Quantcast
Channel: Chimica – Chimicamo
Viewing all 1537 articles
Browse latest View live

Acido tricloroacetico

$
0
0

L’acido tricloroacetico è un acido carbossilico che presenta tre atomi di cloro in α al gruppo carbossile ed ha formula Cl3CCOOH.

Si presenta come un solido igroscopico dall’odore pungente solubile in acqua e in molti solventi organici.

Contrariamente agli altri acidi carbossilici che sono considerati acidi deboli, l’acido tricloroacetico è un acido forte (Ka= 2.2 ∙ 10-2) a causa della presenza di tre atomi di cloro che hanno una elettronegatività maggiore rispetto all’idrogeno.

La presenza di sostituenti più elettronegativi dell’idrogeno aumenta l’acidità per effetto induttivo stabilizzando la carica negativa dell’anione carbossilato.

Le soluzioni acquose di acido tricloroacetico si decompongono a caldo in biossido di carbonio e cloroformio secondo la reazione

Cl3CCOOH → CO2 + CHCl3

La decomposizione è particolarmente rapida in presenza di basi sia organiche che inorganiche.

L’acido tricloroacetico viene ottenuto su scala industriale per clorurazione dell’acido acetico o dell’acido cloroacetico alla temperatura di 140-160 °C aggiungendo ipoclorito di calcio Ca(ClO)2 quale acceleratore della clorurazione:

CH3COOH +3 Cl2 → Cl3CCOOH + 3 HCl

All’inizio del 1900 l’acido tricloroacetico veniva usato per ottenere il sale di sodio che veniva usato quale erbicida. Attualmente viene utilizzato, oltre che per le sintesi organiche, anche come agente chimico decapante nel trattamento superficiale dei metalli, come ausiliario nella finitura tessile e come solvente nell’industria delle materie plastiche.

L’acido tricloroacetico viene impiegato in laboratorio in quanto è in grado di provocare la precipitazione delle proteine permettendo la loro separazione dal solvente.

L’acido tricloroacetico in soluzione o in gel viene utilizzato per eliminare calli, cicatrici, porri, macchie e verruche.

Sotto controllo di un dermatologo l’acido tricloroacetico, a diverse concentrazione, viene adoperato per effettuare peeling grazie alla sua azione esfoliante e per eliminare le cicatrici provocate dall’acne.


Soluzioni elettrolitiche

$
0
0

Le soluzioni elettrolitiche sono quelle soluzioni in grado di condurre corrente elettrica grazie alla presenza di elettroliti ovvero di acidi, basi e sali che in soluzione acquosa di dissociano totalmente o parzialmente in ioni positivi e negativi.

Le soluzioni elettrolitiche furono studiate dal fisico e chimico britannico Michael Faraday che comprese, a seguito dei suoi esperimenti, che una soluzione è in grado di condurre corrente elettrica sotto l’influenza di un campo elettrico esterno se in essa sono contenute particelle cariche.

A tali particelle Faraday diede il nome di ioni, dal greco ἰέναι che significa andare con allusione al fatto che gli ioni si muovono da una parte all’altra.

Egli scoprì inoltre che ogni tipo di ione trasporta una carica definita in un intervallo di numeri interi che vanno comunemente da -1 a +3.

Un solido ionico come NaCl è costituito da particelle cariche che non sono libere di muoversi all’interno del reticolo cristallino ed è quindi in grado di condurre corrente elettrica solo se si trova allo stato fuso o in soluzione acquosa.

Poiché gli ioni carichi positivamente sono attratti dall’elettrodo negativo noto come catodo sono detti cationi e, analogamente, gli ioni carichi negativamente sono attratti dall’elettrodo positivo noto come anodo vengono quindi detti anioni.

Il solvente abitualmente usato per la dissoluzione degli elettroliti è l’acqua che gioca un ruolo fondamentale nel ridurre drasticamente le forze attrattive tra gli ioni presenti in un solido ionico o tra gli atomi presenti in molecole covalenti polari.

L’acqua, infatti, è una molecola covalente polare che si comporta come un dipolo elettrico che, a contatto con un composto ionico, lo circonda orientando il polo positivo costituito dall’idrogeno verso gli ioni negativi e il polo negativo costituito dall’ossigeno verso gli ioni positivi. Si stabilisce così un’attrazione tra gli ioni che costituiscono il cristallo e le molecole del solvente con conseguente diminuzione dell’attrazione elettrostatica presente tra gli ioni con distruzione del reticolo cristallino.

Se la sostanza è un elettrolita molecolare che non contiene ioni, come ad esempio HCl, a contatto con l’acqua dà luogo a una vera e propria reazione:

HCl + H2O → H3O+ + Cl

Tale tipo di reazione è detta di ionizzazione in quanto porta alla formazione di ioni.

In entrambi i casi quando in acqua sono presenti ioni questi interagiscono con un certo numero di molecole di acqua che si dispongono attorno allo ione secondo una precisa geometria dando uno ione idrato detto anche acquoione.

Sebbene l’acqua sia il solvente maggiormente usato per formare soluzioni elettrolitiche possono essere utilizzati altri solventi dotati di elevato momento dipolare e alta conduttanza specifica.

Idrossido di stagno (II)

$
0
0

L’idrossido di stagno (II) noto anche come idrossido stannoso è un solido di colore bianco scarsamente solubile in acqua.

Il prodotto di solubilità dell’idrossido di stagno (II) è infatti pari a 5.45 ∙ 10-27 che ha quindi una solubilità di 1.69 ∙ 10-7 g/L.

L’idrossido di stagno (II) può essere ottenuto per reazione di un sale solubile di stagno (II) come SnCl2 in presenza di idrossido di ammonio secondo la reazione:

SnCl2(aq) + 2 NH4OH(aq) → Sn(OH)2(s) + 2 NH4Cl(aq)

L’ambiente basico necessario per la precipitazione dello stagno (II) come idrossido viene conferito dall’idrossido di ammonio che è una base debole.

L’aggiunta di NaOH invece dell’idrossido di ammonio infatti porterebbe sicuramente a un valore di pHtroppo elevato che ridiscioglierebbe quantomeno parte dell’idrossido di stagno.

Quest’ultimo, infatti, come molti idrossidi, è anfotero e, in eccesso di ione OH- dà luogo alla formazione del complesso tetraidrossostannato (II) secondo la reazione:

Sn(OH)2(s) + 2 OH(aq) → [Sn(OH)4]2-(aq)

Ad una temperatura compresa tra 60 e 120°C l’idrossido di stagno (II) si decompone, a pressione atmosferica, in ossido di stagno (II):

Sn(OH)2 → SnO + H2O

L’idrossido di stagno (II) reagisce con HCl per dare cloruro di stagno (II):

Sn(OH)2 + 2 HCl → SnCl2 + 2 H2O

Un test specifico per l’analisi qualitativa dello stagno (II) prevede infatti prima la sua conversione in cloruro seguita dall’aggiunta di cloruro di mercurio (II) secondo la reazione:

SnCl2 + 2 HgCl2 → Hg2Cl2 + SnCl4

con formazione di cloruro di mercurio (I) che dà luogo a un precipitato bianco.

In eccesso di cloruro di stagno (II) il cloruro di mercurio reagisce con esso secondo una reazione di ossidoriduzione in cui il mercurio (I) viene ridotto a mercurio metallico di colore grigio e lo stagno (II) viene ossidato a stagno (IV):

Hg2Cl2 + SnCl2 → 2 Hg + SnCl4

Carne alla brace e chimica

$
0
0

La fragranza, l’aroma, il colore e il sapore della carne cotta alla brace rendono unico questo alimento apprezzato in ogni parte del mondo.

