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Plutonio: un nuovo numero di ossidazione

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Il plutonio è un elemento radioattivo transuranico appartenente alla serie degli attinidi con numero atomico 94 e configurazione elettronica [Rn] 5f6 7s2.

I composti più comuni del plutonio sono gli ossidi, gli ossalati e i fluoruri. Nei suoi composti il plutonio ha numeri di ossidazione da +3 a +7 e gli ioni, a seconda del numero di ossidazione del plutonio hanno colorazioni di verse.

Lo ione Pu3+ è di colore blu lavanda, lo ione Pu4+ è di colore giallo scuro, lo ione poliatomico PuO2+ in cui il plutonio ha numero di ossidazione +5 molto instabile si ritiene possa essere rosa chiaro, lo ione poliatomico PuO22+ in cui il plutonio ha numero di ossidazione +6 è rosa arancio, lo ione poliatomico PuO53- in cui il plutonio ha numero di ossidazione +7 è rosso scuro.

Il plutonio ha il maggior numero di stati di ossidazione tra gli attinidi e, dagli studi effettuati a Los Alamos nell’ambito del Progetto Manhattan, si rivelò uno degli elementi con una chimica tra le più complesse.

La conoscenza dei numeri di ossidazione di un elemento, ovvero del numero di elettroni che esso può perdere o acquistare costituisce una delle proprietà di maggiore interesse per la comprensione del comportamento chimico dell’elemento e pertanto gli stati di ossidazione di ogni elemento sono stati determinati nel corso del tempo.

I ricercatori del Los Alamos National Laboratory in collaborazione con l’Università California-Irvine hanno scoperto che il plutonio ha anche numero di ossidazione +2 oltre a quelli già noti.

Gli studi, complessi per la limitata disponibilità degli elementi e per i protocolli di sicurezza da osservare per elementi radioattivi, erano partiti dallo studio del numero di ossidazione dei lantanoidi ed in particolare del torio e dell’uranio per poi passare al plutonio che ha mostrato un nuovo numero di ossidazione inaspettato quando da Pu3+ è stato ridotto a Pu2+ e la soluzione dal colore blu lavanda è diventata viola intenso.

Nuove frontiere si aprono, nei paesi dove si fa ricerca, per lo studio di molecole contenenti elementi transuranici con numero di ossidazione +2.


Tioesteri e l’origine della vita

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I tioesteri sono composti organici aventi formula generale RCOSR’ che mostrano un’elevata reattività al pari delle anidridi e dei cloruri degli acidi e sono più reattivi degli esteri.

Questa caratteristica è spiegabile dal confronto delle strutture di risonanza degli esteri e dei tioesteri:

risonanza

Sebbene ciascuna struttura sia caratterizzata dalle stesse tre strutture limite di risonanza la terza struttura a destra dell’estere e del tioestere non sono equivalenti in quanto il doppio legame a causa delle maggiori dimensioni dello zolfo rispetto all’ossigeno; infatti nel caso di due elementi aventi dimensioni simili come nel caso del carbonio e dell’ossigeno la sovrapposizione dell’orbitale π è maggiore rispetto a quella che si verifica tra elementi appartenenti a periodi diversi che hanno dimensioni diverse come nel caso del carbonio e dello zolfo.

Ne consegue che il tioestere è meno stabilizzato per risonanza rispetto all’estere ed è pertanto più reattivo richiedendo una minore energia di attivazione per reagire.

Possono essere ottenuti dalla reazione tra un acido carbossilico e un tiolo in modo analogo a come vengono ottenuti gli esteri secondo l’esterificazione di Fischer in presenza di un agente disidratante come la N,N’-dicicloesilcarbodiimide secondo la reazione di condensazione:

RCOOH + R’SH → RCOSR’ + H2O

Nell’ambito della biochimica i tioesteri rivestono una particolare importanza: l’acetil coenzima A, molecola fondamentale nel metabolismo degli organismi viventi è un tioestere che da un punto di vista chimico è il prodotto della reazione di condensazione tra il coenzima A che contiene il gruppo caratteristico dei tioli e l’acido acetico.

acetilcoenzima a

L’acetil-coenzima A è la molecola necessaria nella prima reazione del glucosio ovvero del ciclo metabolico di importanza fondamentale in tutte le cellule che utilizzano l’ossigeno nel processo della respirazione cellulare. Nel primo stadio del ciclo di Krebs le molecole organiche combustibili come glucosio, acidi grassi e alcuni amminoacidi vengono trasformate in acetil-CoA.

Un altro tioestere che riveste un ruolo di importanza rilevante nell’ambito della chimica biologica è l’acil-coenzima A, molecola costituita da una catena carboniosa di lunghezza variabile legata al coenzima A tramite un legame tioestere

acilcoenzima a

L’acil-coenzima A è una molecola chiave perché gli acidi grassi possano entrare nella loro via catabolica per la produzione di energia dalla cellula attraverso il meccanismo della β-ossidazione. Gli acidi grassi, infatti, devono essere dapprima attivati ad acil-coenzima A dopo aver reagito con una molecola di coenzima A.

Secondo Christian René de Duve insignito del Premio Nobel nel 1974 per la Medicina i tioesteri sono i precursori della vita.

Lo scienziato infatti riteneva che i tioesteri dovessero necessariamente essere gli intermedi in molti processi chiave in cui l’ATP veniva utilizzato o prodotto; inoltre essi erano implicati nella sintesi di tutti gli esteri compresi quelli che costituiscono i lipidi complessi.

I tioesteri inoltre, secondo la sua teoria, partecipano alla sintesi di altri componenti delle cellule come i peptidi, gli acidi grassi, gli steroli, i terpeni e le porfirine.

I tioesteri essendo molecole altamente energetiche potrebbero aver svolto il ruolo dell’ATP in un mondo primordiale in cui l’ATP non era ancora presente

 

Acidi grassi

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Gli acidi grassi sono costituiti da una catena di atomi di carbonio presenti  generalmente in numero pari di tipo apolare che reca il gruppo carbossilico ad una estremità.

La catena carboniosa è generalmente lineare ovvero priva di ramificazioni anche nei batteri esistono acidi grassi ramificati (BCFA) acronimo di Branched chain fatty acids in cui sono presenti uno o più gruppi metilici mentre altri acidi grassi contengono strutture ad anello come le prostaglandine.

Gli acidi grassi fanno parte della famiglia dei lipidi e non si trovano abitualmente liberi in natura ma combinati con il glicerolo con cui formano i trigliceridi, mentre quando si trovano come tali vengono detti acidi grassi liberi (FFA) acronimo di Free Fatty Acids.

Nella maggior parte degli organismi sono presenti in prevalenza l’acido con 16 atomi di carbonio ovvero l’acido esadecanoico più noto come acido palmitico e l’acido con 18 atomi di carbonio ovvero l’acido ottadecanoico noto come acido stearico.

Gli acidi grassi possono essere classificati sulla base del numero di atomi di carbonio presenti nella catena e si distinguono in:

  • Acidi grassi a catena corta se hanno meno di sei atomi di carbonio come l’acido butirrico
  • Acidi grassi a catena media con un numero di atomi di carbonio compreso tra 6 e 12
  • Acidi grassi a catena lunga con un numero di atomi di carbonio compresi tra 13 e 21
  • Acidi grassi a catena molto lunga con un numero di atomi di carbonio maggiore o uguale a 22

Gli acidi grassi possono inoltre essere classificati in acidi grassi

  • Saturi se nella catena carboniosa non sono presenti doppi legami carbonio-carbonio
  • Insaturi se sono presenti doppi legami carbonio-carbonio. A loro volta gli acidi grassi insaturi si distinguono in acidi grassi monoinsaturi se è presente un solo legame carbonio-carbonio e in acidi grassi polinsaturi se sono presenti due o più doppi legami carbonio-carbonio.

saturi e insaturi

Tra gli acidi grassi monoinsaturi vi è l’acido cis-9-esadecenoico noto come acido palmitoleico che si trova in natura nei grassi animali e vegetali e l’acido oleico che si trova in prevalenza negli oli vegetali.

