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Atrazina

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Molte sostanze chimiche note con la sigla EDC (Endocrine Disrupting Chemicals) sono note per interferire con i sistemi endocrini degli animali.

Esse si accumulano nei tessuti del corpo e sono persistenti nell’ambiente e rinvenibili, anche a concentrazione elevata, anche lontano dai luoghi in cui sono state usate.

Tali sostanze hanno un impatto sul sistema endocrino in quanto agiscono da stimolatori o inibitori dell’attività ormonale determinando alterazioni dei processi riproduttivi e dello sviluppo e quindi rappresentano un rischio per l’uomo tra i quali disturbi della fertilità e alterazioni dello sviluppo endocrino e riproduttivo.

Secondo alcuni studi infatti la diminuzione delle rane nel mondo è imputabile uno di questi composti ovvero l’atrazina che trasformerebbe le rane maschio in ermafroditi, dotati di organi sessuali sia maschili che femminili e con un livello di testosterone inferiore a quello che si misura nelle femmine.

L’atrazina appartiene alla categoria delle clorotriazine il cui nome I.U.P.A.C. è 2-cloro-4-etilammino-6-isopropilammino-1,3,5-triazina e ha struttura

struttura atrazina

L’atrazina fu sintetizzata nei laboratori della Geigy a partire dalla 2,4,6-Tricloro-1,3,5-triazina

2,4,6-Tricloro-1,3,5-triazina

per trattamento dapprima con la etilammina e successivamente con l’isopropilammina.

L’atrazina è un erbicida che agisce con il processo fotosintetico e sebbene in Italia sia vietata fin dal 1992 viene utilizzata in molti paesi come gli USA.

Venne introdotta nel 1958 per il controllo delle erbe infestanti a foglia larga che interferiscono con la crescita nelle del mais, saggina e canna da zucchero e altre colture e, nei paesi dove è ancora diffusa è usata anche per altri scopi come, ad esempio, da diserbante nei campi da golf. Il mais è infatti una delle colture più sensibili alla competizione delle erbe infestanti, specialmente nelle prime fasi di sviluppo e, in presenza di condizioni climatiche sfavorevoli, può subire notevoli ritardi nello sviluppo, con conseguente posticipo della fioritura e perdite di produzione anche molto elevate.

L’utilizzo dell’atrazina porta a un’elevata concentrazione nelle acque sotterranee e nelle acque superficiali anche in zone lontane da quelle di applicazione. L’atrazina rimane infatti per mesi e in taluni casi per anni nel suolo fino a quando migra nelle falde acquifere dove si degrada lentamente

Nonostante sia stata bandita in Italia da molti anni si riscontra che il livello di atrazina nella pianura padana è calato notevolmente nelle acque superficiali ma nelle acque sotterranee e specialmente nei bacini acquiferi profondi non si sono riscontate diminuzioni significative.

Inoltre il divieto è stato aggirato con l’utilizzo di miscele di sostanze contenenti la terbutilzina che, secondo studi effettuati, ha effetti analoghi a quelli dell’atrazina.


PM10

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Il particolato, ovvero quel materiale presente nell’atmosfera in forma di particelle solide o liquide di diverse dimensioni, costituisce l’inquinante a maggior impatto ambientale nelle aree urbane e industriali.

Il PM10 la cui sigla è l’acronimo di Particulate Matter e il numero 10 indica che il diametro delle particelle è inferiore a 10 μm, costituisce una delle frazioni del particolato.

Il  PM10 ha origini naturali ed è costituito da sostanze derivanti dall’ossidazione di biossido di azoto e solfuro di idrogeno originati da attività vulcaniche e incendi boschivi, ossidi di azoto e ammoniaca liberati dal terreno, sostanze terpeniche rilasciate dalla vegetazione.

La gran parte del PM10 presente nell’atmosfera è tuttavia dovuto a fonti antropiche tra cui il traffico veicolare che contribuisce oltre che per i prodotti di scarico del motore anche per l’usura degli pneumatici, dei freni e della frizione, il traffico veicolare, lo smaltimento dei rifiuti, allevamenti, industrie ma soprattutto dai processi di combustione.

Nei mesi invernali in presenza di alta pressione e in assenza di vento e di precipitazioni i livelli di PM10 divengono particolarmente elevati specie nelle aree urbane. Elevata incidenza nella formazione di PM10 è dovuta ai riscaldamenti domestici ed in particolare dalla combustione di legna e pellet.