Ciò che rende la carne cotta alla brace un cibo unico sono le reazioni chimiche che avvengono durante la fase di cottura.

Dalla pirolisi della lignina si ottiene il siringolo ovvero il 2,3-dimetossi-2-idrossibenzene

siringolo

che è il maggior responsabile del tipico aroma di affumicato.

L’altro componente derivante dalla pirolisi è il guaiacolo ovvero il 2-metossifenolo

guaiacolo

che contribuisce al gusto.

Il colore caratteristico che assume la carne durante la cottura è dovuto alla reazione di Maillard che coinvolge una serie complessa di reazioni tra amminoacidi con un gruppo amminico libero e zuccheri riducenti ad elevata temperatura.

La carne è costituita, tra l’altro di tessuti connettivi che contengono collagene che viene convertito in gelatina quando viene riscaldato a una temperatura di 85-90°C e conseguentemente la carne diventa più tenera.

La colorazione rosa della carne sotto lo strato superficiale, detta anello di fumo, è prodotta da una reazione tra la mioglobina, pigmento presente nella carne e i gas prodotti dalla combustione del carbone costituiti da biossido di azoto.

Durante la cottura questo gas penetra nella carne, reagisce con l’acqua in essa contenuta per dare ossidi di azoto ed in particolare ossido nitrico.

Quest’ultimo si combina con la mioglobina della carne per formare l’emocromogeno di nitrosile che è lo stesso pigmento che si trova nei salumi e che è quindi responsabile del colore che assume la carne cotta alla brace rispetto a quella cotta nel forno.

Nel 2002 ebbe molto scalpore la notizia secondo la quale questo tipo di cottura portasse alla formazione di sostanze cancerogene come l’acrilammide, altri idrocarburi poliaromatici e ammine eterocicliche.

Secondo altri studi tali sostanze non sono provocate solo da questo tipo di cottura ed inoltre la quantità che se ne assume non dovrebbe destare particolare apprensione. Come sempre accade quando sono presenti visioni diverse c’è chi sottolinea con troppa enfasi e chi sminuisce il fenomeno.

Tipo di carne, temperatura di cottura, legna di vari tipi, eventuale marinatura e tempi di cottura influenzano il risultato del barbecue ma, a dispetto degli appassionati, che negli ultimi anni si sfidano anche in Italia in varie e appassionate competizioni, dietro tutto c’è solo la trasformazione di molecole in altre ovvero la chimica.

Cloruro di mercurio (I)

$
0
0

Il cloruro di mercurio (I) detto sublimato corrosivo ha formula Hg2Cl2 essendo costituito da uno ione Hg22+ e da due ioni Cl la cui struttura è rappresentata in figura 

struttura

Fu ottenuto per la prima volta dal più grande alchimista musulmano Abū Mūsā Jābir ibn Ḥayyān al-Azdī noto con il nome di Gerber dalla sublimazione del mercurio in presenza di cloruro di sodio.

Fu solo nel 1716 che il chimico tedesco Johann Kunke trovò che il cloruro di mercurio (I) poteva essere preparato sublimando una miscela di solfato di mercurio (II) e cloruro di sodio. Qualche decade più tardi il cloruro di mercurio (I) fu utilizzato da Gerard van Swieten in un preparato per la cura della sifilide.

Il trattamento divenne popolare alla fine del XVIII secolo e gli effetti collaterali dovuti alla tossicità del composto venivano attribuiti alla malattia.

Nel 1810 uno dei più grandi chimici di tutti i tempi, il britannico Humphry Davy, determinò dapprima la struttura del cloruro di mercurio (II) e successivamente quella del cloruro di mercurio (I).

Il cloruro di mercurio (I) che si presenta come un solido bianco poco solubile in acqua avendo un prodotto di solubilità Kps= 1.3 ∙10-18 può essere preparato a partire dal mercurio metallico e cloruro di mercurio (II) secondo la reazione di comproporzione:
Hg + HgCl2 → Hg2Cl2

In presenza di ammoniaca il cloruro di mercurio (I) dà luogo a una reazione di disproporzione con formazione di mercurio metallico e di mercurio amidocloruro di colore bianco che precipita secondo la reazione:

Hg2Cl2(s)+ 2 NH3(aq)→ Hg(l) + HgNH2Cl(s) + NH4Cl(aq)

Il cloruro di mercurio (I) reagisce con il cloruro di stagno (II) per dare mercurio metallico e cloruro di stagno (IV) secondo la reazione:

Hg2Cl2 + SnCl2 → Hg + SnCl4

In campo analitico il cloruro di mercurio (I) viene usato come elettrodo detto a calomelano che si basa sulla seguente semireazione di riduzione:

Hg2Cl2(s) +2 e ⇄ 2 Hg(l) + 2 Cl(aq)

Stante la tossicità del cloruro di mercurio (I) i suoi usi in campo cosmetico per schiarire la pelle e come additivo nei dentifrici sono definitivamente tramontati.

Carbammati

$
0
0

Gli uretani o carbammati sono composti organici in cui è presente un gruppo amminico legato a un gruppo estereo e pertanto caratterizzati dal gruppo funzionale –NHCOO-.

Essi pertanto possono essere considerati come esteri dell’acido carbammico NH2COOH. Al contrario dell’acido carbammico che costituisce un intermedio di molte reazioni chimiche e che tende a decomporsi in ammoniaca e biossido di carbonio secondo la reazione:

NH2COOH → NH3 + CO2

i carbammati sono sostanze stabili.

Sintesi

I carbammati possono essere ottenuti attraverso diverse vie sintetiche tra cui l’idrolisi di una cloroformammide tramite la reazione:

R2NCOCl + H2O → R2NCOOH + HCl

Un altro metodo di sintesi sfrutta la trasposizione di Curtius a partire da un alogenuro acilico che viene fatto reagire con sodio azide per ottenere una acil azide secondo la reazione:

RCOCl + NaN3 → RCON3 + NaCl

A caldo l’acil azide perde N2 e si trasforma in nitrene:

RCON3 → RCON + N2

Il nitrene è un intermedio di reazione estremamente labile in quanto l’azoto mostra una lacuna elettronica essendo circondato solo da 6 elettroni analogamente al carbene.

Questa configurazione rende l’atomo di azoto particolarmente elettrofilo, tanto che la molecola si riarrangia, con trasposizione di un legame carbonio – carbonio a dare un nuovo legame carbonio – azoto con ottenimento dell’isocianato R-N=C=O.

La reazione dell’isocianato con un alcol R’-OH porta alla formazione di un carbammato.

Usi

Tra i carbammati di importanza industriale vi è il carbammato di ammonio che viene utilizzato nella sintesi industriale dell’urea facendo reagire ammoniaca e biossido di carbonio.

Il processo, sviluppato nel 1922, è detto anche processo Bosch-Meiser e coinvolge due reazioni di equilibrio; nella prima l’ammoniaca liquida reagisce con il ghiaccio secco per dare carbammato di ammonio:

2 NH3 + CO2 ⇄ H2NCOONH4 + calore

Nella seconda reazione di equilibrio, di tipo endotermico, si ha la decomposizione del carbammato di ammonio in urea e acqua:

 H2NCOONH4 ⇄ (NH2)2CO + H2O

Poiché il calore sviluppato dalla prima reazione è maggiore rispetto a quello assorbito nella seconda la reazione è complessivamente esotermica.