A causa dell’impossibilità di rotazione intorno al doppio legame gli acidi grassi insaturi presentano isomeria cis-trans.

All’aumentare del numero di doppi legami presenti nella molecola aumenta la reattività della specie e quindi la possibilità che avvenga la perossidazione lipidica ovvero la degradazione ossidativa che porta a irrancidimento.

Alla categoria degli acidi grassi polinsaturi appartengono gli acidi grassi essenziali ovvero quegli acidi grassi che non possono essere sintetizzati dall’organismo ovvero l’omega-3 e l’omega-6.

Gli acidi grassi sono costituiti da una catena apolare e da una testa polare pertanto gli acidi grassi a catena corta sono più solubili in acqua rispetto agli acidi grassi a catena lunga.

La determinazione della solubilità degli acidi grassi a lunga catena risulta di difficile determinazione in quanto essa è influenzata dal pH ed inoltre, come tutte le molecole anfifiliche, quando vengono poste in acqua evitano il contatto delle parti non polari con il solvente per formare degli aggregati di molecole dette micelle.

Raccolta di gas sull’acqua. Esercizi

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Un gas non solubile o scarsamente solubile in acqua come l’idrogeno o l’ossigeno può essere raccolto sopra di essa.

Ad esempio dalla reazione tra zinco e acido cloridrico si ottiene idrogeno gassoso:
Zn(s) + 2 HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g)

L’idrogeno può essere raccolto disponendo di un’apparecchiatura come quella rappresentata in figura:

gas su acqua

In una beuta munita di tappo forato viene fatta avvenire la reazione e il gas viene fatto convogliare, tramite un apposito tubicino, in un recipiente contenente acqua. Un provettone riempito di acqua viene capovolto nell’acqua e il gas che si vuole raccogliere viene fatto gorgogliare in esso; non appena il gas entra nel tubo sposta l’acqua fin quando il provettone risulta pieno di gas.

Tale gas è saturato con il vapore acqueo che esercita una pressione parziale che dipende dalla temperatura ed è tabulata.

La pressione totale è data dalla somma della pressione parziale del gas e del vapore acqueo pertanto la pressione parziale del gas è data da:

pgas = ptotale – pvapore acqueo

Esercizi

  • Calcolare la massa di O2 a 23.0°C se 193 mL del gas sono stati raccolti sull’acqua con una pressione atmosferica di 762 mmHg. La pressione di vapore dell’acqua a 23.0°C è pari a 21.1 mm Hg

La pressione dell’ossigeno è pari a p = 762 – 21.1 = 740.9 mmHg

Esprimiamo la pressione in atm

p = 740.9 mmHg ( 1 atm/760 mmHg) = 0.975 atm

T = 23.0 + 273 = 296 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.975 ∙ 0.193 L/0.08206 ∙ 296 =  0.00775

Massa di O2 = 0.00775 mol ∙ 32 g/mol = 0.248 g

  • Calcolare le moli di CO2 raccolte sull’acqua alla temperatura di 25.0 °C, alla pressione di 1.00 atm che occupano un volume di 27.7 mL. La pressione di vapore dell’acqua a 25.0°C è di 23.8 torr.

Convertiamo i torr in atmosfere:

p = 23.8 torr ( 1 atm/760 torr) = 0.0313 atm

la pressione di CO2 è pari a p = 1.00 – 0.0313 = 0.969 atm

T = 25.0 + 273 = 298 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.969 ∙ 0.0277 L/0.08206 ∙ 298 =  0.00110

 

  • In un esperimento vengono raccolti sull’acqua 2.58 L di idrogeno alla temperatura di 20 °C quando la pressione è di 98.60 kPa. Trovare il volume che il gas occupa a STP. La pressione di vapore dell’acqua a 20°C è di 17.54 mm Hg

La pressione di vapore dell’acqua è pari a 17.54 mmHg ( 1 atm/760 mmHg) = 0.0233 atm

La pressione totale è di 98600 Pa (1 atm/101325 Pa) = 0.973 atm

La pressione di H2 è quindi pari a p = 0.973 – 0.0233 = 0.950 atm

T = 20 + 273 = 293 K

Dall’equazione di stato dei gas n = pV/RT = 0.950 ∙ 2.58 / 0.08206 ∙ 293 = 0.102

In condizioni standard 1 mole di gas occupa 22.4 L

Volume = 0.102 mol ( 22.4 L/mol) = 2.28 L

Si poteva pervenire allo stesso risultato utilizzando l’equazione combinata dei gas:

p1V1/T1 = p2V2/T2

A STP si ha che p = 1 atm e T = 273 K

Applicando l’equazione combinata dei gasi si ha:

V2= p1V1 T2/T1p2 = 0.950 ∙ 2.58 ∙ 273/293 ∙ 1 = 2.28 L

  • Un campione di 1.00 g di magnesio viene posto in 100 mL di una soluzione di acido cloridrico 0.123 M alla temperatura di 25.0°C. Calcolare il volume di idrogeno raccolto sull’acqua alla pressione di 755 mm Hg se alla temperatura alla quale viene condotta la reazione la pressione di vapore dell’acqua è di 24 mm Hg

La reazione bilanciata tra magnesio e acido cloridrico è:

Mg + 2 HCl → MgCl2 + H2

Per conoscere le moli di H2 prodotte dalla reazione dobbiamo sapere quale è il reagente limitante.

Moli di Mg = 1.00 g/24.305 g/mol=0.0411

Il rapporto stechiometrico tra Mg e HCl è di 1:2 pertanto le moli di HCl necessarie sono pari a 0.0411 ∙ 2 = 0.0822

Moli di HCl disponibili = 0.100 L x 0.123 M = 0.0123

Pertanto il reagente limitante è HCl e le moli di H2 prodotte, stante il rapporto tra HCl e H2 che è di 2:1 sono pari a 0.0123/2 = 0.00615

La pressione dell’idrogeno è pari a 755 – 24 = 731 mm Hg ovvero

p = 731 mm Hg ( 1 atm/760 mm Hg) = 0.962 atm

T = 25 + 273 = 298 K

Dall’equazione di stato dei gas:
V = nRT/p = 0.00615 ∙ 0.08206 ∙ 298/ 0.962 = 0.156 L

Determinazione dei grassi nel latte

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Il latte è un sistema complesso costituito da tre fasi:

  • Una fase costituita dalla frazione lipidica sotto forma di particelle di grasso emulsionate nel mezzo acquoso
  • Una fase costituita dalla frazione proteica sotto forma di micelle colloidali disperse nel mezzo acquoso
  • Una fase acquosa in cui sono disciolti ioni inorganici

La determinazione dei grassi presenti nel latte e nei suoi derivati assume particolare importanza sia per la stima del suo valore commerciale sia per evidenziare eventuali adulterazioni ottenute sottraendo il grasso e commercializzandolo come latte intero.

Per determinare la quantità di grassi si possono utilizzare due metodi diversi: il metodo di Gerber e quello di Rose-Gottlieb che è utilizzato nei protocolli ufficiali.

Esso è un metodo gravimetrico che si esegue separando quantitativamente il grasso dal latte aggiungendo ammoniaca che fluidifica le proteine, e etanolo che ne determina la precipitazione; successivamente il grasso viene estratto mediante etere etilico ed etere di petrolio.

Procedimento

Una quantità pesata di campione avente massa di circa 10 g viene posta in cilindro graduato munito di tappo a smeriglio  a cui vengono aggiunti 1 mL di ammoniaca concentrata e 10 mL di etanolo. Dopo aver agitato si aggiungono 25 mL di etere dietilico e 25 mL di etere di petrolio a 45-60°C.

Dopo aver agitato vigorosamente si aspetta che lo strato etereo sovrastante risulti perfettamente limpido ed allontanarlo dal resto della soluzione. Ripetere almeno due volte l’estrazione usando 15 mL di dietiletere e 15 mL di etere di petrolio ogni volta.

