radicale R∙ molto reattivo:

ROO∙ + RH → ROOH + R∙

Due idroperossidi reagendo tra loro formano acqua, radicali perossi ROO∙ e radicali alcossi RO∙

2 ROOH → ROO∙ + RO∙ + H2O

Sia il radicale alcossi che il radicale idroperossi formatisi dalla decomposizione dell’idroperossido reagiscono con l’acido grasso:

RO∙ + RH → ROH + R∙

ROO∙ + RH → ROOH + R∙

La reazione di propagazione ha luogo fin quando si ottengono i prodotti di terminazione costituiti da un’ampia gamma di prodotti di ossidazione.

I principali prodotti della perossidazione lipidica sono gli idroperossidi lipidici ROOH mentre tra i prodotti secondari vi sono numerose aldeidi ed in particolare, propanale, esanale, malondialdeide CH2(CHO)2 (MDA) e il 4-idrossinonenale CH3(CH2)4CHOHCH=CHCHO (4-HNE); tra questi il 4-HNE è il più tossico mentre l’MDA è il più mutagenico.

La perossidazione lipidica causa l’invecchiamento precoce delle cellule e l’insorgere di varie patologie tra cui alcune particolarmente gravi come il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer e il cancro.

 

Formazione di enolati

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Gli enolati sono ioni ottenuti in condizioni basiche da un composto in cui è presente un idrogeno in α al gruppo carbonilico.

formazione

Lo ione OHestrae l’idrogeno in α al gruppo carbonilico con conseguente formazione di un doppio legame carbonio-carbonio e di una carica negativa sull’ossigeno.

L’enolato formatosi è, tuttavia, stabilizzato per risonanza con la forma in cui la carica negativa è localizzata sul carbonio che è meno stabile e pertanto più reattiva.

Lo ione enolato può reagire con gli elettrofili per dare una reazione di α-sostituzione

reazioni

Gli enolati possono essere ottenuti da composti contenenti il gruppo carbonilico come chetoni, esteri, acidi carbossilici e ammidi utilizzando una base forte che, tuttavia, non deve reagire con l’elettrofilo più rapidamente rispetto all’enolato.

Gli enolati delle aldeidi non possono essere facilmente preparati in quanto la loro condensazione è molto rapida. Gli enolati degli alogenuri acilici e delle anidridi sono instabili in quanto formano cheteni.

La base forte utilizzata il litio diisopropilammide noto come LDA avente formula [(CH3)2CH]2NLi che, stante la sua struttura, dotata di ingombro sterico intorno all’atomo di azoto, è un debole nucleofilo e pertanto viene adoperato per evitare reazioni indesiderate.

Quando il composto contenente il gruppo carbonilico è asimmetrico come, ad esempio, l’etilmetilchetone potrebbero essere deprotonati, rispettivamente, sia il gruppo –CH2 che il gruppo –CH3 ottenendosi una miscela di prodotti.

Mentre con basi forti come lo ione ossidrile OH e lo ione alcossido RO non si verifica una selettività nella deprotonazione, con l’LDA viene deprotonato il carbonio meno sostituito e nella fattispecie il gruppo –CH3.

Questo tipo di reazione è infatti regolato da un fattore cinetico e da un fattore termodinamico.

Quando il 2-metilcicloesanone viene trattato in ambiente basico si può ottenere il prodotto A che è il prodotto cinetico in quanto l’allontanamento del protone meno impedito avviene in modo più rapido mentre il prodotto B è quello termodinamico che ha una maggiore stabilità in quanto l’enolato formatosi presenta un doppio legame più sostituito

prodotto-a-e-b

Nel caso della reazione del 2-metilcicloesanone con una base si possono quindi ottenere sia il prodotto A che il prodotto B. 

Il prodotto A costituisce quello ottenuto secondo il controllo cinetico in quanto la base estrae più rapidamente l’idrogeno meno impedito mentre il prodotto B è quello ottenuto secondo il controllo termodinamico che è il più stabile.

L’utilizzo del litio diisopropilammide porta alla formazione del 99% di prodotto A e dell’1% di prodotto B in quanto, essendo una base forte ed impedita stericamente, riesce ad allontanare con più facilità l’idrogeno meno impedito.

 

Reazioni delle ammidi

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Le ammidi sono composti organici che presentano un atomo di azoto legato a un carbonio carbonilico; a seconda se all’azoto sono legati due idrogeni, un idrogeno e un gruppo –R o due gruppi R anche diversi tra loro le ammidi vengono classificate come primarie, secondarie e terziarie.

primarie, secondarie e terziari

Rispetto alle ammine le ammidi sono basi molto più deboli a causa dell’effetto elettronattrattore del gruppo carbonilico che rende il doppietto elettronico dell’azoto scarsamente disponibile. Le ammidi, infatti possono essere rappresentate da due strutture limite di risonanza

risonanza

in una delle quali il doppietto elettronico forma un doppio legame con il carbonio.