I carbammati costituiscono un eccellente gruppo protettore nelle sintesi organiche in particolare nella sintesi delle proteine per proteggere i gruppi amminici che non si vuole far reagire.

I carbammati rappresentano una classe di fitofarmaci utilizzati come erbicidi, fungicidi e insetticidi.

Negli animali i carbammati agiscono da inibitori dell’acetilcolin-esterasi, enzima fondamentale per il corretto funzionamento del sistema nervoso.

I fungicidi a base di carbammati, ed in particolare del fenilcarbammato C6H5NHCOOCH2CH3 , hanno un’azione fisiologica mirata essendo in grado di penetrare nella pianta e di uccidere il fungo parassita agendo da eradicanti.

I carbammati trovano utilizzo anche in campo medico come il meprobamato utilizzato come ansiolitico.

 

Reazioni di comproporzione. Esercizi

$
0
0

Le reazioni di comproporzione sono quelle reazioni in cui due reagenti contenenti lo stesso elemento con due diversi numeri di ossidazione danno luogo alla formazione di un prodotto in cui l’elemento compare con un terzo numero di ossidazione.

Queste reazioni costituiscono quindi l’opposto delle reazioni di disproporzione.

Il bilanciamento di tali reazioni può essere effettuato con il metodo delle semireazioni.

Esercizi

 

  • Bilanciare la reazione di comproporzione in ambiente acido del rame metallico con una soluzione di rame (II) a seguito della quale si forma rame (I):

Cu + Cu2+ → Cu+

Per bilanciare una reazione di comproporzione si procede in modo analogo a come si bilanciano le reazioni di ossidoriduzione dividendo la reazione in due semireazioni.

Cu → Cu+ + 1 e

Cu2+ + 1 e → Cu+

Essendo il numero di elettroni scambiati uguale si somma membro a membro e si semplifica:

Cu + Cu2+ → 2 Cu+

  • Bilanciare la reazione di comproporzione in ambiente basico tra lo ione permanganato in cui il manganese ha numero di ossidazione +7 e il manganese (II) in cui il manganese ha numero di ossidazione +2 con ottenimento del biossido di manganese in cui il manganese ha numero di ossidazione +4:

La reazione è:

MnO4 +  Mn2+ → MnO2

Si divide la reazione in due semireazioni:

MnO4  + 4 H+ + 3 e → MnO2 + 2 H2O

Mn2+ + 2 H2O → MnO2 + 4 H+ + 2 e

Per far sì che gli elettroni acquistati siano uguali agli elettroni persi si moltiplica la prima semireazione per 2 e la seconda per 3

(MnO4  + 4 H+ + 3 e → MnO2 + 2 H2O) 2

(Mn2+ + 2 H2O → MnO2 + 4 H+ + 2 e) 3

Si ottiene:

2 MnO4  + 8 H+ + 6 e →  2 MnO2 + 4 H2O

3 Mn2+ + 6 H2O → 3 MnO2 + 12 H+ +6 e

Si somma membro a membro e si semplifica:

2 MnO4  + 3 Mn2+ + 2 H2O → 5 MnO2 + 4 H+

Poiché la reazione avviene in ambiente basico si aggiungono 4 OH a sinistra e a destra e, tenendo presente che 4 H++ 4 OH  → 4 H2O si ha:

MnO4 + 3 Mn2+ + 4 OH → 5 MnO2 + 2 H2O

  • Bilanciare la reazione di comproporzione H2S + SO2 → S

Si divide la reazione in due semireazioni:

H2S → S + 2 H+ + 2 e

SO2 + 4 H+ + 4 e→ S + 2 H2O

Per far sì che gli elettroni acquistati siano uguali agli elettroni persi si moltiplica la prima semireazione per 2

2 H2S → 2 S + 4 H+ + 4 e

SO2 + 4 H+ + 4 e→ S + 2 H2O

Si somma membro a membro e si semplifica:

  • H2S + SO2 →3 S + 2 H2O
  • Bilanciare la reazione di comproporzione IO3 + I → I2

Si divide la reazione in due semireazioni:

2 IO3 + 12 H+ + 10 e→ I2 + 6 H2O

2 I → I2 + 2 e

Per far sì che gli elettroni acquistati siano uguali agli elettroni persi si moltiplica la seconda semireazione per 5

2 IO3 + 12 H+ + 10 e→ I2 + 6 H2O

10 I →5 I2 + 10 e

Si somma membro a membro e si semplifica:

2 IO3 + 10 I + 12 H+ → 6 I2 + 6 H2O

Dividiamo per 2 e si ha:

IO3 + 5 I + 6 H+ → 3 I2 + 3 H2O

 

Sodio azide

$
0
0

L’azoturo di sodio noto come sodio azide è un composto inorganico avente formula NaN3 costituito dallo ione Na+ e dallo ione N3 che può essere rappresentato da diverse strutture limite di risonanza tra cui

azoturo

E’ un sale bianco derivante dall’acido idrazoico HN3 incolore solubile in acqua e in ammoniaca che può essere preparato attraverso diverse vie sintetiche:

  • In ambiente basico dalla reazione tra idrazina e n-butilnitrito secondo la reazione:

CH3CH2CH2CH2ONO + N2H4 + NaOH → CH3CH2CH2CH2OH + NaN3 + 2 H2O

  • Dalla reazione tra sodioammide e monossido di biazoto secondo la reazione:

2 NaNH2 + N2O → NaN3 + NaOH + NH3

  • Dalla reazione tra idrazina idrata, etilnitrito e metossido di sodio secondo la reazione:

N2H4 ∙ H2O + CH3CH2ONO + CH3ONa → NaN3 + CH3OH + CH3CH2OH

L’azoturo di sodio viene usato in molte reazioni chimiche per la presenza dello ione N3 che è un forte nucleofilo.

Ad esempio dalla sostituzione nucleofila di un alogenuro alchilico con N3 si ottiene un azoturo alchilico RN3 da cui per successiva riduzione con agenti riducenti quali il litio alluminio idruro o per idrogenazione catalitica si ottiene un’ammina.

In presenza di acido nitroso l’azoturo di sodio si trasforma in azoto e monossido di azoto secondo la reazione:

2 NaN3 + 2 HNO3 → 3 N2 + 2 NO + 2 NaOH

L’azoturo di sodio in condizioni normali è piuttosto stabile ma se riscaldato a circa 300°C dà luogo a una reazione di decomposizione con produzione di azoto:

2 NaN3 → 2 Na + 3 N2

Poiché l’azoto non è un gas tossico tale reazione viene sfruttata per rigonfiare l’air-bag in dotazione alle automobili. Usando infatti 2 moli di sodio azide la cui massa è di 130 g si ottengono 3 moli di azoto gassoso e, considerando una pressione di 1 atm e una temperatura di 25°C, si producono circa 73 L di azoto che sono sufficienti a gonfiare il cuscino gonfiabile che si espande all’interno dell’auto.

 


Isocianati

$
0
0

Gli isocianati sono composti organici in cui è presente il gruppo funzionale –N=C=O legato a un gruppo alchilico o arilico e, a seconda del gruppo R, possono essere sia solidi che liquidi ed in genere tossici.

Vanno quindi maneggiati con le dovute norme di sicurezza in quanto sono irritanti sia per gli occhi che per le vie respiratorie e il loro contatto con la pelle può provocare irritazione.