Letto il volume occupato dalla fase eterea si sifona una parte di esso in un pallone precedentemente pesato e si lascia evaporare il solvente a bagnomaria e si pone il residuo in una stufa a 100°C fino a costanza di peso.

La percentuale di grasso presente nel campione è data da:

% (m/m) = E ∙ P ∙ 100/ S∙ g

Dove: E è il volume totale espresso in millilitri della fase eterea, P è la massa in grammi del grasso estratto, S è il volume della soluzione sifonata e g è la massa iniziale di campione di latte sottoposto a estrazione

Arsenico: il veleno dei re e il re dei veleni

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Le proprietà tossiche dell’arsenico erano note fin dai tempi di Ippocrate nel 370 a.C. che descrisse i sintomi da avvelenamento da arsenico riscontrati in un minatore.

Dioscoride Pedanio, medico, botanico e farmacista nella sua opera De materia medica identificò nell’arsenico il veleno che fu dato a Britannico probabilmente da Agrippina per far divenire imperatore suo figlio Nerone.

La caratteristica dei composti inorganici dell’arsenico che sono insapori e incolori e la facilità con cui possono essere ottenuti dai minerali per ottenere una polvere bianca e cristallina solubile in acqua e, all’epoca, non rilevabile resero l’arsenico il re dei veleni.

Esso infatti poteva anche essere somministrato con continuità in piccole dosi con conseguente stato di debilitazione progressivo che veniva interpretato come l’esito fatale del decorso di una malattia.

In Europa nel Rinascimento si diffuse il veneficio soprattutto nelle corti europee dominate da intrighi e rivalità dove nacque la figura dell’assaggiatore di cui i signori si servivano per preservarsi da rischi di avvelenamento.

Ma quando si parla di veleni il pensiero corre ai Borgia e in particolare a Lucrezia Borgia che eliminava i suoi nemici con la cantarella veleno ottenuto cospargendo le viscere di suini con arsenico poi lasciate essiccare e macinate da cui si otteneva una polvere simile allo zucchero, mentre secondo altri era ottenuta mescolando arsenico e Sali ricavati dall’evaporazione dell’urina in un recipiente di rame.

Secondo studi recenti i Borgia, per commettere i loro crimini, si avvalevano di un preparato a base di arsenico a cui venivano aggiunte altre sostanza tra cui il nitrato di argento e l’acetato di piombo.

A metà del XVII secolo l’uso di veleni a base di arsenico si diffusero rapidamente anche tra i ceti meno alti da parte di persone che conoscevano i segreti per ottenere gli intrugli opportuni.

Venne creata così una fitta rete costituita da persone che ottenevano i veleni e persone che provvedevano a venderli.

Giulia Tofana ottenne la cosiddetta acqua tofana ottenuta da triossido di arsenico, limatura di piombo e antimonio fatti bollire in acqua in una pentola sigillata. La donna produceva l’acqua in grandi quantità e la vendeva a donne che volevano diventare vedove. Prima di essere giustiziata pare che fosse riuscita a rivelare alla figlia Giulia la preziosa ricetta che fu poi rielaborata e si ottenne la Manna di San Nicola detta anche “acquetta”.

Nel 1659 a Roma furono scoperte donne che preparavano veleni a base di arsenico che vendevano per uccidere mariti o amanti o per affrettare l’acquisizione di una eredità.

In campo giudiziario rimase impossibile dimostrare l’avvelenamento da arsenico fin quando nel 1936 il chimico britannico James Marsh che riuscì ad ottenere un metodo semplice ed efficace per la determinazione di tracce di arsenico.

Fu così che l’arsenico non venne più utilizzato come veleno ma nel 1918 l’ufficiale dell’esercito statunitense scoprì la lewsite che, come i gas nervini, attacca i polmoni e provoca avvelenamento attraverso l’assorbimento della cute.

Il composto i cui nome è 2-cloroetenildicloroarsina e struttura

lewsite

viene preparato dalla reazione tra tricloruro di arsenico e acetilene in presenza di catalizzatore secondo la reazione:

AsCl3 + C2H2 → ClCHCHAsCl2

Tale sostanza fu preparata in grossi quantitativi per la guerra chimica nell’ambito della Prima Guerra Mondiale ma per fortuna non fu impiegata essendo intervenuto l’armistizio.

Determinazione di SO2 libero nel vino

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L’aggiunta di biossido di zolfo detto anche anidride solforosa costituisce una diffusa pratica enologica giacché esso agisce da conservante, antiossidante, previene l’instabilità microbiologica durante il processo di vinificazione e le fermentazioni secondarie nei vini dolci.

Il biossido di zolfo si combina con le aldeidi e in particolare con l’acetaldeide e i chetoni mentre quello in eccesso detto biossido di zolfo libero può essere presente sotto forma di HSO3 e SO32- secondo gli equilibri:

SO2(aq) + H2O(l) ⇌ H+(aq) + HSO3(aq)

HSO3(aq) ⇌ H+(aq) + SO32-(aq)

La posizione degli equilibri è influenzata dal pH della soluzione idroalcolica infatti in soluzioni più acide è presente una maggiore quantità di SO2.

Per ottenere vini di buona qualità è necessario mantenere il livello di SO2 a valori ottimali per evitare che il vino assuma odori sgradevoli o si decolori e quindi la maggior parte delle aziende vinicole si avvolgono del metodo di Ripper per ottenere risultati affidabili in tempi brevi e in modo economico.

Questo metodo che si basa su una titolazione iodometrica e, nello specifico, sulla reazione redox tra iodio e biossido di zolfo:

SO2(aq) + I2(aq) + 2 H2O(l) → 4 H+(aq) + SO42-(aq) + 2 I(aq)

Questa metodica è utilizzata prevalentemente per i vini bianchi in quanto il colore rosso del vino non consente di rilevare con accuratezza il punto finale della titolazione corrispondente al viraggio della salda d’amido che viene usata come indicatore.

Procedimento

Un volume di vino pari a 50.0 mL viene messo in una beuta a cui vengono aggiunti 5 mL di acido solforico al 25 m/m e 2-3 mL di salda d’amido.

Si titola con una soluzione 0.01 M di iodio e si esegue la titolazione fin quando appare un colore blu che persiste per almeno un minuto.

Calcoli:

Dal volume della soluzione di iodio, nota la sua molarità si calcolano le moli:

moli di I2 = Molarità ∙ Volume (in Litri)

Poiché il rapporto stechiometrico tra SO2 e I2 è di 1:1 le moli di I2 sono pari a quelle di SO2.

Noto il volume di vino utilizzato per la titolazione si calcolano la concentrazione molare di SO2:

Molarità di SO2 = moli di SO2/volume del vino (in Litri)

Poiché la concentrazione del biossido di azoto libero viene espressa in mg/L si moltiplica il valore ottenuto per 64.066 che corrisponde al peso molecolare di SO2 ottenendo la concentrazione in g/L. moltiplicando il valore ottenuto per 1000 si ottiene la concentrazione in mg/L

Acetato di piombo (II)

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L’acetato di piombo (II) detto anche zucchero di piombo o sale di Saturno il cui nome I.U.P.A.C. è dietanoato di piombo è un sale avente formula Pb(CH3COO)2 solubile in acqua, metanolo, etanolo e glicerolo e struttura

acetato di piombo

Essendo solubile in acqua l’acetato di piombo può essere usato per ottenere composti insolubili del piombo tramite reazioni di precipitazione.

Può essere ottenuto dalla reazione redox tra ossido di piombo (IV), perossido di idrogeno e acido acetico:

H2O2 + PbO2 + 2 CH3COOH → O2 + 2 H2O + Pb(CH3COO)2

o dalla reazione di scambio semplice tra acetato di rame (II) e piombo metallico:

Cu(CH3COO)2 + Pb → Cu + Pb(CH3COO)2

La caratteristica di molti sali di piombo che sono scarsamente solubili viene sfruttata per determinare in modo rapido e semplice il solfuro di idrogeno gassoso che si sviluppa sia nella lavorazione dell’olio grezzo ed è tossico anche a basse concentrazioni sia da microrganismi detti batteri solforiduttori.