I danni imputabili al PM10 sono notevoli: i danni provocati da questo tipo di particolato sono enormi infatti viene calcolato che nella sola Europa circa 400000 persone muoiono all’anno.

All’inquinamento da PM10 sono associati effetti dannosi per la salute umana, sia a breve che a lungo termine. Tra gli effetti a breve termine si annoverano aumenti dei ricoveri per asma e patologie polmonari e per malattie cardiovascolari mentre tra gli effetti a lungo termine si riscontra una diminuzione della funzionalità polmonare e, secondo alcuni studi una diminuzione dell’aspettativa di vita.

La composizione del PM10 è diversa a seconda delle fonti antropiche che hanno contribuito alla sua formazione.

Esso è costituito prevalentemente da alcune specie:

  • Ioni inorganici ed in particolare solfati SO42-, ammonio NH4+e nitrati NO3 che si formano a seguito della reazione tra acido solforico e di acido nitrico con l’ammoniaca con formazione di sali quali il nitrato di ammonio NH4NO3 e il solfato di ammonio (NH4)2SO4

I precursori di questi ioni sono i prodotti della combustione di composti contenenti zolfo come carbone e petrolio da cui si formano gli ossidi di zolfo SOx e dalla combustione di combustibili fossili da cui si formano gli ossidi di azoto NOx. L’ammoniaca può derivare sia dalla riduzione degli ossidi di azoto che da allevamenti di bestiame, gas di scarico di autoveicoli e decadimento dei rifiuti.

  • Componente carboniosa che è una delle maggiori componenti del particolato.

Essa è costituita da carbonio organico (OC) presente nei fumi di scarico dei mezzi di trasporto e dagli idrocarburi policiclici aromatici (PHAs) che si formano a seguito di una combustione incompleta o che vengono prodotti a seguito di pirolisi di materiale organico contenente carbonio, come carbone, legno, prodotti petroliferi, rifiuti o durante la cottura di cibi. Vi è inoltre il carbonio elementare (EC) che ha le stesse fonti dei PHAs e il carbonio inorganico (IC) costituito prevalentemente da carbonati.

  • materiale crostale che può presentarsi o associato al pulviscolo atmosferico (Si, Ca, Al) o a elementi in traccia Pb, Zn)

Sono inoltre presenti elementi derivanti dalle fonti più svariate la gran parte dei quali da fonti antropiche come, ad esempio, il selenio proveniente dalle centrali elettriche alimentate a carbone, vanadio, zinco e nichel provenienti da centrali elettriche alimentate a petrolio, cadmio che, insieme allo zinco è usato come additivo per plastiche e gomme, bromo, piombo, rame e zolfo emessi da diverse attività industriali, nichel, vanadio e manganese emessi dai processi di fusione.

Insomma c’è tutta la Tavola Periodica e purtroppo questo tipo di particolato, per le sue piccole dimensioni dopo essere stato inalato penetra nei polmoni fino a giungere negli alveoli polmonari: non c’è da stare troppo allegri…

Reazioni multicomponente

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Le reazioni multicomponente (MCR dall’inglese Multi-component reactions) hanno assunto una grande importanza per i vantaggi che esse offrono nella sintesi di numerosi composti e, in particolare, di numerosi farmaci.

In tali reazioni almeno tre reagenti danno luogo in un solo stadio ad un prodotto di reazione che contiene parti essenziali di tutti i componenti iniziali e ciò comporta il vantaggio di un minor numero di operazioni richieste per la purificazione associato a una frequente resa maggiore.

Lo schema  di una reazione multicomponente è rappresentato in figura:

reazione multicomponente

Le reazioni multicomponente costituiscono una strategia sintetica particolarmente interessante dal momento che forniscono una metodologia facile e veloce per la sintesi di prodotti ad elevata selettività; la caratteristica peculiare di questo tipo di reazioni che dà luogo ad un unico prodotto massimizzando la resa e minimizzando il numero di passaggi è l’elevata purezza dei prodotti e la limitazione di sottoprodotti che in genere si formano durante gli stadi di una reazione che avviene in modo tradizionale.