Gli isocianati alchilici possono essere sintetizzati a partire da un alcol o da un tiolo in presenza di trifenilfosfina o per ossidazione degli isonitrili in presenza di dimetilsolfossido.

Possono essere ottenuti inoltre in una reazione a due stadi tra un’ammina e fosgene secondo la reazione:

RNH2 + COCl2 → HCl + RNHCOCl → RNCO + HCl

A causa della presenza di due doppi legami cumulati gli isocianati sono molto reattivi in particolare nei confronti dei gruppi amminici, alcolici e carbossilici che agiscono da nucleofili.

Reazioni

Gli isocianati reagiscono con:

  • Gli alcoli per dare gli uretani

uretani

  • L’acqua per dare un’ammina
  • Le ammine per dare l’urea bisostituita

urea

ammide

Gli isocianati costituiscono importanti intermedi in molte reazioni chimiche che per la loro reattività danno luogo a vari prodotti di reazione.

Un esempio è costituito dalla degradazione di Hofmann in cui le ammidi primarie vengono trasformate in ammine primarie con un atomo di carbonio in meno per reazione, a caldo, con un alogeno in ambiente basico.
Tra gli isocianati assumono particolare importanza i diisocianati che presentando due gruppi funzionali –N=C=O danno una polimerizzazione per condensazione con i polioli con formazione di poliuretani.

Tali polimeri presentano caratteristiche molto diverse a seconda del diisociananto e del poliolo usati nella loro sintesi e variano dalla morbidezza delle schiume flessibili a bassissima densità, alla resistenza alle sollecitazioni di flessione dei poliuretani espansi, o alle proprietà di isolamento termico delle schiume rigide.

Ilidi

$
0
0

Le ilidi sono una importante classe di composti in cui un atomo del Gruppo 15 o 16 della Tavola Periodica con una carica positiva è legato a un atomo di carbonio che ha una carica negativa. Le ilidi sono pertanto molecole neutre e dipolari rappresentabili secondo la formula generale:

> C – X+

Il termine ilide fu coniato nel 1944 dal chimico tedesco Georg Witting quando lavorava su questo tipo di composti con cui scoprì, un decennio più tardi, la sintesi deglialcheni a partire da aldeidi o chetoni.

In tali composti i carbanioni sono particolarmente stabili per la presenza del legame con l’atomo adiacente ed infatti sono state isolate molte ilidi allo stato cristallino.

Le ilidi danno due tipi fondamentali di reazioni: quelle in cui è coinvolto solo il carbanione e quelle in cui sono coinvolti sia carbanione che la porzione eteroatomica. Il primo gruppo di reazioni sono quelle tipiche dei carbanioni mentre il secondo gruppo in cui partecipa sia il carbanione che l’eteroatomo rivestono una maggiore importanza.

Sebbene siano note ilidi in cui è presente l’arsenico o il selenio, in quelle più vi è  fosforo, zolfo o azoto.

Queste ultime sono molto più difficili da formare in quanto l’azoto non può espandere il suo ottetto nella struttura R3N+-C– R2 analoga a quelle dello zolfo R3S+-C– R2 e del fosforo R3P+-C– R2.

Le ilidi sono sintetizzate a partire da alogenuri di fosfonio o di solfonio in presenza di una base forte come butillitio o litio idruro e in solventi come etere o dimetilsofossido
sintesi ilidi

La reazione più importante delle ilidi è la reazione di Witting da cui si ottengono gli alcheni di tipo Z e di tipo E
Le ilidi sono classificate in due tipologie a seconda della loro stabilità relativa:

a) Ilidi non stabilizzate: le ilidi con gruppi elettrondonatori sul carbonio carico negativamente sono meno stabili e reagiscono più velocemente, pertanto la reazione di Witting che avviene in presenza di un’ilide non stabilizzata viene effettuata sotto atmosfera inerte

b) Ilidi stabilizzate: le ilidi con gruppi elettronattrattori sul carbonio carico negativamente sono più stabili a causa della coniugazione

E’ stato osservato che la geometria del prodotto finale dipende dalla stabilità dell’ilide: le ilidi non stabilizzate danno (Z)- alcheni mentre quelle stabilizzate danno (E)- alcheni.

 

Stabilità dei carbanioni

$
0
0

Quando in un composto organico, si ha la scissione eterolitica del legame tra un atomo di carbonio legato ad un atomo meno elettronegativo si ha la formazione di un carbanione come nell’esempio riportato in figura:

carbanioni

I carbanioni sono pertanto specie altamente reattive che agiscono sia da nucleofili che da basi. Il carbonio che reca la carica negativa è ibridato sp3 con una struttura tetraedrica con il carbonio al centro, i tre gruppi R situati ai vertici del tetraedro essendo il quarto vertice occupato dal doppietto elettronico.

La stabilità dei carbanioni è influenzata dall’effetto induttivo, dalla risonanza e dal carattere s degli orbitali.

I gruppi che hanno un effetto induttivo +I diminuiscono la stabilità del carbanione quindi indicando con R un gruppo alchilico i carbanioni hanno il seguente ordine di stabilità relativa:

R3C < R2CH < RCH2 < H3C

L’effetto induttivo +I dei gruppi alchilici è dovuto al fatto che nel legame C-H l’idrogeno ha una parziale carica positiva e il carbonio una parziale carica negativa stante la differenza di elettronegatività tra carbonio e idrogeno.

Pertanto ogni atomo di idrogeno agisce come donatore di elettroni. In un gruppo CH3– vi è una donazione cumulativa e quindi tale gruppo agisce da donatore di elettroni; se tale gruppo è legato a un carbanione che già di per sé ha una carica negativa agisce da destabilizzante.

Quanto maggiore è il numero di gruppi alchilici legati al carbocatione tanto più su di esso grava un’intensità di carica negativa e quindi esso sarà meno stabile e più reattivo.

Al contrario elettronattrattori come gli alogeni che esercitano un effetto induttivo –I stabilizzano il carbanione.

I carbanioni hanno una maggiore stabilità se sono stabilizzati per risonanza come nel caso del carbocatione allilico:

CH2=CH-CH2 ↔ CH2CH=CH2

Particolarmente stabili sono i carbanioni in cui al carbonio che ha la carica negativa è legato un gruppo fenilico:

forme di risonanza

L’ibridazione del carbonio a cui è legato un carbocatione ne influenza la stabilità: la carica negativa è stabilizzata procedendo dall’ibridazione sp3 in cui la percentuale del carattere s è del 25% all’ibridazione sp.

Pertanto un carboanione come HC≡C legato a un carbonio ibridato sp in cui la percentuale di carattere s è del 50% è più stabile rispetto a un carbanione come H2C=CH in cui il carbanione è legato a un carbonio ibridato sp2 in cui la percentuale di carattere s è del 33%.

L’ordine di stabilità relativa dei carbanioni legati ad atomi di carbonio con diversa ibridazione è quindi:

CH3-CH2< H2C=CH < HC≡C

 

Cloro: metodi di preparazione

$
0
0

Il cloro fu ottenuto per la prima volta nel 1774 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele trattando il minerale pirolusite con acido cloridrico; egli tuttavia ritenne che il gas ottenuto contenesse ossigeno e fu solo nel 1810 che il chimico britannico Sir Humphry Davy dimostrò che si trattava di un nuovo elemento.