Per una determinazione qualitativa del solfuro di idrogeno si trovano in commercio delle cartine imbevute di acetato di piombo che a contatto con il solfuro di idrogeno si colorano di nero a causa della formazione di solfuro di piombo secondo la reazione:

Pb(CH3COO)2 + H2S → 2 CH3COOH + PbS

Una reazione analoga viene sfruttata nei coloranti progressivi per capelli bianchi in quanto il piombo reagisce con lo zolfo contenuto nella cheratina dei capelli. La bassa quantità di acetato di piombo consente così una graduale colorazione dei capelli bianchi fino a raggiungere il risultato desiderato che va mantenuto successivamente con applicazioni meno frequenti. Tali coloranti, in genere preferiti dagli uomini, sono stati banditi dalla Comunità Europea ma sono ancora usati negli USA in quanto studi effettuati su persone che li utilizzano non avrebbero mostrato un aumento di piombo a livello ematico.

A dispetto del fatto che l’acetato di piombo è un sale, esso ha un sapore dolciastro e pertanto veniva utilizzato nell’antica Roma quale dolcificante in quanto lo zucchero non era ancora conosciuto. Esso veniva ottenuto facendo bollire e concentrare il mosto in pentole di piombo.

Stante la sua tossicità si ritiene che l’uso prolungato di questo dolcificante abbia causato l’avvelenamento di molte persone nel corso del tempo.


Glicerolo

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L’1,2,3-propantriolo noto come glicerolo o glicerina è di colore chiaro, viscoso, igroscopico, umettante, dal sapore dolciastro e contiene tre gruppi –OH che rendono il composto solubile in acqua.

La sua struttura è rappresentata in figura:

glicerolo

E’ presente nei lipidi dove si trova sotto forma di trigliceride ovvero in forma esterificata in cui al posto dell’idrogeno presente nei gruppi –OH vi sono tre catene di acidi grassi a lunga catena.

Dall’idrolisi dei trigliceridi in ambiente alcalino si ottiene il glicerolo e tre sali di acidi grassi con cui vengono fatti i saponi. Il glicerolo viene abitualmente ottenuto come sottoprodotto della preparazione dei saponi.

sintesi glicerolo

Il glicerolo può essere ottenuto dalla fermentazione degli zuccheri con rese molto basse che possono essere elevate fino al 25% in presenza di solfito di sodio:

C6H12O6 → HOCH2CHOHCH2OH + CH3CHO + CO2

Può essere ottenuto a livello industriale a partire dal propene che viene fatto reagire con il cloro con ottenimento del cloruro di allile; quest’ultimo in presenza di NaOH dà luogo alla formazione di un alcol allilico che per reazione con HClO dà una β-monocloridrina che per successiva reazione con NaOH dà il glicerolo

sintesi industriale

Il glicerolo viene anche ottenuto come sottoprodotto della sintesi del biodiesel.

Il glicerolo ha due gruppi –OH che sono di tipo primario e un gruppo –OH di tipo secondario; poiché i gruppi alcolici primari sono più acidi dei gruppi alcolici secondari facendo reagire a temperatura ambiente il glicerolo con il sodio vengono attaccati solo i gruppi –OH primari con ottenimento dell’1,3-disodio gliceroato NaOCH2CHOHCH2ONa.

In ambiente acido il glicerolo viene disidratato e la reazione può procedere in due modi: se la disidratazione avviene sul gruppo ossidrilico primario si ottiene, come principale prodotto di reazione l’idrossiacetone mentre se avviene sul gruppo ossidrilico secondario si ottiene il 3-idrossipropanale che viene successivamente disidratata ad acroleina usata per la produzione industriale dell’acido acrilico.

Il glicerolo può essere ossidato e, a seconda dell’agente ossidante, dà luogo alla formazione di diversi prodotti di reazione:

  • In presenza di acido nitrico diluito dà l’acido 2,3-diidrossipropanoico noto come acido glicerico
  • In presenza di acido nitrico concentrato dà oltre all’acido glicerico l’acido 2-idrossipropandioico noto come acido tartronico
  • In presenza di nitrato di bismuto dà l’acido ossopropandioico noto come acido mesossalico
  • In presenza del reattivo di Fenton costituito da perossido di idrogeno e ione Fe2+ dà gliceraldeide e diidrossiacetone
  • In presenza di permanganato di potassio dà acido ossalico e biossido di carbonio a seguito di una reazione violenta ed esplosiva

Il glicerolo fu utilizzato per ottenere uno dei poliesteri che si diffuse nel corso della Prima Guerra Mondiale noto con il nome di Glyptal, resina alchidica, ottenuta da glicerolo, anidride ftalica e acidi grassi che veniva utilizzato come rivestimento e come materiale impregnante

glyptal

Per reazione del glicerolo con acido nitrico fumante si ottiene la nitroglicerina.

sintesi-nitroglicerina

che è un noto esplosivo ma presenta indicazioni farmacologiche per la sua attività vasodilatatrice.

Il glicerolo, non essendo tossico viene utilizzato come dolcificante in prodotti dolciari, bevande e come edulcorante in preparazioni farmaceutiche. Viene utilizzato come antigelo per i radiatori delle autovetture, come lubrificante, nei cosmetici per la sua azione idratante oltre che nella produzione di composti organici.

Il glicerolo viene anche utilizzato in campo medico come lassativo.

Reazioni di disidratazione

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Per disidratazione si intende una reazione che avviene con perdita di acqua. In chimica organica molte reazioni di disidratazione avvengono quando il reagente contiene un gruppo –OH come, ad esempio nel caso degli alcoli.

Il gruppo –OH è, tuttavia, un cattivo gruppo uscente pertanto è necessario operare in ambiente acido in modo che esso venga protonato per dare –OH2+ che è un buon gruppo uscente affinché possa verificarsi la reazione di disidratazione.

La reazione di disidratazione degli alcoli avviene tramite meccanismo E1: inizialmente il gruppo –OH viene protonato e successivamente si ha la fuoriuscita di acqua con formazione di un carbocatione che viene attaccato da una base o anche dall’acqua che rimuove un idrogeno in α al carbocatione con formazione di un doppio legame

disidratazione alcoli

Gli alcoli,ed in particolare metanolo e etanolo, inoltre danno luogo a una disidratazione intermolecolare per dare eteri simmetrici come il dietiletere che è un importante solvente industriale.

La reazione avviene a una temperatura di 130-140°C in presenza di acido solforico.

Nel  primo stadio della reazione avviene la protonazione dell’alcol; l’ossigeno alcolico di un’altra molecola di alcol dà luogo a una reazione di sostituzione nucleofila con fuoriuscita di acqua e formazione di un etere simmetrico protonato.

Una molecola di acqua deprotona l’intermedio con formazione dell’etere

formazione eteri

Le anidridi possono essere ottenute dalla reazione, a caldo, di due equivalenti di acido carbossilico in presenza di ossido di zinco

sintesi anidridi

Le ammidi primarie in presenza di un agente disidratante come P2O5 o POCl3 possono essere convertite in nitrili

nitrili

Nell’ambito delle chimica biologica vi sono due importanti reazioni che avvengono con perdita di una molecola d’acqua ovvero la formazione di un disaccaride ottenuto dalla condensazione di due monosaccaridi

disaccaride

e la formazione di un peptide a partire dalla condensazione di due amminoacidi

peptide

Molti polimeri di policondensazione vengono ottenuti, come il nylon per condensazione di due gruppi funzionali con eliminazione di una molecola d’acqua

nylon

In generale se due molecole si uniscono tra loro con eliminazione di una molecola di acqua si ha una sintesi per disidratazione mentre se la disidratazione avviene da una sola molecola si ha una reazione di disidratazione. Ad esempio la formazione di un disaccaride da due monosaccaridi e una sintesi per disidratazione mentre la conversione di un alcol in alchene è una reazione di disidratazione.