Le reazioni multicomponente avvengono anche in natura e sembra che l’adenina, uno dei costituenti del RNA e dell’DNA si sia formata dalla condensazione di cinque molecole di cianuro di idrogeno, gas presente nell’atmosfera prebiotica, in cui l’ammoniaca ha giocato il ruolo di catalizzatore mentre le altre basi azotate si sarebbero formate, in modo analogo, dalla reazione tra HCN e H2O.

Il primo contributo allo sviluppo della chimica delle reazioni multicomponente fu dato da Strecker nel 1850 tramite una sintesi per ottenere un α-amminonitrile facendo reagire un’aldeide, l’ammoniaca e il cianuro di idrogeno. L’α-amminonitrile ottenuto viene poi convertito in amminoacido.

Successivamente nel 1882 Hantzsch diede un ulteriore contributo a questo tipo di reazioni con la preparazione di derivati della diidropiridina tramite condensazione di un’aldeide con due equivalenti di un β -chetoestere in presenza di ammoniaca.

Un ulteriore contributo fu dato dal chimico italiano Pietro Biginelli che nel 1891 propose una reazione catalizzata da un acido di Bronsted  o da un acido di Lewis che avviene tra un β-chetoestere, un’aldeide arilica e l’urea  con ottenimento del 3,4-diidropirimidin-2-one noto con l’acronimo di DHPM.

La prima applicazione importante delle reazioni multicomponente nella sintesi di prodotti naturali, dovuta a Robinson che la propose nel 1917 fu la sintesi del tropinone a partire dalla dialdeide succinica, metilammina e 3-ossochetoglutarato

Robinson

Nonostante i vantaggi che questo tipo di reazioni offrivano fu solo nell’ultima decade dello scorso secolo che le reazioni multicomponente furono largamente studiate per le loro applicazioni specie nel campo farmaceutico quando si è compreso che le reazioni multicomponente sono uno strumento esplorativo ideale tramite il quale potevano essere ottenuti molecole strutturalmente diversificate di particolare importanza nell’ambito della chimica moderna

Cianato

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Il cianato è uno ione poliatomico negativo avente formula [OCN] o [NCO] e, per comprenderne la struttura, ci si può avvalere delle formule di Lewis.

Il carbonio che è l’atomo meno elettronegativo viene posto al centro e ad esso vengono legati rispettivamente l’azoto e l’ossigeno tramite legami semplici:

O – C – N

Calcoliamo il numero di elettroni di valenza usando la formula:

numero di elettroni di valenza = numero elettroni totali – (carica dello ione) = 6 + 4 + 5 – (-1) = 16

Gli elettroni coinvolti nella formazione di legami π possono essere calcolati con la seguente formula:

elettroni coinvolti nella formazione di legami π = 6n +2 – numero elettroni di valenza

Dove n è il numero di atomi presenti nella molecola che nel caso in esame sono 3:

elettroni coinvolti nella formazione di legami π = (6 ∙ 3) + 2 – 16 = 4

Ciò implica che è presente un triplo legame e un legame semplice o due doppi legami.

Si ottengono quindi tre possibili strutture:

O=C=N ↔ O ≡C-N ↔ O-C ≡ N

Il numero di elettroni necessari per raggiungere la configurazione di un gas nobile sono pari a 3 x 8 = 24

24 – 16 /2= 4 = numero di doppietti elettronici solitari

Si aggiungono alle possibili strutture 4 doppietti elettronici in modo che ciascun atomo abbia l’ottetto completo e si ottengono le tre strutture limite di risonanza:

risonanza

Per acidificazione di soluzioni contenenti cianato si ottiene l’acido isocianico:
NCO + H+ → HNCO

Il cianato è un legante ambidentato in quanto sono presenti atomi donatori alternativi: l’esistenza del carattere ambidentato genera la possibilità di una isomeria di legame (linkage isomerism), nella quale il medesimo legante si lega tramite atomi diversi.

Il cianato inoltre può fungere da legante a ponte legandosi contemporaneamente a due ioni generalmente metallici.

Il cianato è anche un nucleofilo ambidentato nelle reazioni di sostituzione nucleofila sebbene formi abitualmente alchilisocianati R-NCO e più raramente alchilcianati R-OCN.

Il cianato arilico avente formula C6H5OCN può essere ottenuto dalla reazione tra fenolo C6H5OH e cloruro di cianogeno Cl-C≡N in ambiente basico.