Per le sue vaste applicazioni in numerosi campi come sbiancante, disinfettante per la potabilizzazione delle acque oltre che nella sintesi del polivinilcloruro e del tetracloroetene, sono stati messi a punto vari metodi per la sua preparazione.

Il cloro può essere preparato dall’acido cloridrico utilizzando, a caldo, un agente ossidante come il l’ossido di manganese (IV), l’ossido di piombo (IV), l’ossido di piombo (II,IV), il bicromato di potassio o, a freddo, il permanganato di potassio secondo le reazioni:

MnO2(s) + 4 HCl(aq) → MnCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

PbO2(s) + 4 HCl(aq) → PbCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Pb3O4(s) + 8 HCl(aq) → 3 PbCl2(aq) + 4 H2O(l) + Cl2(g)

K2Cr2O7(s) + 14 HCl(aq) → 2 KCl(aq) + 7 H2O(l) + 2 CrCl3(aq) + 3 Cl2(g)

2 KMnO4(s) + 16 HCl(aq) → 2 KCl(aq) + 8 H2O(l) + 2 MnCl2(aq) + 5 Cl2(g)

Il cloro può essere preparato trattando un cloruro come il cloruro di sodio in presenza di acido solforico concentrato e a caldo e di un agente ossidante.

La reazione avviene in due stadi: nel primo stadio l’acido solforico reagisce con il cloruro per dare acido cloridrico. Nel secondo stadio l’acido cloridrico reagisce con l’agente ossidante per dare cloro:

NaCl(s) + H2SO4(aq) → NaHSO4(aq) + HCl(aq)

MnO2(s) + 4 HCl(aq) → MnCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Il cloruro di manganese formatosi nel secondo stadio della reazione reagisce con l’acido solforico per dare acido cloridrico:

MnCl2(aq) + H2SO4(aq) → MnSO4(aq) + 2 HCl(aq)

La reazione complessiva può essere pertanto scritta come:

2 NaCl(s) + 3 H2SO4(aq) + MnO2(s → 2 NaHSO4(aq) + MnSO4(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Un processo industriale per la preparazione del cloro fu introdotto intorno al 1868 dal chimico britannico Henry Deacon che si basava sulla reazione dell’ossigeno atmosferico con l’acido cloridrico che veniva ottenuto come sottoprodotto del processo Leblanc utilizzato per la sintesi del carbonato di sodio.

Quando tale processo fu soppiantato dal metodo Solvay cadde anche in disuso il processo Deacon.

Nel processo Deacon l’acido cloridrico viene ossidato dall’ossigeno dell’aria a 450°C in presenza di ossido di rame (II) quale catalizzatore secondo la reazione complessiva:

4 HCl + O2 → 2 Cl2 + 2 H2O

Il meccanismo di azione del catalizzatore consiste nella riduzione del rame (II) a rame (I) secondo la reazione:

2 CuCl2 → 2 CuCl + Cl2

Il cloruro di rame (I) reagisce con l’ossigeno secondo la reazione:

4 CuCl + O2 → 2 [CuO∙CuCl2]

Nell’ultimo stadio della reazione si forma nuovamente il cloruro di rame (II):

CuO∙CuCl2 + 2 HCl → 2 CuCl2 + H2O

Attualmente il cloro viene ottenuto dall’elettrolisi di una soluzione di cloruro di sodio

Al catodo (-): 2 H2O(l) + 2 e→ 2 OH + H2

All’anodo (+) 2 Cl → Cl2 + 2 e

La reazione complessiva è:

2 NaCl + 2 H2O → 2 Na+ + 2 OH. + H2 + Cl2

Trifenilfosfina

$
0
0

La trifenilfosfina è un composto organofosforico in cui al fosforo sono legati tre gruppi fenilici ed ha formula P(C6H5)3 spesso abbreviata in PPh3.

E’ un solido bianco cristallino solubile in solventi organici non polari.

A temperatura ambiente la trifenilfosfina tende lentamente ad ossidarsi per dare l’ossido di trimetilfosfina secondo la reazione:

2 P(C6H5)3  + O2 → 2 O P(C6H5)3

Viene sintetizzata a partire da tricloruro di fosforo, clorobenzene e sodio secondo la reazione:

PCl3 + 3 C6H5Cl +6 Na → P(C6H5)3 + 6 NaCl

La chimica della trifenilfosfina è dominata dal suo carattere riducente e dalla nucleofilicità dovuta alla presenza del fosforo trivalente che si manifesta, ad esempio, quando reagisce con gli alogenuri alchilici via SN2 per dare, in una reazione esotermica sali di fosfonio.

Nella reazione di Witting dalla reazione tra la trifenilfosfina e un alogenuro alchilico primario o secondario si ottiene un sale di fosfonio.

Per allontanare un idrogeno dal carbonio legato all’atomo di fosforo si utilizza il buillitio con formazione di un’ilide:

witting

Nella reazione di Appel la trifenilfosfina viene fatta reagire con un alogeno o con un composto alogenato per ottenenere un sale di fosfonio che viene utilizzato per trasformare gli alcoli in alogenuri alchilici

appel

La trifenilfosfina costituisce un legante nella formazione di molti complessi metallici utilizzati in molte reazioni quali catalizzatori omogenei nella produzione di prodotti petrolchimici e come cocatalizzatori per l’ottenimento di n-butanolo e isobutanolo.

Il clorotris(trifenilfosfina) rodio (I) avente formula RhCl(PPH3)3 è stato il primo catalizzatore detto catalizzatore di Wilkinson per l’idrogenazione di alcheni e alchini in soluzione omogenea a temperatura e pressione ambiente.

La trifenilfosfina viene utilizzata nella sintesi di vitamine e nella produzione di principi attivi presenti in prodotti farmaceutici e fitisanitari oltre che come iniziatore di diverse reazioni di polimerizzazione

Trova inoltre impiego come antiossidante, ritardante della fiamma, antistatico e come stabilizzatore

Composti litio-organici

$
0
0

Insieme ai composti organici del magnesio, noti come reattivi di Grignard, i composti organici del litio si comportano da nucleofili presentando una elevata reattività.

Sono solubili in eteri, in composti alifatici e aromatici e possono polimerizzare in tetraidrofurano.

Nei solventi i composti litio-organici possono formare aggregati come dimeri, tetrameri e esameri pertanto la reattività di tali composti è influenzata dal tipo di solvente.

La presenza di forti complessanti come la tetrametiletilendiammina può rompere la struttura di tali aggregati con conseguente maggiore reattività.

I composti litio-organici più comuni sono il n-butillitio, il metillitio e il t.butillitio.

Vengono usati quali basi forti, nucleofili, riducenti, nelle reazioni di metallazione, quali iniziatori e/o catalizzatori nelle polimerizzazioni e come catalizzatori nelle sintesi organiche.

Vengono sintetizzati dalla reazione tra un cloruro alchilico e litio in benzene o in un idrocarburo alifatico:

R-Cl + 2 Li → R-Li + LiCl

In particolare il n-butillitio che costituisce il più importante composto della serie può essere ottenuto dalla reazione tra l’1-bromobutano e il litio:

C4H9Br + 2 Li → C4H9Li + LiBr

Molti composti litio-organici vengono preparati dal n-butillitio o da altri composti alchillitio tramite una reazione di metallazione ovvero una reazione in cui un metallo viene introdotto in una molecola organica per dare un composto organometallico in un processo in cui un idrogeno viene sostituito da un metallo.