 

Acroleina

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L’acroleina o propen-2-ale è la più semplice delle aldeidi insature ed ha formula CH2=CHCHO

acroleinaE’ un liquido incolore o giallastro dall’odore acre di grasso bruciato che evapora rapidamente e brucia con facilità solubile in acqua, alcol e numerosi solventi organici.

L’acroleina veniva preparata dalla condensazione aldolica tra formaldeide e acetaldeide secondo la reazione:

HCHO + CH3CHO → CH2=CHCHO + H2O

secondo il metodo Degussa.

Sebbene questo rimanga ancora un metodo valido per la produzione di acroleina in laboratorio dal 1958 è stata preparata, a livello industriale, per ossidazione del propene in presenza di ossidi metallici quali catalizzatori secondo la reazione:

CH2=CHCH3 + O2 → CH2=CHCHO + H2O

Negli ultimi anni, stante la disponibilità di glicerolo ottenuto come sottoprodotto nella produzione di biodiesel, l’acroleina viene ottenuta dalla sua pirolisi secondo la reazione:

HO-CH2-CHOH-CH2-OH → CH2=CHCHO +2 H2O

L’acroleina che è una sostanza tossica per il fegato e irritante della mucosa gastrica fu usata nell’ambito della guerra chimica nella Prima Guerra Mondiale con il nome di papite.

L’acroleina è un biocida che agisce per contatto e viene utilizzata nei canali di irrigazione per distruggere erbe infestanti e alghe.

Viene inoltre usata nella sintesi dell’acido acrilico ma la maggior parte della produzione è indirizzata alla sintesi della metionina per reazione con il metantiolo:

metionina

La metionina ha caratteristiche antiossidanti e viene usata negli integratori alimentari; viene inoltre somministrata per alleviare i sintomi dell’osteoartrite e della fibromialgia e di molte altre patologie.

L’ acroleina viene impiegata in numerose reazioni: viene ossidata in presenza di perossido di idrogeno o ossidi metallici per dare l’acido acrilico; per reazione con il trietilsilano seguita da idrolisi l’acroleina può dare una riduzione selettiva del doppio legame e trasformarsi in propanale.

L’inoltre può dare reazioni pericicliche, metatesi, addizioni 1,2 e addizioni 1,4.

L’acroleina è uno dei componenti presenti nel fumo di sigaretta e si trova tra i componenti derivanti dalla combustione di combustibili fossili e può essere assunta tramite gli alimenti insieme alla acrilammide nei cibi fritti, nel caffè tostato e negli oli degradati.

Per inalazione può provocare danni polmonari e alle vie respiratorie, alle mucose gastriche, irritazione agli occhi e un’esposizione elevata può influire sul sistema nervoso centrale.

La sostanza è inoltre potenzialmente cancerogena ed è tossica per il fegato.

Stabilità degli alcheni

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Il prodotto principale di qualsiasi reazione chimica è sempre quello più stabile quindi la conoscenza della stabilità degli alcheni consente di poter prevedere quale isomero si forma in quantità maggiore a seguito di una reazione.

Un metodo per conoscere la stabilità di un alchene consiste nel determinare sperimentalmente la quantità di energia associata alla reazione di idrogenazione che è di tipo esotermico; poiché in questa reazione l’alchene viene trasformato in alcano a seguito della rottura del doppio legame l’energia emessa è proporzionale all’energia del doppio legame presente nella molecola.

Quanto più un alchene è stabile tanto minore è la sua energia pertanto dalla reazione di idrogenazione si svolgerà meno calore.

Dai dati sperimentali si ha che quanto più un alchene è sostituito tanto più è stabile pertanto l’ordine di stabilità degli alcheni è il seguente:

stabilità alcheni

La maggiore stabilità degli alcheni sostituiti è dovuta alla iperconiugazione causata dalla interazione tra uno dei quattro orbitali ibridi sp3 del gruppo –CH3 con l’orbitale π* del doppio legame.

Questa interazione stabilizzante tra un legame di tipo σ e uno di tipo π coinvolge la donazione di densità di carica elettrica dal legame saturo C-H all’orbitale vuoto del doppio legame.

L’iperconiugazione pertanto si verifica solo se il carbonio in α al doppio legame è legato almeno a un atomo di idrogeno quindi nel caso del 3,3-dimetil-1-butene in cui al carbonio 3 in α al doppio legame non sono legati atomi di idrogeno non si verifica iperconiugazione.

Il motivo per il quale il 2-butene è più stabile rispetto all’1-butene risiede nel fatto che nel 2-butene vi sono 3+3 = 6 idrogeni che contribuiscono all’iperconiugazione mentre nell’1-butene ve ne sono solo 2.

1 e 2 butene

Dai dati sperimentali inoltre si ha che l’isomero cis è meno stabile dell’isomero trans; questo fenomeno può essere giustificato sia da dalla maggiore repulsione sterica che si ha nell’isomero cis rispetto all’isomero trans. Ad esempio si consideri il cis-2-butene e il trans-2-butene:

cis e trans

Nel caso del cis-2-butene i gruppi metilici si trovano dalla stessa parte rispetto al doppio legame e le rispettive nuvole elettroniche possono interferire l’una con l’altra provocando una deformazione della molecola e quindi una minore stabilità.

Scoperta una rana fluorescente

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L’Hypsiboas punctatus detta rana a pois è un anfibio della famiglia delle Hylidae che vive nell’America del Sud ed in particolare nelle foreste tropicali e subtropicali.

Secondo recentissimi studi pubblicati il 13 marzo pubblicati sul Proceedings of the National Academy of Sciences è stato scoperto che questo genere di rana mostra il fenomeno della fluorescenza.

La fluorescenza era stata in precedenza evidenziata solo in creature marine tra cui coralli, alcune specie di pesci, squali, una specie di tartaruga marina ma raramente in animali terrestri come alcuni pappagalli, farfalli, scorpioni e ragni e mai negli anfibi.

Nell’ambito degli studi sui pigmenti presenti in queste rane i ricercatori brasiliani e argentini per caso hanno scoperto che esse, che si presentano di colori opachi che vanno dal verde al rosso se esposti alla luce naturale, quando vengono illuminate con luce U.V. si illuminano di un colore verde brillante.

Non è ancora nota la motivazione della fluorescenza che presentano queste rane ma i ricercatori suppongono che esse utilizzino questo fenomeno per poter comunicare tra loro specie per l’accoppiamento. La fluorescenza rende le rane più luminose del 30% durante il crepuscolo e del 19% durante il periodo di luna piena ed è possibile che essa renda le rane visibili l’una con le altre durante la notte.

Gli scienziati hanno scoperto che sono tre molecole presenti nel tessuto linfatico, nella pelle e nelle secrezioni ghiandolari a essere responsabili di questo fenomeno che hanno denominato H-L1, H-L2 e H-G1 che non sono presenti in altri animali

H-L1, H-L2 e H-G1

I ricercatori pertanto effettueranno altri studi sugli anfibi ed in particolare su quelli che appaiono translucidi per verificare se questo fenomeno si verifica anche in altre specie.

Reazioni di eliminazione E1cb

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Se un alogenuro alchilico viene fatto reagire con un nucleofilo si verifica una reazione di sostituzione nucleofila che può avvenire via SN1 o via SN2.

Tuttavia, a seconda delle condizioni, la reazione che principalmente compete con la sostituzione nucleofila, è una reazione di eliminazionein cui il nucleofilo attacca un idrogeno β piuttosto che il carbonio con formazione di un alchene.

Una reazione di eliminazione è un tipo di reazione chimica in cui vengono allontanati da una molecola due sostituenti con formazione di un legame doppio o triplo o di un anello.