Il cianato è scarsamente tossico se paragonato al cianuro e pertanto ambienti contaminati da cianuro vengono trattati con un forte ossidante come il permanganato per trasformare il cianuro in cianato.

Il cianato più importante dal punto di vista storico è il cianato di ammonio in quanto nel 1828 il chimico tedesco Friedrich Wöhler ottenne l’urea per riscaldamento del cianato di ammonio:

urea

L’importanza di questa sintesi è dovuta al fatto che l’urea è il primo composto organico sintetizzato a partire da un composto inorganico.

Un altro cianato di largo consumo è il cianato di sodio in quanto viene usato come erbicida ma presenta anche un’azione fertilizzante a causa dell’alto contenuto di azoto. Il cianato di sodio viene anche usato come intermedio nella sintesi di pesticidi e coloranti. Dalla reazione del cianato di sodio con ammine possono essere ottenuti derivati dell’urea

derivati urea

Il cianato di potassio ha caratteristiche analoghe al cianato di sodio ma viene a volte preferito ad esso per la maggiore solubilità in acqua e per la possibilità di ottenerlo in forma pura.

Come molti cianati anche il cianato di potassio può essere ottenuto per riscaldamento dell’urea in presenza di carbonato di potassio secondo la reazione:

2 (NH2)2CO + K2CO3 → 2 KOCN + (NH4)2CO3

 

L’elio forma molecole stabili

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I gas nobili le cui prime scoperte risalgono al 1785 sono stati considerati per decenni gas inerti per la loro elevata stabilità chimica.

Tutti i gas nobili, ad eccezione dell’elio hanno configurazione elettronica esterna ns2,np6 ovvero presentano l’ottetto completo e d’altra parte l’elio che ha configurazione elettronica 1s2 presenta il guscio completo.

Solo a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo si è scoperto che alcuni gas nobili ed in particolare lo xeno formavano composti stabili, ma non erano noti composti dell’elio e del neon.

L’elio infatti ha un’affinità elettronica pari a zero e un’energia di ionizzazione più alta di tutti gli elementi il che ha fatto da sempre ritenere che esso, tra tutti i gas nobili, non potesse formare composti.

Secondo quanto pubblicato recentemente dal C&EN l’elio forma un composto stabile sebbene ad elevatissime pressioni e quindi dovranno essere riscritti molti libri di chimica.

Ricercatori di vari paesi, prendendo spunto dal fatto che l’elio potesse formare un composto metastabile HHeF, hanno usato metodi computazionali per poter predire l’esistenza di un composto tra elio e sodio valutandone la stabilità a pressioni elevate.

Da tali ricerche è emerso che il composto Na2He è termodinamicamente stabile a pressioni superiori a 115 GPa ovvero a pressioni di circa un milione di volte superiori a quella dell’atmosfera terrestre.

Gli scienziati hanno usato una cella a incudine di diamante DAC (Diamond anvil cell) dove si possono esercitare pressioni inusitate per poter sintetizzare il composto.

Da caratterizzazioni, avvenute, fra l’altro, tramite diffrazione ai raggi X si è trovato che il composto, che si comporta da isolante, ha una struttura a forma di scacchiera tridimensionale

Na2He

Questo composto che rimane stabile fino a 1000 GPa è un elettride ovvero un tipo di cristallo in cui sono presenti all’interno ioni e elettroni che fungono da anioni. Gli scienziati ritengono che anche il composto Na2HeO sia termodinamicamente stabile anche se non l’hanno ancora sintetizzato.

Questi risultati spingono gli scienziati verso nuove ricerche e inducono quanti coltivano interesse per la Chimica a comprendere che si potranno aprire nuove frontiere e che tanti concetti assunti come dogmi siano destinati a cadere.

Reattivo di Brady

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La 2,4-dinitrofenilidrazina è meglio conosciuta come reattivo di Brady e trova utilizzo nella caratterizzazione del gruppo carbonilico di aldeidi e chetoni.

Il reattivo di Brady ha formula (NO2)2C6H5NHNH2 e struttura:

reattivo di Brady

E’ una sostanza scarsamente solubile in acqua che si presenta allo stato solido di colore rosso-arancio sensibile agli urti; è infiammabile e potenzialmente esplosiva pertanto se ne consiglia l’uso solo quando viene preventivamente bagnata.