La metallazione della diisopropilammina con n-butillitio in tetraidrofurano  dà luogo alla formazione di litio diisopropilammide noto come LDA usata nell’ambito delle sintesi organiche per deprotonare gli acidi deboli.

 (CH3)2HC-NH-CH(CH3)2    + C4H9Li  →  [(CH3)2CH]2NLi + C4H10

I composti litio-organici danno luogo a decomposizione termica con ottenimento di un alchene e idruro di litio. Ad esempio:

C4H9Li → CH2=CH-CH2-CH3 + LiH

In presenza di acqua danno luogo alla formazione dell’alcano e dell’idrossido di litio:

C4H9Li + H2O → CH3-CH2-CH2-CH3 + LiOH

In presenza di ossigeno danno luogo alla formazione di un alcossido:

2 C4H9Li + O2 →2 CH3-CH2-CH2-CH2-O-Li

I composti litio-organici attaccano i composti contenenti un gruppo carbonilico tramite attacco nucleofilo del carbanione pertanto in ambiente acido:

La reazione del biossido di carbonio con un composto litio-organico dà luogo alla formazione di un acido carbossilico.

I composti litio-alchilici danno luogo alla reazione detta riarrangiamento [1,2] di Witting con gli eteri per dare un alcol secondo un meccanismo radicalico:

[1,2] witting

I composti litio-alchilici danno luogo ad una reazione sigmatropica detta riarrangiamento [2,3] di Witting con gli eteri allilici per dare alcoli allilici:

[2,3] witting

L’uso maggiore dei composti litio-organici e in particolare del n-butillitio, in campo industriale è quello catalitico nella polimerizzazione anionica di polimeri quali polibutadiene, poliisoprene e polistirene.

Alcossidi metallici

$
0
0

Gli alcossidi metallici sono composti con formula generale M(OR)n dove R è un radicale alchilico o arilico e n è la valenza del metallo; un alcossido infatti è la base coniugata di un alcol e viene indicato come RO essendo R un sostituente organico.

Gli alcossidi metallici possono essere considerati come derivanti da un alcol in cui l’idrogeno alcolico è sostituito da un metallo.

Gli alcossidi metallici mostrano proprietà diverse a seconda del tipo di metallo e del gruppo alchilico ad esso legato.

Molti alcossidi metallici sono legati da forze intermolecolari che dipendono dalle dimensioni e dalla forma dei gruppi alchilici.

Gli alcossidi metallici che sono colorati se il metallo in essi presenti è colorato, sono abitualmente solubili negli alcoli corrispondenti.

Gli alcossidi metallici tendono a idrolizzare ed inoltre reagiscono con gli alcoli secondo una reazione di equilibrio:
MOR + R’OH ⇌ MOR’ + ROH

Gli alcossidi metallici vengono impiegati nella deposizione chimica da vapore quali precursori di ossidi metallici solidi che si depositano sul substrato.

Gli  alcossidi metallici trovano largo uso quali catalizzatori in molte reazioni tra cui:

  • Transesterificazione degli esteri:

RCOOR’ + R’’OH → RCOOR’’ + R’OH

dove viene usato quale catalizzatore un alcossido di tallio Tl(OR)4

  • Reazione di Merwein-Ponndorf:

R’R’’CHOH + (CH3)2CO → R’R’’CO + CH3CH(OH)CH3

dove viene usato quale catalizzatore un alcossido di alluminio Al(OR)3

  • Reazione di Tischenko

2 RCHO → RCOOCH2R

dove viene usato quale catalizzatore un alcossido di sodio NaOR

Alcuni alcossidi metallici possono reagire tra loro per dare un alcossido doppio:

NaOC2H5 + Al(OC2H5)3 → NaAl(OC2H5)4


Chimica del Fe(II) e Fe(III)

$
0
0

Il ferro è un metallo di transizione che presenta più numeri di ossidazione sebbene quelli più comuni siano +2 e +3 che danno luogo a numerosissime reazioni delle quali vengono citate solo alcune tra le più significativa.

Il ferro reagisce rapidamente sia con l’acido cloridrico che con l’acido solforico per dare sali di ferro (II) con sviluppo di idrogeno:
Fe(s) + 2 HCl(aq)→ FeCl2(aq) + H2(g)

Fe(s) +  H2SO4(aq)→ FeSO4(aq) + H2(g)

Il cloruro di ferro (II) anidro di colore bianco può essere ottenuto dalla reazione tra ferro e cloruro di idrogeno secondo la reazione:

Fe(s) + 2 HCl(g)→ FeCl2(aq) + H2(g)

Il cloruro di ferro (III) può essere ottenuto facendo passare cloro sul ferro ad alta temperatura:

2 Fe(s) + 3 Cl2(g)→ 2 FeCl3(s)

Il cloruro di ferro (III) si trova sotto forma di dimero Fe2Cl6

dimero

Esso reagisce con l’acqua secondo una reazione esotermica per dare idrossido di ferro (III) e cloruro di idrogeno:

FeCl3(s) + 3 H2O(l)→ Fe(OH)3(s) + 3 HCl(g)

Il ferro (II) con l’acqua forma il complesso esaaquoferro (II) [Fe(H2O)6]2+ di colore verde mentre il ferro (III) forma il complesso complesso esaaquoferro (III) [Fe(H2O)6]3+ di colore rosa che reagisce ulteriormente con l’acqua per dare il complesso pentaaquoidrossiferro (III) [Fe(H2O)5OH)]2+ di color arancio. In questa reazione [Fe(H2O)6]3+ agisce da base di base di Brønsted –Lowry cedendo un protone all’acqua:

[Fe(H2O)6]3+(aq) + H2O(l) ⇌ [Fe(H2O)5OH)]2+(aq)+ H3O+(aq)

In ambiente alcalino per NaOH sia il ferro (II) che il ferro (III) danno luogo alla formazione di precipitati di idrossido di ferro (II) e di idrossido di ferro (III):

Fe2+(aq) + 2 OH(aq)→ Fe(OH)2(s)

Fe3+(aq) + 3 OH(aq)→ Fe(OH)3(s)

L’idrossido di ferro (II) tende ad ossidarsi in idrossido di ferro (III):

4 Fe(OH)2(s) + O2(g) + 2 H2O(l) → 4 Fe(OH)3(s)

Analogamente in ammoniaca con la quale il ferro non forma complessi sia il ferro (II) che il ferro (III) danno luogo alla formazione di precipitati di idrossido di ferro (II) e di idrossido di ferro (III).

Il ferro (II) può essere ossidato a ferro (III) da opportuni agenti ossidanti come il permanganato di potassio secondo la reazione:

MnO4(aq)+ 5 Fe2+(aq) + 8 H+(aq) → Mn2+(aq) + 5 Fe3+(aq) + 4 H2O(l)

o come il bicromato di potassio secondo la reazione:

Cr2O72-(aq) + 6 Fe2+(aq) + 14 H+(aq) → 2 Cr3+(aq) + 6 Fe3+(aq) + 7 H2O(l)

Tali reazioni possono essere utilizzate per la determinazione quantitativa del ferro (II) tramite una titolazione ossidimetrica.