Una reazione di eliminazione con formazione di un doppio legame può essere generalizzata dallo schema seguente

eliminazione

Le reazioni di eliminazione E1 seguono una cinetica del primo ordine e procedono attraverso un intermedio carbocationico e quindi la specie di partenza deve contenere un buon gruppo uscente.

Questo tipo di reazione avviene quindi in prevalenza con specie che possono dare carbocationi stabili quali carbocationi terziari, benzilici o allilici.

Secondo la regola di Zaitsev in una reazione di eliminazione che porta ad un alchene quello che si forma in quantità maggiore è l’alchene più stabile più stabile ovvero quello più sostituito e quindi la reazione è controllata da un punto di vista termodinamico.

Prodotto di Zaitsev

Quindi il prodotto di reazione prevalente è il 2-metil-2-butene che è l’alchene più sostituito e quindi il più stabile e viene detto prodotto di Zaitsev.

Se si opera in condizioni basiche e nella molecola sono presenti un debole gruppo uscente come –OH, -OR o NR3+ sul carbonio α e un idrogeno acido sul carbonio in β allora avviene una reazione E1cb ovvero una eliminazione unimolecolare con base coniugata.

Nel primo stadio della reazione che costituisce lo stadio lento avviene la deprotonazione del carbonio β con formazione di un carbanione.

Poiché l’ordine di stabilità relativa dei carbanioni è primario > secondario > primario viene rimosso il protone dal carbonio meno sostituito dando luogo alla formazione dell’alchene meno sostituito che viene detto prodotto di Hoffmann.

E1cb

In questo tipo di reazione quindi si ottiene un prodotto diverso rispetto a quello che si ottiene in altre condizioni che portano alla formazione dell’alchene più sostituito secondo la regola di Zaitsev.

Tra i fattori che favoriscono una reazione di eliminazione E1cb vi sono:

  • Cattivi gruppi uscenti

La loro presenza infatti favorisce l’attacco della base sull’idrogeno acido sul carbonio in β con formazione del carbanione piuttosto che la loro fuoriuscita con formazione del carbocatione. Nella formazione di un alchene a partire da un alogenuro alchilico quindi la presenza del fluoro che è un cattivo gruppo uscente favorisce il prodotto di Hoffmann

  • Dimensioni della base

Una base stericamente impedita come il potassio t-butossido, infatti, è una base forte altamente selettiva nei confronti dei protoni e attacca preferenzialmente un atomo di idrogeno meno impedito e più facilmente raggiungibile dando luogo alla formazione dell’alchene meno sostituito

alchene-meno-sostituito

  • Substrato ramificato

In presenza di ramificazioni nel substrato, a causa dell’impedimento sterico, la base riesce a deprotonare con più facilità l’idrogeno che porta al prodotto di Hoffmann

Steroidi

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Gli ormoni sono sostanze prodotte da cellule endocrine che vengono liberati nella circolazione sanguigna, trasportati ad altre cellule influenzandone l’attività e agiscono da messaggeri chimici essendo in grado di trasmettere segnali da una cellula a un’altra.

A seconda della loro struttura gli ormoni vengono classificati in ormoni peptidici, ormoni derivati da amminoacidi e ormoni steroidei.

Gli steroidi appartengono alla classe dei lipidi e hanno la caratteristica di essere lipidi insaponificabili presentando una struttura totalmente diversa rispetto agli altri lipidi.

Gli steroidi hanno uno scheletro idrofobico quindi sono insolubili in acqua mentre sono solubili in solventi organici come etanolo, etere e cloroformio.

Essi presentano un nucleo sterolico costituito dal ciclopentanoperidrofenantrene detto anche sterano o gonano in cui una molecola di cicloperidrofenantrene è fusa con un ciclopentano: vi sono quindi quattro anelli fusi di cui tre a sei atomi di carbonio e uno con cinque atomi di carbonio per un totale di 17 atomi di carbonio in cui l’anello A può essere aromatico o può presentare insaturazioni in posizioni 4 o 5; gli steroidi naturali presentano un gruppo metilico in posizione 10 e 13

struttura steroidi

Poiché nella struttura vi sono 4 anelli fusi si hanno 3 punti di fusione: A/B, B/C e C/D  costituiti entrambi da due atomi di carbonio pertanto ogni punto di fusione può essere di tipo cis o di tipo trans.

Vi sono 3 giunzioni tra i quattro anelli: A/B, B/C e C/D  quindi essi possono presentare tra loro una fusione di tipo cis o trans.

cis-trans

La giunzione tra gli anelli A/B può essere sia di tipo trans come nell’idrocortisone e nel testosterone che di tipo cis come negli acidi biliari mentre la giunzione tra gli anelli C/D è di solito trans ad eccezione dell’aglicone dei glucosidi cardiaci.

L’attività biologica degli steroidi dipende dal tipo di sostituenti, dal grado e dal tipo di insaturazione e dalla stereochimica del nucleo steroideo.

Gli steroidi si diversificano tra loro sulla base del tipo di gruppi legati al nucleo sterolico, sulla loro posizione e sulla configurazione del gonano. Piccolissime variazioni nella struttura molecolare determinano notevoli differenza nelle loro attività biologiche.

Gli steroidi comprendono una varietà di sostanze a spiccata attività biologica tra cui:

  • Steroli hanno una funzione alcolica in posizione 3, una catena ramificata in posizione 17 e alcuni doppi legami in posizioni diverse. Gli steroli che si trovano in tutti gli organismi viventi presentano, in genere 27 atomi di carbonio nei vertebrati come ad esempio il colesterolo componente della membrana cellulare delle cellule animali che si inserisce tra i due strati di fosfolipidi ed ha la funzione di diminuire la fluidità della membrana aumentando la stabilità meccanica delle cellule.
  • Acidi biliari prodotti nel fegato a partire dal colesterolo e sono caratterizzati da una struttura completamente satura con una configurazione cis degli anelli A/B. esempi di acidi biliari sono l’acido colico, acidi desossicolico e acido litocolico. Sono steroidi in cui sono presenti 24 atomi di carbonio con gruppi –OH nelle posizioni 3,6,7,12 e un gruppo carbossilico in posizione 24. Si trovano nella bile some sali sodici della forma coniugata con glicina e taurina.
  • Ormoni sessuali che si distinguono in androgeni come il testosterone e sono responsabili dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari maschili e estrogeni come l’estradiolo in cui l’anello A è di tipo aromatico
  • Ormoni adrenocorticali secreti dalle ghiandole surrenali e comprendono i mineralcorticoidi che concorrono all’equilibrio idrosalino come l’aldosterone e glucorticoidi come cortisolo o idrocortisone che regolano un centinaio di geni coinvolti nello sviluppo, metabolismo, mantenimento dell’omeostasi, infiammazione e processi cognitivi agendo principalmente come fattori di trascrizione
  • glicosidi cardiaci usati nello scompenso cardiaco congestizio e caratterizzati da una parte rappresentata da un ciclopentanoperidrofenantrene a cui è legato ad una estremità un anello lattonico e dall’altra, in posizione 3 una sequenza di glucidi responsabili delle caratteristiche farmacocinetiche
  • Saponine steroidee che presentano una catena carboniosa sul carbonio 17 e sono contenute in molte piante; vengono usate nell’industria per produrre ormoni steroidei
  • Vitamine del gruppo D essenziali per una corretta mineralizzazione delle ossa e dei denti sono un gruppo di pre-ormoni di cui la vitamina D2 e D3 costituiscono le forme più diffuse.

Tricloruro di azoto in piscina

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Il tricloruro di azoto meglio noto come tricloroammina è un liquido oleoso di colore giallo, irritante e dall’odore pungente, volatile e scarsamente solubile in acqua.