Viene sintetizzata a partire dal 2,4-dinitroclorobenzene e dal solfato di idrazina in presenza di acetato di potassio secondo la reazione

reazione

Il solfato di idrazina (N2H6)SO4 è il sale dell’idrazina e dell’acido solforico: l’idrazina infatti è un composto basico che in presenza di acido solforico dà luogo al sale noto anche come solfato di idrazonio.

Per preparare il reattivo di Brady si mettono in un becker  da 400 mL 35 g di solfato di idrazina in 125 mL di acqua calda e aggiungere, mescolando con una bacchetta di vetro, 85 g di acetato di potassio. La soluzione viene fatta bollire per 5 minuti e poi raffreddata a circa 70°C. Vengono aggiunti 75 mL di etanolo e il precipitato formatosi viene filtrato per suzione e lavato con alcol caldo.

La soluzione di idrazina filtrata viene utilizzata successivamente.

In un pallone da 1 L cui è collegato un refrigerante a ricadere vengono posti 50.5 g di 2,4-dinitroclorobenzene disciolti in 250 mL di etanolo. Viene aggiunta la soluzione di idrazina e la miscela viene scaldata a riflusso sotto agitazione per circa un’ora.

Dopo raffreddamento si opera una filtrazione e si lava il precipitato di colore rosso con 50 mL di alcol a 60°C per rimuovere l’alogenuro che non ha reagito e successivamente con 50 mL di acqua calda.

Il reattivo di Brady reagisce rapidamente con il gruppo carbonilico di aldeidi e chetoni tramite una reazione di condensazione: il doppietto elettronico solitario presente sull’azoto del gruppo –NH2 lo rende un forte nucleofilo e la reazione avviene per attacco nucleofilo della 2,4-dinitrofenilidrazina al carbonio carbonilico per dare un precipitato costituito da idrazone.

meccanismo

Se il composto contenente il gruppo carbonilico è alifatico il precipitato è di colore giallo mentre se è aromatico il precipitato è rosso.

La reazione viene descritta come una reazione di condensazione in quanto due molecole si combinano tra loro per dare una molecola con un maggior peso molecolare ed eliminazione di una molecola di acqua. Tale reazione può, tuttavia, essere considerata come una reazione di addizione-eliminazione in quanto avviene l’addizione nucleofila del gruppo –NH2 al carbonio carbonilico seguita dall’allontanamento di una molecola di acqua.

Perossido di benzoile

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Il perossido di benzoile è un perossido organico avente formula C14H10O4 e struttura:

struttura perossido di benzoile

E’ un solido cristallino dal tipico odore di benzaldeide costituito da due gruppi benzoilici legati tra loro da un legame perossidico poco solubile in acqua e in alcol e solubile in cloroformio e etere etilico.

E’ una sostanza largamente utilizzata quale iniziatore radicalico in quanto, sottoposto a riscaldamento a circa 65°C, dà luogo a una scissione omolitica del legame perossidico con formazione di due radicali.

radicale

che perdendo CO2 danno luogo alla formazione di due radicali fenilici. La formazione di radicali costituisce la fase di iniziazione di molte reazioni di tipo radicalico.

Viene quindi usato come iniziatore nei processi di polimerizzazione e copolimerizzazione di stirene, resine viniliche e resine acriliche.

Il perossido di benzoile viene sintetizzato a partire dal cloruro di benzoile in presenza di un perossido come il perossido di sodio o il perossido di idrogeno.

sintesi

Il perossido di benzoile è utilizzato anche come agente sbiancante dei denti, come decolorante per i capelli e per l’imbianchimento delle farine.

Tuttavia l’uso più diffuso del perossido di benzoile è nel trattamento dell’acne; esso infatti è dotato di proprietà antimicrobiche verso numerosi batteri, specialmente il Propionibacterium acnes. Questo batterio, che vive nei follicoli pilo-sebacei e sulla cute di tutti gli esseri umani nei pazienti acneici induce processi infiammatori che portano alla formazione di seborrea, comedoni, papule e pustole.

L’acne è sempre stata curata con terapia antibiotica con effetti indesiderati e possibilità, da parte dei batteri, di diventare resistenti ad essi.

Si è quindi diffuso l’uso del perossido di benzoile in combinazione con altri farmaci per la cura dell’acne.