Sebbene siano meno reattive degli esteri le ammidi danno luogo a reazioni in ambiente sia acido che basico. Il meccanismo generale di reazione delle ammidi, analogamente a quanto avviene per gli acidi carbossilici, gli alogenuri acilici, gli esteri e le anidridi, prevede l’attacco di un nucleofilo al carbonio carbonilico con formazione di un intermedio tetreadrico in cui all’ossigeno compete una carica negativa

intermedio tetraedrico

Nel secondo stadio della reazione si ripristina il doppio legame carbonio-ossigeno con conseguente fuoriuscita del gruppo contenente l’azoto

secondo stadio

Reazioni

  • Disidratazione delle ammidi

Le ammidi primarie possono subire una reazione di disidratazione trasformandosi in nitrili ad opera di agenti disidratanti quali anidride fosforica P2O5 o cloruro di tionile SOCl2

Nel primo stadio della reazione l’ossigeno attacca il fosforo; un doppio legame fosforo-ossigeno si rompe e l’ossigeno diventa carico negativamente e il doppietto elettronico solitario forma un doppio legame con il carbonio. Nel secondo stadio avviene il transfer di un protone dall’azoto all’ossigeno e nel terzo stadio il doppietto elettronico solitario forma un terzo legame con il carbonio con conseguente rottura del legame carbonio-ossigeno e formazione di una carica negativa sull’ossigeno legato al fosforo. Nel quarto e ultimo stadio l’ossigeno deprotona l’azoto con formazione del nitrile

nitrili

  • Riarrangiamento o degradazione di Hofmann

Le ammidi primarie vengono trasformate in ammine primarie con un atomo di carbonio in meno per reazione, a caldo, con un alogeno in ambiente basico.

Il primo stadio della reazione prevede la deprotonazione dell’ammide da parte dello ione OH con formazione di un anione in cui l’azoto ha la carica negativa; quest’ultimo attacca l’alogeno con formazione di una N-aloammide. La seconda deprotonazione della base porta alla formazione di un anione che si riarrangia a isocianato e di un alogenuro. Il carbonio carbonilico viene attaccato dall’acqua con formazione di acido carbammico che perde spontaneamente CO2 trasformandosi in un’ammina

riarrangiamento di hofmann

  • Riduzione

La riduzione delle ammidi in presenza di litio alluminio idruro porta alla formazione di ammine primarie, secondarie e terziarie a seconda che il prodotto di partenza è un’ammide primaria, secondaria o terziaria.

Nel primo stadio della reazione che avviene in dietiletere o in tetraidrofurano l’alluminio, carico negativamente, attacca il carbonio carbonilico con rottura del doppio legame carbonio-ossigeno e localizzazione della carica negativa sull’ossigeno che attacca a sua volta l’alluminio. L’azoto presente nell’intermedio, tramite il suo doppietto elettronico solitario forma un doppio legame con il carbonio con conseguente espulsione del litio alluminio idruro. Nell’ultimo stadio avviene la rottura del doppio legame azoto-carbonio e protonazione del carbonio

riduzione

Reazioni degli acidi con i metalli

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Gli acidi reagiscono con molti metalli dando luogo alla formazione di un sale e di idrogeno gassoso in una reazione di scambio semplice.

Per sapere quali metalli reagiscono con un acido bisogna fare riferimento alla scala di attività dei metalli ovvero ai potenziali di ossidazione dei metalli riportati in tabella:

tabella attività dei metalli

Tutti i metalli che si trovano al di sopra dell’idrogeno sono quindi in grado di reagire con un acido come l’acido cloridrico e l’acido solforico.

Un esempio di reazione tra un metallo e un acido è quella tra lo zinco e l’acido cloridrico:

Zn(s) + 2 HCl(aq)→ ZnCl2(aq) + H2(g)

Questa reazione è una reazione redox in cui lo zinco si ossida passando da numero di ossidazione 0 a +2 mentre l’idrogeno si riduce passando da numero di ossidazione -1 a 0 mentre il cloro che mantiene il numero di ossidazione -1 è uno ione spettatore.