Il ferro (III) può essere ridotto a ferro (II) da opportuni agenti riducenti come ad esempio lo ione ioduro secondo la reazione:

2 Fe3+(aq) + 2 I(aq)→ 2 Fe2(aq) + I2(s)

o come lo zinco secondo la reazione:

Zn(s) + 2 Fe3+(aq) → Zn2+(aq) + 2 Fe2+(aq)

Il potassio ferrocianuro reagisce con le soluzioni contenenti ferro (III) per dare un precitato di ferro (III)esacianoferrato (II) detto blu di Prussia secondo la reazione:

4 Fe3+ + 3 [Fe(CN)6]4-→ Fe4[Fe(CN)6]3

Il potassioferricianuro [Fe(CN)6]3- ossida il ferro (II) a ferro (III) formando ioni ferrocianuro:

[Fe(CN)6]3-  + Fe2+ → [Fe(CN)6]4- + Fe3+

con formazione di una colorazione blu detto blu di Turnbull.

Il ferro (III) idrato reagisce secondo una reazione caratteristica utilizzata nell’analisi qualitativa per l’identificazione del ferro (III) con il tiocianato per formare il complesso pentaaquotiocianato ferro (III) dal tipico colore rosso:

[Fe(H2O)6]3+ + SCN→ [Fe(H2O)5 (SCN)]2+ + H2O

Aggiungendo ioni fluoruro a tale soluzione la colorazione rossa scompare rapidamente per la formazione del complesso pentaaquofluoro ferro (III) che è incolore:

[Fe(H2O)5 (SCN)]2+ + F →  [Fe(H2O)5 F]2+ + SCN

essendo lo ione fluoruro un legante più forte rispetto allo ione tiocianato.

In soluzioni concentrate di ione cloruro il ferro (III) dà luogo alla formazione del complesso tetracloroferrato (III) secondo la reazione:

Fe3+ + 4 Cl→ [FeCl4]

Tale complesso, rispetto agli altri che hanno struttura ottaedrica si presenta tetraedrico.

Miscela cromica

$
0
0

Nella comune pratica di laboratorio si deve usare vetreria pulita e asciutta ma la pulizia della vetreria è molto più difficile di quanto non si possa immaginare.

In genere si lava con acqua e sapone aiutandosi con uno scovolino delle giuste dimensioni poi si risciacqua con acqua di rubinetto ed infine con acqua distillata.

Per asciugare non si devono usare tovaglioli di carta perché potrebbero aderire delle fibre al vetro ma, di norma la si lascia asciugare nello scaffale. Per accelerare l’asciugatura si può aggiungere un solvente volatile quale etanolo e, in extrema ratio, collegare l’oggetto a una pompa da vuoto.

Se esso è realmente pulito si asciugherà rapidamente mentre se in alcune parti l’acqua distillata o il solvente usato non tendono ad allontanarsi allora sicuramente si deve procedere in modo diverso.

Si prova a lavare, sotto cappa, o con un acido forte concentrato come acido cloridrico o acido solforico o con una base forte come NaOH 6 M. Se anche questi tentativi vanno a vuoto allora si deve ricorrere alla miscela cromica detta anche misto cromico.

Si premette che la preparazione della miscela cromica e il suo utilizzo devono essere fatte da persone esperte che, in quanto tali, non solo utilizzano una cappa aspirante ma si proteggono in modo adeguato sia perché le sostanze che vengono usate sono di per sé pericolose sia perché la miscela è tossica, cancerogena e pericolosa per l’ambiente ed inoltre va evitato il contatto con la pelle per i suoi effetti ustionanti.

Per preparare la miscela cromica si utilizzano 60 g di bicromato di potassio disciolti in 50 mL di acqua a cui viene aggiunto 1 L di acido solforico concentrato. Si agita e, per favorire la solubilizzazione, si riscalda la soluzione che va conservata nella stessa bottiglia da cui è stato prelevato l’acido solforico.

La reazione netta tra il bicromato di potassio e l’acido solforico è:

Cr2O72- + 2 H+ ⇌ H2Cr2O7 ⇌ H2CrO4 + CrO3

in cui si ottiene acido dicromico in equilibrio con l’acido cromico e il triossido di cromo (VI) ed è presente, probabilmente l’acido cromosolforico H2CrSO7.

La miscela così preparata unisce l’azione ossidante del cromo che si trova con il numero di ossidazione +6 con l’azione acida e mineralizzante dell’acido solforico.

La miscela cromica viene versata nell’oggetto da pulire e, dopo qualche minuto viene versata nuovamente nella bottiglia in cui è contenuta.

Dopo tale trattamento la vetreria dovrebbe così essere pulita e pronta per l’utilizzo dopo essere stata risciacquata abbondantemente prima con acqua e poi con acqua distillata.

Sebbene sia un metodo ad alto impatto e pericoloso risulta sicuramente molto efficace.

La miscela cromica ha la tipica colorazione arancione del bicromato e può essere riutilizzata fino a che la colorazione si attenua e compare una colorazione verde tipica del cromo (III).

Ciò indica che il bicromato si è tutto ridotto a cromo (III) secondo la semireazione:

Cr2O72- + 14 H+ + 6 e → 2 Cr3+ + 7 H2O

e pertanto la miscela oltre a contenere impurezze di precedenti lavaggi non ha più l’azione ossidante che la caratterizza.

La miscela cromica può essere anche acquistata già preparata presso primarie case produttrici di sostanze chimiche.

Molti laboratori ne vietano l’uso per i suoi effetti tossici consigliando l’utilizzo di un altro ossidante come una soluzione satura di permanganato di potassio unita a un pari volume di soluzione di NaOH al 20% (m/V)

 

Determinazione del ferro (II) con bicromato

$
0
0

La determinazione quantitativa del ferro (II) può essere ottenuta tramite titolazione ossidimetrica.

Un tipo di titolazione è quella permanganometrica in cui si utilizza lo ione permanganato che è, tra gli agenti ossidanti, il più usato in quanto ha un potenziale normale di riduzione tanto elevato da determinare reazioni quantitative con la maggior parte dei riducenti ed inoltre non richiede l’uso di indicatori in quanto lo stesso permanganato funge anche da indicatore.

La permanganometria, tuttavia, presenta alcuni limiti quali la scarsa selettività nei confronti di sostanze riducenti e l’intensa colorazione della soluzione che ne impedisce una accurata lettura del menisco.

Il ferro (II) può essere determinato quindi utilizzando, quale ossidante, il bicromato di potassio che, pur avendo un potenziale normale di riduzione inferiore a quello del permanganato presenta diversi vantaggi.

Il permanganato infatti non è, contrariamente al bicromato di potassio, una sostanza madre e quindi la soluzione di permanganato richiede una standardizzazione ed inoltre il permanganato va preparato di fresco non avendo una grande stabilità.

La semireazione di riduzione del bicromato è:

Cr2O72- + 14 H+ + 6 e → 2 Cr3+ + 7 H2O a cui è associato un potenziale normale di riduzione E° pari a + 1.33 V

La semireazione di ossidazione del ferro (II) è:

Fe2+ → Fe3+ + 1 e a cui è associato un potenziale normale di ossidazione E° pari a – 0.77 V

La reazione complessiva:

Cr2O72- + 6 Fe2+ +14 H+ → 2 Cr3+ + 6 Fe3+ + 7 H2O

ha quindi un potenziale complessivo E° pari a + 1.33 – 0.77 = + 0.56 V

Contrariamente alle titolazioni permanganometriche la titolazione con il bicromato richiede un indicatore redox che può essere la difenilammina, la difenilbenzidina e il difenilammina solfonato di sodio il cui cambiamento di colore avviene tra il verde e il viola.

Preparazione della soluzione standard di bicromato di potassio

Pesare accuratamente circa 1.0-1.2 g di bicromato di potassio e discioglierli in acqua portando a volume in un matraccio tarato da 250 mL.