 

Popcorn

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Il popcorn è uno snack è ottenuto facendo scoppiare i chicchi di mais tramite riscaldamento che viene consumato tipicamente nei cinema durante la proiezione di un film.

I chicchi di mais contengono una certa quantità di acqua pari a circa il 14%; quando vengono riscaldati l’acqua raggiunge la sua temperatura di ebollizione e il vapore formato provoca un aumento graduale di pressione secondo quanto è noto dalle leggi dei gas: infatti a volume costante la pressione è direttamente proporzionale alla temperatura.

Quando la pressione all’interno del chicco diventa molto alta il pericarpo che costituisce il guscio esterno del chicco si rompe con una piccola esplosione liberando all’esterno l’amido bianco che, salato ed eventualmente unto con un poco di burro fuso, viene gustato da adulti e bambini.

I popcorn sono mangiati caldi sono caratterizzati da un aroma particolare e piacevole al punto che viene utilizzato come aroma per le sigarette elettroniche.

Questo aroma è dovuto alla presenza di molte specie tra cui composti aldeidici, derivati della pirazina e della piridina ed in particolare:

  • 2-acetil-1-pirrolina composto presente nel riso basmati, nel pane bianco e in una grande varietà di cereali e prodotti alimentari che si forma con la reazione di Maillard

2-acetil-1-pirrolina

  • (E,E)-2,4-decadienale, aldeide insatura, presente nel burro, nella carne cotta, patatine fritte dal tipico odore di grasso

(E,E)-2,4-decadienale

  • 2-furfuriltiolo dal forte odore di caffè tostato e dal sapore amaro

2-furfuriltiolo

Possono inoltre essere aggiunti altri agenti aromatizzanti come il 2,3-butandione noto come diacetile, dichetone vicinale o il 2,3-pentandione che conferiscono un gusto burroso e ne intensificano il gusto.

Su queste due sostanze ed in particolare sul diacetile presente in alcuni prodotti come margarina, alcune caramelle, vari prodotti da forno, birra e vino chardonnay è ancora aperto un dibattito in quanto parrebbe che possa dare problemi polmonari e sia addirittura collegabile al morbo di Alzheimer.

I popcorn contengono carboidrati, fibre, grassi, proteine, vitamina B1, vitamina B2 e ferro.


Alogenuri alchilici da alcoli

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Gli alcoli possono essere trasformati in alogenuri alchilici per reazione con acidi alogenidrici secondo la reazione generale:

R-OH + HX → R-X + H2O

La reazione può avvenire mediante meccanismo SN1 o SN2 a seconda del tipo di alcol.

Poiché il gruppo –OH è un cattivo gruppo uscente la reazione deve avvenire in ambiente acido con conseguente protonazione del gruppo –OH che diventa –OH2+ che è un buon gruppo uscente.

Pertanto l’ordine di reattività degli acidi è HI > HBr > HCl > HF in quanto HI è l’acido più forte mentre HF è quello più debole.

Gli alcoli terziari reagiscono con meccanismo SN1 in quanto si forma, quale intermedio di reazione, un carbocatione terziario.

Nel primo stadio della reazione, stadio veloce,  avviene la protonazione dell’ossigeno.

Nel secondo stadio che è quello che determina la velocità della reazione, ovvero lo stadio lento, si rompe il legame C-O con fuoriuscita di acqua e formazione del carbocatione.

Nel terzo stadio avviene l’attacco nucleofilo dell’alogenuro al carbocatione con formazione dell’alogenuro alchilico.

alcol terziario

La formazione del carbocatione implica eventuali riarrangiamenti dovuti allo shift 1,2 dello ione idruro per dare il carbocatione più stabile.

Gli alcoli primari invece, dopo la protonazione, reagiscono con meccanismo SN2 secondo il meccanismo indicato in figura

alcol primarioI due meccanismi possono portare a prodotti di reazione diversi nel senso che con un meccanismo SN2 può aver luogo un’inversione di configurazione quando il carbonio legato al gruppo uscente è asimmetrico infatti poiché il gruppo entrante entra in posizione opposta a quella del gruppo uscente il prodotto di reazione presenterà una configurazione dell’atomo di carbonio inversa rispetto a quella di partenza.