La molecola, avente formula NCl3, fu sintetizzata per la prima volta dal chimico francese Pierre Louis Petit nel 1812 facendo reagire ammonio cloruro e cloro:
NH4Cl + 3 Cl2 → NCl3 + 4 HCl

La tricloroammina è un forte ossidante che, se sottoposta a shock, frizione o temperature superiori a 57°C, dà luogo a una violenta reazione esplosiva:

2 NCl3 → N2 + 3 Cl2

Le conseguenze di tale reazione fecero perdere in due esperimenti successivi due dita e un occhio al suo scopritore mentre nel 1813 in una analoga esplosione Sir Humphry Dave subì danni temporanei alla vista cosa che lo indusse a continuare i suoi studi con Michael Faraday ma in una successiva esplosione rimasero entrambi feriti.

La triclorammina viene rinvenuta nell’aria delle piscine coperte con conseguenti problemi di carattere respiratorio e di irritazione degli occhi per quanti si trattengono in quel determinato ambiente.

Essa infatti si forma insieme alla monoclorammina e alla diclorammina  come prodotto della reazione tra il cloro e i suoi derivati usati quali disinfettanti nelle piscine e composti organici dell’azoto provenienti da urea, sudore, forfora e tessuti epiteliari.

Dalla reazione tra urea e acido ipocloroso si forma dapprima la monoclorammina secondo la reazione:

(NH2)2CO + 2 HClO → 2 NH2Cl + CO2 + H2O

La reazione della monoclorammina con l’acido ipocloroso porta alla formazione della diclorammina

NH2Cl + HClO → NHCl2 + H2O

La reazione tra diclorammina e HClO dà luogo alla formazione di triclorammina:
NHCl2 + HClO → NCl3 + H2O

La triclorammina è il più volatile tra questi composti e costituisce un inquinante dell’aria delle piscine.

La mono e diclorammina sono presenti nell’acqua della piscina in percentuali diverse a seconda del pH e nel range tipico dell’acqua della vasca 6.5-7.5 il 90% delle clorammine si trova sotto forma di monodiclorammina mentre la triclorammina si forma a pH < 4

La presenza elevata di triclorammina è quindi dovuta a un’altra reazione che avviene a pH intorno alla neutralità tra urea e acido ipocloroso con formazione di tetraclorourea:

(NH2)2CO + 4 HClO → (NCl2)2CO + 4 H2O

Dalla reazione tra tetraclorourea e acido ipocloroso si forma la tricloroammina:

(NCl2)2CO + 2 HClO → 2 NCl3 + CO2 + H2O

Stante i danni che questo composto può provocare una dei metodi per minimizzarne la quantità nell’aria è una corretta aerazione delle piscine coperte oltre che un’attenta analisi delle acque.

Cloruro di cobalto (II)

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Il cloruro di cobalto (II) in forma molecolare viene isolata in fase gassosa a circa 1000 K o, a basse temperature, in ambiente di argon o di azoto.

Misure ottenute tramite diffrazione elettronica mostrano che la molecola è di tipo lineare con una lunghezza di legame Co-Cl di 2.113 Å.

Il cloruro di cobalto si presenta sotto diverse colorazioni: se è anidro è di colore blu, se è biidrato di colore blu-violetto mentre se è esaidrato è di colore rosa.

Nella sua forma anidra il cloruro di cobalto che è un debole acido di Lewis ha una struttura in cui ogni ione cobalto è circondato da sei ioni cloruro mentre ogni cloruro è contornato da tre ioni cobalto

struttura cocl2

Il cloruro di cobalto anidro è igroscopico e tende in presenza di acqua a formare il complesso esaquocobalto (II)  di forma ottaedrica avente formula [Co(H2O)6]2+

esaidrato

Esso viene preparato a partire dal carbonato di cobalto (II) e acido cloridrico secondo la reazione:

CoCO3 +2 HCl + 5 H2O → [Co(H2O)6]Cl2 + CO2

Le molecole di acqua presenti nel complesso esaquocobalto (II) possono essere sostituite da ioni cloruro con formazione del complesso tetraclorocobaltato (II) [CoCl4]2- avente colorazione blu e struttura tetraedrica in cui 4 ioni cloruro sono legati ad uno ione cobalto:

tetraclorocobaltato

Per spiegare la diversa colorazione dei due complessi si fa ricorso alla teoria del teoria del campo dei leganti: infatti il colore dei composti di coordinazione dei metalli di transizione è dovuto alle transizioni elettroniche tra i diversi orbitali di tipo d.

L’acqua è un legante a campo forte maggiore rispetto al cloro e quindi produce una maggiore separazione tra i livelli energetici e quindi le differenze di energia tra l’energia dei diversi livelli elettronici sono più piccole nei complessi in cui è presente il cloro con conseguente diversità di colore.

Il complesso esaquocobalto (II) e il tetraclorocobaltato (II) sono in equilibrio tra loro:

[Co(H2O)6]2+  + 4 Cl ⇌ [CoCl4]2- + 6 H2O

Tale reazione di equilibrio ha una variazione di entalpia maggiore di zero quindi il processo è endotermico e la reazione avviene con assorbimento di calore.

Le variazioni di colore che si verificano possono essere previste applicando il Principio di Le Chatelier: ad esempio riscaldando la soluzione l’equilibrio si sposta a destra e quindi la soluzione appare blu; aggiungendo nitrato di argento con conseguente precipitazione del cloruro di argento sottrae ioni cloruro e l’equilibrio si sposta a sinistra e la soluzione appare rosa e aggiungendo HCl la soluzione torna a essere blu.

Il cloruro di cobalto esaidrato reagisce con la piridina in rapporto di 1:4 per dare un complesso ottaedrico di colore rosa secondo la reazione:

CoCl2∙ 6 H2O + 4 C5H5N → CoCl2(C5H5N)4 + 6 H2O

Il cloruro di cobalto forma inoltre con la piridina un complesso in rapporto 1:2; nella sua forma più stabile, a temperatura ambiente il complesso è di colore rosa e presenta una struttura di tipo polimerico con una coordinazione ottaedrica del cobalto:

complesso cobalto piridina

Alla temperatura di 120°C questo complesso in cui il cobalto è di tipo tetraedrico diventa di colore blu

Co(Py)2Cl2

Quando la temperatura ritorna a quella ambiente il complesso ritorna ad essere rosa.

Il cloruro di cobalto, che viene classificato come sostanza sospettata di essere cancerogena, viene utilizzato nelle sintesi organiche e, insieme al solfato di cobalto, per proteggere e indurire metalli tramite l’elettrodeposizione di cobalto.

Il cloruro di cobalto può essere usato nella formulazione di un inchiostro simpatico ovvero di un inchiostro che rimane invisibile finché non viene sottoposto ad un particolare trattamento. Nella fattispecie se si scrive con usando una soluzione di cloruro di cobalto esaidrato il tratto è reso evidente per riscaldamento diventando azzurro.

Serie spettrochimica

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Studi di spettri elettronici eseguiti sui composti di coordinazione in cui sono presenti metalli di transizione hanno permesso di ottenere un elenco sia dei leganti che degli ioni metallici quando danno origine ai complessi in ordine crescente di campo che possono generare.

Si parte dall’assunto che il metallo sia in forma ionica e i leganti si legano ad esso per attrazione elettrostatica: lo ione metallico è costituito da un nucleo circondato da elettroni che nell’ultimo livello si trovano nell’orbitale d, mentre i leganti vengono assunti come cariche negative e puntiformi.

A seconda del numero di elettroni presenti nel catione metallico si verifica un diverso campo elettrostatico dei leganti che si avvicinano ad esso.

Vi sono 5 orbitali degeneri di tipo d: dxy, dxz, dyz, dx2- y2, dz2:

orbitali d

Per gli orbitali dxy, dxz, dyz la massima probabilità di trovare gli elettroni è a 45° rispetto agli assi cartesiani mentre per gli orbitali dx2- y2, dz2 la massima probabilità è lungo gli assi.