Pertanto la reazione netta è:

Zn(s) + 2 H+(aq) → Zn2+(aq)+ H2(g)

Un altro esempio è costituito dalla reazione tra ferro e acido solforico:

Fe(s) + H2SO4(aq) → FeSO4(aq) + H2(g)

che, scritta in forma netta, diviene:

Fe(s) + 2 H+(aq) → Fe2+(aq)+ H2(g)

I metalli meno reattivi come il rame non reagiscono con gli acidi come HCl e H2SO4.

Per ossidare il rame è necessario un acido che abbia anche la caratteristica di essere ossidante come l’acido nitrico che reagisce con il rame dando due diversi prodotti a seconda della sua concentrazione:

Cu(s) + 4 HNO3(aq) → Cu(NO3)2(aq) +  2 NO2(g) + 2 H2O(l)

3 Cu(s) + 8 HNO3(aq) → 3 Cu(NO3)2(aq) +  2 NO(g) + 4 H2O(l)

Per ossidare l’oro, ancor meno reattivo del rame, bisogna utilizzare l’acqua regia, miscela costituita da acido nitrico concentrato e acido cloridrico concentrato in rapporto tra volumi di 1:3.

La dissoluzione dell’oro in acqua regia è dovuta alla reazione:

Au(s) + HNO3(aq) + 3 HCl(aq) → HAuCl4(aq) + NO(g) + 2 H2O(l)

a seguito della quale si ottiene l’acido cloroaurico

Analoga reazione avviene tra il platino e l’acqua regia per dare l’acido cloroplatinico secondo la reazione complessiva:

Pt(s) + 4 HNO3(aq) + 6 HCl(aq) → H2PtCl6(aq) + 4 NO2(g) + 4 H2O(l)

 

Cloruro di nitrosile

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Il cloruro di nitrosile è un composto inorganico gassoso di colore giallo, dall’odore soffocante e altamente tossico avente formula NOCl.

Sintesi

Il cloruro di nitrosile può essere ottenuto da numerose reazioni. Tra i vari metodi si ricorda quello di maggior importanza storica: esso, infatti, fu sintetizzato per la prima volta da Gay-Lussac facendo reagire monossido di azoto e cloro secondo la reazione:

2 NO + Cl2 → 2 NOCl

Michel Faraday ottenne il cloruro di nitrosile facendo reagire il palladio con l’acqua regia:

Pd + HNO3 + 3 HCl → PdCl2 + NOCl + 2 H2O

Può essere ottenuto dalla reazione tra acido nitrico e acido cloridrico concentrati in rapporto tra i volumi di 1:3 come avviene quando si prepara l’acqua regia:

HNO3(aq) + 3 HCl(aq) → NOCl(g) + Cl2(g) + 2 H2O(l)

Un altro metodo di sintesi del cloruro di nitrosile è dato dalla reazione tra cloruro di idrogeno e triossido di azoto:

2 HCl + N2O3 → 2 NOCl + H2O

Il cloruro di nitrosile può essere ottenuto dalla distillazione del nitrito di potassio con pentacloruro di fosforo:

KNO2 + PCl5 → NOCl + KCl + POCl3

o dalla reazione tra cloruro di ferro (III) con monossido di azoto:

FeCl3 + NO → NOCl + FeCl2

o dalla reazione tra una nitrosammina con cloruro di idrogeno:

R2N-N=O + HCl → R2NH + NOCl

Reazioni

Il cloruro di nitrosile è piuttosto stabile e dà luogo a una decomposizione termica secondo la reazione 2 NOCl → 2 NO + Cl2 alla temperatura di 700°C.

Il cloruro di nitrosile reagisce rapidamente con l’acqua secondo la reazione:

3 NOCl + 2 H2O → HNO3 + 2 NO + 3 HCl

Il cloruro di nitrosile reagisce con gli ossidi basici o con gli idrossidi per dare i corrispondenti nitriti e cloruri:

2 KOH + NOCl → KNO2 + KCl + H2O

Il cloruro di nitrosile detto anche reattivo di Tilden viene utilizzato nelle sintesi organiche il quanto il gruppo NO+ agisce da elettrofilo.

Esso infatti reagisce con gli alcheni seguendo la regola di Markovnikov con addizione del gruppo NO+ al carbonio meno sostituito; nella sua formulazione più generale la regola di Markovnikov prevede infatti che in una addizione elettrofila ad un alchene l’agente che conduce l’attacco elettrofilo si lega al carbonio meno sostituito. Dalla reazione tra il cloruro di nitrosile e un alchene si ottiene un α-clorochetone

reazione con alcheni

Il cloruro di nitrosile reagisce con le ammine per dare un alogenuro alchilico:
RNH2 + NOCl → RCl + N2 + H2O

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