Nel caso di reazioni con meccanismo di tipo SN2 lo stato di transizione è costituito dal carbocatione che ha una struttura planare e il sostituente può entrare in una delle posizioni possibili sopra o sotto il piano: se non esistono impedimenti sterici la probabilità delle due posizioni è la stessa e si ha come prodotto finale un racemo

La reazione di alcoli secondari con HX porta ad una miscela di prodotti provenienti da un meccanismo SN1 e SN2 e quindi ai fini pratici non è generalmente un processo utile.

Purezza ottica e eccesso enantiomerico

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Le molecole che presentano un centro chirale sono dette otticamente attive in quanto hanno la capacità di ruotare il piano della luce polarizzata e sono dotate di potere ottico rotatorio determinabile con un polarimetro.

Una coppia di molecole che sono immagini speculari l’una dell’altra e non sovrapponibili sono dette enantiomeri e presentano un potere rotatorio che è uguale in valore assoluto ma di segno opposto per ognuno dei due enantiomeri.

Una miscela 50:50 di due enantiomeri non ruota quindi il piano della luce polarizzata in quanto gli effetti dei due enantiomeri si annullano a vicenda. Una miscela di questo tipo, detta racemo, ha una rotazione specifica pari a zero.

Ad esempio l’(S)-2-bromobutano ha una rotazione specifica di +23.1° quindi l’ (R)-2-bromobutano ha una rotazione specifica di -23.1°. Una miscela 50:50 ha una rotazione specifica pari a zero.

Se la rotazione specifica di una miscela costituita dai due enantiomeri ha una rotazione specifica maggiore di zero ma minore di 23.1° allora essa contiene una quantità di (S)-2-bromobutano maggiore rispetto all’enantiomero R.

Dalla rotazione specifica di una miscela di due enantiomeri si può calcolare la purezza ottica definita come:

purezza ottica = rotazione specifica osservata/ rotazione specifica dell’enantiomero  (1)

Ad esempio se la miscela ha una rotazione specifica di + 9.2° la purezza ottica è data da:

purezza ottica = + 9.2°/ + 23.1° = 0.40

purezza ottica % = rotazione specifica osservata ∙ 100/ rotazione specifica dell’enantiomero = 40%

Ciò implica che la miscela contiene il 40% di un enantiomero in eccesso mentre il 60% è costituito da una miscela racemica.

La miscela, che ha una rotazione specifica positiva di + 9.2°, contiene un eccesso di (S)-2-bromobutano pari al 40%. Il rimanente 60% contiene entrambi gli enantiomeri nella stessa quantità ovvero il 30% di (S)-2-bromobutano e il 30% di (R)-2-bromobutano.

In definitiva nella miscela è quindi contenuto (S)-2-bromobutano in ragione del 40 + 30 = 70% mentre il 30% è costituito da (R)-2-bromobutano.

Un metodo alternativo per descrivere la composizione di una miscela di enantiomeri è dato dall’eccesso enantiomerico definito come la differenza, in valore assoluto, tra le moli di ogni enantiomero presente rispetto al numero totale di moli; a volte le concentrazioni delle specie sostituiscono, nell’espressione le moli. L’eccesso enantiomerico e.e. viene spesso espresso in termini percentuali:

e.e. = | [R] – [S] |∙ 100/ [R] + [S]  (2)

Il valore numerico della purezza ottica è uguale a quello dell’eccesso enantiomerico.

Esercizi

  • La rotazione specifica di un composto X è + 15.2°. Una miscela del composto X e del suo enantiomero ha una rotazione di – 5.1°. Calcolare la composizione % della miscela

L’enantiomero X(+) ha una rotazione specifica di + 15.2°

L’enantiomero X(-) ha una rotazione specifica di – 15.2°

La miscela ha una rotazione di – 5.1° e quindi X(-) è in eccesso

Purezza ottica di X(-) = – 5.1 ∙ 100/- 15.2° = 33.6

Il rimanente 100 – 33.6 = 66.4 % è costituito dal racemo quindi il 66.4/2 = 33.2% è costituito da X(-) e il 33.2% è costituito da X(+)

La miscela è costituita quindi dal 33.6 + 33.2 = 66.8% di X(-)