Se lo ione è circondato da un campo avente simmetria sferica di cariche negative, a causa dell’effetto repulsivo tra il campo negativo e gli elettroni che occupano l’orbitale d si verifica un aumento dell’energia degli orbitali d nella stessa misura; se invece la simmetria è di tipo ottaedrico quando i leganti si avvicinano allo ione metallico gli elettroni d vengono respinti dalle cariche puntiformi con un effetto destabilizzante che dipende dalla forma del complesso e dalla direzionalità degli orbitali d.

Se i sei legami sono posti nelle direzioni di un sistema di assi cartesiano a causa della loro simmetria gli orbitali

dx2- y2, dz2 puntano direttamente verso i leganti mentre gli altri tre sono diretti tra i leganti in quanto presentano i lobi lungo le bisettrici tra i due assi.

Si verifica quindi una maggiore destabilizzazione degli elettroni che si trovano in dx2- y2 e dz2 rispetto a quelli che si trovano in dxy, dxz, dyz, in quanto la prima coppia punta direttamente verso i leganti verso i quali c’è una maggior repulsione rispetto a quanto si verifica per la seconda coppia.

Il risultato è che gli elettroni d inizialmente degeneri si suddividono in due gruppi: il primo costituito dagli orbitali  dx2- y2, dz2 doppiamente degenere  a energia maggiore (eg) e il secondo tre volte degenere costituito dagli orbitali dxy, dxz, dyz a energia minore (t2g).

Poiché l’energia media degli orbitali si mantiene costante all’innalzamento di energia degli orbitali dx2- y2, dz2 corrisponde un abbassamento di energia degli orbitali dxy, dxz, dyz.

La differenza di energia, detta di separazione del campo dei leganti, che viene in genere indicata con Δ e nel caso di simmetria ottaedrica con Δo costituisce una misura della repulsione elettrostatica tra gli elettroni d dello ione metallico e le cariche puntiformi dei leganti.

I fattori che influenzano il valore di Δ sono:

I  leganti inducono una separazione di campo cristallino diversa e pertanto quelli che provocano un elevato valore di Δ vengono detti leganti a campo forte mentre quelli che provocano un Δ inferiore vengono detti leganti a campo debole.

I leganti vengono quindi classificati in base alla loro capacità di provocare una separazione di campo cristallino secondo una serie detta serie spettrochimica:

serie spettrochimica

Acido cloroaurico

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L’acido tetracloroaurico più noto come acido cloroaurico è un acido monoprotico forte e ha formula HAuCl4 che viene usato tradizionalmente nei processi di raffinazione dell’oro.

Nonostante l’oro sia un metallo scarsamente reattivo stante il suo potenziale normale di riduzione che vale + 1.40 V alla temperatura di 25°C esso viene disciolto in acqua regia in cui all’azione acida di HCl viene associata quella ossidante di HNO3 secondo la reazione:

Au + HNO3 + 4 HCl → HAuCl4 + NO + 2 H2O

con formazione dell’acido cloroaurico che cristallizza sotto forma di cristalli aghiformi di colore giallo-arancio.

Questa reazione fu sfruttata dal chimico ungherese George Charles de Hevesy per sciogliere le medaglie d’oro vinte dai fisici tedeschi Max von Laue e James Franck in occasione del conferimento del Premio Nobel quando essi per salvarle dai nazisti riuscirono a farle recapitare a Niels Bohr in Danimarca.

L’ acido  cloroaurico in soluzione acquosa idrolizza trasformandosi in idrossido di oro (III):
HAuCl4 + 3 H2O → Au(OH)3 + 4 HCl

L’acido cloroaurico può inoltre essere ottenuto:

  • dall’elettrolisi dell’oro in acido cloridrico:

2 Au + 8 HCl →2 HAuCl4 + 3 H2

  • dall’azione del cloro in presenza di HCl

2 Au + 3 Cl2 + 2 HCl → 2 HAuCl4

Questa reazione viene utilizzata per recuperare l’oro da componenti elettronici.

L’acido cloroaurico viene utilizzato per ottenere nanoparticelle d’oro (AuNPs) con diametro da 5 a 400 nm i cui campi di applicazione sono sempre più numerosi sia in campo biomedico come biomarcatori o nei biovetri usati per la ricostruzione delle ossa che in campo industriale come catalizzatori o come sensori colorimetrici.

Le nanoparticelle d’oro vengono sintetizzate con il metodo introdotto a J. Turkevich nel 1951 e successivamente perfezionato da G. Frens. Per la realizzazione di questa reazione una soluzione di acido cloroaurico che è di colore giallo oro viene portata all’ebollizione e successivamente viene fatta reagire con acido citrico C6H8O7 con formazione di acido chetoglucarico C5H6O5 e oro colloidale. Quando la reazione è avvenuta la soluzione diviene di colore rosso vino:

2 HAuCl4 + 3 C6H8O7 → 2 Au + 3 C5H6O5 + 8 HCl + 3 CO2

 

Antocianine

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Le antocianine sono pigmenti idrosolubili appartenenti al gruppo dei flavonoidi che si trovano in molte specie vegetali, alghe e batteri.

Alla presenza delle antocianine si devono le colorazioni rosa, scarlatto, rosso, porpora, violetto e blu che caratterizzano i petali, le foglie e i frutti delle piante.

Le antocianine sono oggetto di studio per le loro potenzialità nell’ambito dell’industria dei coloranti per la vasta gamma di colori, farmaceutica e cosmetica per i loro effetti benefici.

L’uso delle antocianine è limitato dalla loro relativa instabilità e per la loro bassa resa durante l’estrazione che pertanto costituiscono oggetto nell’ambito dello studio dei coloranti naturali in sostituzione di quelli sintetici a cui sono spesso associati effetti indesiderati.

Le antocianine isolate sono altamente instabili e danno in genere luogo a degradazione: la loro instabilità è influenzata da molti fattori quali il pH, la temperatura, la struttura chimica, la concentrazione, la luce, i solventi, la presenza di enzimi, flavonoidi, proteine e ioni metallici.

Le antocianine sono composti poliaromatici poliossidrilati in grado di reagire con gli ossidanti quali l’ossigeno molecolare e i radicali liberi e sono quindi caratterizzate da proprietà antiossidanti e vengono quindi usate per molte patologie quali malattie neurovegetative, cardiovascolari e diabete.

Per le loro proprietà antiossidanti le antocianine proteggono le piante dai danni dovuti alle radiazioni U.V. e per i loro colori attraggono gli insetti provvedendo alla loro riproduzione.

Da un punto di vista chimico le antocianine sono caratterizzate da una struttura di base complessa che prende il nome di catione flavilio costituito da una molecola di benzene fusa con una di pirano a cui è legato un gruppo fenilico; in posizione R/3 e/o in posizione R/4 è presente un gruppo glicosidico come D-glucosio, L-ramnosio, L-arabinosio o D-galattosio.

catione flavilio

In natura sono presenti numerosissime antocianine che si differenziano per il numero di gruppi idrossilati, per la natura e il numero dei glicosidi ad esse legati, per i carbossilati di natura alifatica o aromatica legati allo zucchero e per la posizione dei legami.

Tra le antocianine più conosciute si annoverano:

  • La pelargonidina

pelargonidina

presente nei gerani rossi e, in ambito alimentare, in lamponi, fragole, more, mirtilli, prugne e melograni.

  • La cianidina

cianidina

presente nei frutti rossi ma anche nelle mele, prugne, cavolo rosso e cipolla rossa. Oltre alle caratteristiche antiossidanti secondo recenti studi si ritiene che la cianidina può inibire lo sviluppo dell’obesità, combatte il diabete e ha effetti antinfiammatori.

  • La petunidina

petunidina

presente nei petali di molti fiori ed in particolare nella petunia, nei frutti rossi e in diverse specie di uva

  • La malvidina

malvidina

che ha la caratteristica di assumere una colorazione rossa in soluzioni debolmente acide o neutre ed è responsabile del colore del vino rosso mentre in ambiente basico è di colore blu ed è presente nei petali di molti fiori.

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