Titolazione

Trasferire in una beuta 10.0 mL della soluzione contenente ferro (II), aggiungere 25 mL di una soluzione 1 M di H e 10 mL di una soluzione di H3PO4 1 M. Aggiungere 8 gocce di difenilammina solfonato di sodio e agitare.

Riempire la buretta da 50.0 mL con la soluzione standard di bicromato e titolare fino al viraggio dell’indicatore. Ripetere la titolazione almeno tre volte.

Calcoli

Supponendo che la massa di bicromato di potassio sia pari a 1.115 g si ha che le moli di bicromato sono pari a 1.115 g/294.185 g/mol= 0.003790

La molarità della soluzione standard di bicromato è quindi pari a M = 0.003790 mol/ 0.250 L=0.01516

Supponendo che siano occorsi 22.1 mL di soluzione per titolare il ferro (II) le moli di bicromato sono pari a 0.01516 M ∙ 0.0221 L = 0.000335

Il rapporto stechiometrico tra bicromato e ferro (II) è di 1:6

Pertanto le moli di Fe2+ sono pari a 0.000335 ∙ 6 = 0.00201

Può essere quindi calcolata sia la massa che la molarità del ferro (II) contenuta in 10.0 mL della soluzione incognita. Ripetere i calcoli per ognuna delle tre titolazioni e fare la media dei valori.

Conduttività e concentrazione

$
0
0

Le soluzioni contenenti elettroliti ovvero acidi, basi o sali sono in grado di condurre corrente elettrica grazie alla loro dissociazione totale o parziale in ioni positivi e negativi.

Nelle soluzioni la corrente elettrica, misurabile per via conduttimetrica, è generata dal movimento degli ioni disciolti che sono dotati di una o più cariche elettriche.

In generale la conducibilità elettrica è influenzata della distanza tra gli elettrodi, dall’aumento della superficie immersa degli elettrodi e  dalla concentrazione degli elettroliti.

Infatti quanto più gli elettrodi sono vicini tanto più rapidamente gli ioni possono raggiungerli e, all’aumentare della superficie immersa maggiore è la possibilità che avvengano contemporaneamente un maggior numero di scambi. Il fenomeno di trasporto e di scambio di carica è tanto maggiore quanto maggiore è il numero di ioni presenti ovvero la concentrazione della soluzione quindi se l’elettrolita è completamente dissociato la conduttività dovrebbe essere direttamente proporzionale alla concentrazione dell’elettrolita stesso. Tuttavia questo comportamento non viene osservato in quanto la conduttività degli elettroliti diminuisce all’aumentare della concentrazione.

La causa principale di questo comportamento apparentemente anomalo è dovuto all’atmosfera ionica: nella misura in cui gli ioni aventi carica opposta hanno maggiore probabilità di trovarsi più vicini a causa della maggiore concentrazione annullando reciprocamente le loro cariche, essi hanno una minore tendenza a migrare sotto l’azione di un campo elettrico.

La concentrazione di una soluzione e la mobilità degli ioni non sono proprietà indipendenti: quando la concentrazione aumenta, infatti, diminuisce la mobilità degli ioni riducendone la velocità di migrazione e, conseguentemente, la conducibilità della soluzione.

La trattazione quantitativa di questi effetti fu formulata dalla teoria di Debye-Huckel negli anni ’20 dello scorso secolo costituendo un valido contributo allo sviluppo della chimica fisica.

Cloro: metodi di preparazione

$
0
0

Il cloro fu ottenuto per la prima volta nel 1774 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele trattando il minerale pirolusite con acido cloridrico; egli tuttavia ritenne che il gas ottenuto contenesse ossigeno e fu solo nel 1810 che il chimico britannico Sir Humphry Davy dimostrò che si trattava di un nuovo elemento.

Per le sue vaste applicazioni in numerosi campi come sbiancante, disinfettante per la potabilizzazione delle acque oltre che nella sintesi del polivinilcloruro e del tetracloroetene, sono stati messi a punto vari metodi per la sua preparazione.

Il cloro può essere preparato dall’acido cloridrico utilizzando, a caldo, un agente ossidante come il l’ossido di manganese (IV), l’ossido di piombo (IV), l’ossido di piombo (II,IV), il bicromato di potassio o, a freddo, il permanganato di potassio secondo le reazioni:

MnO2(s) + 4 HCl(aq) → MnCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

PbO2(s) + 4 HCl(aq) → PbCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Pb3O4(s) + 8 HCl(aq) → 3 PbCl2(aq) + 4 H2O(l) + Cl2(g)

K2Cr2O7(s) + 14 HCl(aq) → 2 KCl(aq) + 7 H2O(l) + 2 CrCl3(aq) + 3 Cl2(g)

2 KMnO4(s) + 16 HCl(aq) → 2 KCl(aq) + 8 H2O(l) + 2 MnCl2(aq) + 5 Cl2(g)

Il cloro può essere preparato trattando un cloruro come il cloruro di sodio in presenza di acido solforico concentrato e a caldo e di un agente ossidante.

La reazione avviene in due stadi: nel primo stadio l’acido solforico reagisce con il cloruro per dare acido cloridrico. Nel secondo stadio l’acido cloridrico reagisce con l’agente ossidante per dare cloro:

NaCl(s) + H2SO4(aq) → NaHSO4(aq) + HCl(aq)

MnO2(s) + 4 HCl(aq) → MnCl2(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Il cloruro di manganese formatosi nel secondo stadio della reazione reagisce con l’acido solforico per dare acido cloridrico:

MnCl2(aq) + H2SO4(aq) → MnSO4(aq) + 2 HCl(aq)

La reazione complessiva può essere pertanto scritta come:

2 NaCl(s) + 3 H2SO4(aq) + MnO2(s → 2 NaHSO4(aq) + MnSO4(aq) + 2 H2O(l) + Cl2(g)

Un processo industriale per la preparazione del cloro fu introdotto intorno al 1868 dal chimico britannico Henry Deacon che si basava sulla reazione dell’ossigeno atmosferico con l’acido cloridrico che veniva ottenuto come sottoprodotto del processo Leblanc utilizzato per la sintesi del carbonato di sodio.

Quando tale processo fu soppiantato dal metodo Solvay cadde anche in disuso il processo Deacon.

Nel processo Deacon l’acido cloridrico viene ossidato dall’ossigeno dell’aria a 450°C in presenza di ossido di rame (II) quale catalizzatore secondo la reazione complessiva:

4 HCl + O2 → 2 Cl2 + 2 H2O

Il meccanismo di azione del catalizzatore consiste nella riduzione del rame (II) a rame (I) secondo la reazione:

2 CuCl2 → 2 CuCl + Cl2

Il cloruro di rame (I) reagisce con l’ossigeno secondo la reazione:

4 CuCl + O2 → 2 [CuO∙CuCl2]

Nell’ultimo stadio della reazione si forma nuovamente il cloruro di rame (II):

CuO∙CuCl2 + 2 HCl → 2 CuCl2 + H2O

Attualmente il cloro viene ottenuto dall’elettrolisi di una soluzione di cloruro di sodio

Al catodo (-): 2 H2O(l) + 2 e→ 2 OH + H2

All’anodo (+) 2 Cl → Cl2 + 2 e

La reazione complessiva è:

2 NaCl + 2 H2O → 2 Na+ + 2 OH. + H2 + Cl2

Viewing all 1537 articles
Browse latest View live