  • Una soluzione viene preparata con 10.0 mL di una soluzione 0.10 M dell’enantiomero R e 30.0 mL di una soluzione 0.10 M dell’enantiomero S.la soluzione così ottentuta ha una rotazione specifica di + 4.8°. Calcolare il potere ottico rotatorio di ciascun enantiomero

Moli di R = 0.0100 L ∙ 0.10 M = 0.0010

Moli di S = 0.0300 L ∙ 0.10 M = 0.0030

Moli totali = 0.0010 + 0.0030 = 0.0040

0.010 moli di R con 0.010 moli di S formano una miscela racemica e rimangono in eccesso 0.0030 – 0.0010 = 0.0020 moli di S

e.e. = 0.0020 ∙ 100/0.0040 = 50%

Dalla (1) si ha:

0.50 = + 4.8°/rotazione specifica dell’enantiomero

Da cui:

rotazione specifica dell’enantiomero = + 9.6°

L’enantiomero S ha un potere ottico rotatorio di + 9.6° e quello R di – 9.6°

 

Temperature di ebollizione di composti organici

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Le temperature di ebollizione dei composti organici forniscono informazioni relative alle loro proprietà fisiche e alle caratteristiche della loro struttura e costituiscono una delle grandezze che consentono di identificare e caratterizzare un composto.

Un liquido bolle quando la sua tensione di vapore che dipende dall’energia cinetica delle molecole uguaglia la pressione atmosferica. L’energia cinetica dipende dalla temperatura, dalla massa e dalla velocità delle molecole: all’aumentare della temperatura aumenta la velocità delle molecole e quando la temperatura raggiunge la temperatura di ebollizione l’energia cinetica è tale da vincere le forze di attrazione tra le particelle liquide in modo che le molecole che si trovano in superficie possano allontanarsi e trasformarsi in vapore.

La temperatura di ebollizione è quindi un indicatore della volatilità di un composto: quanto maggiore è la temperatura di ebollizione tanto meno è volatile il composto.

Conoscendo il composto si può prevedere la temperatura di ebollizione che dipende, tuttavia, da numerosi fattori.

Consideriamo, ad esempio, questi quattro composti organici contenenti quattro atomi di carbonio:

  • n-butano CH3CH2CH2CH3

Esso non presenta gruppi funzionali è l’unico tipo di legame presente tra le molecole è costituito dalle forze di van der Waals. Pertanto il n-butano ha una temperatura di ebollizione che va da -1 a +1°C

  • etere dietilico CH3CH2OCH2CH3

A causa della polarità del legame C-O sono presenti interazioni dipolo-dipolo e quindi la temperatura di ebollizione è di 35°C

  • 1-butanolo CH3CH2CH2CH2OH

Questo composto, isomero dell’etere dietilico, e quindi con lo stesso peso molecolare presenta una temperatura di ebollizione di 117°C particolarmente elevata se paragonata a quella dell’etere dietilico. Il motivo risiede nella presenza del gruppo funzionale degli alcoli –OH che determina la formazione di legami a ponte di idrogeno

  • Butossido di sodio CH3CH2CH2CH2Ona

Questo composto in cui è presente un legame ionico tra l’ossigeno e il sodio è quello che ha la temperatura di ebollizione maggiore che è infatti maggiore di 260°C

Si può quindi prevedere tra composti che hanno pesi molecolari non troppo diversi il trend delle temperature di ebollizione quindi la N,N-dimetil,etilammina (CH3)2NCH2CH3 in cui sono presenti legami dipolo-dipolo ha una temperatura di ebollizione inferiore ad un suo isomero ovvero la n-butilammina CH3CH2CH2CH2NH2 in cui è presente un legame a idrogeno.

Il propionato di metile CH3CH2COOCH3 in cui sono presenti legami dipolo-dipolo ha una temperatura di ebollizione inferiore all’acido butanoico CH3CH2CH2COOH che è un suo isomero in quanto quest’ultimo forma legami a ponte di idrogeno.

  • Lunghezza della catena

Molecole aventi lo stesso gruppo funzionale hanno temperature di ebollizione crescenti all’aumentare della lunghezza della catena a causa delle maggiori forze di van der Waals: molecole in cui sono presenti più atomi hanno un maggior numero di elettroni il cui movimento, anche istantaneo, genera legami di tipo dipolo indotto-dipolo indotto.

Così se si considera una serie omologa si può prevedere che il metanolo ha una temperatura di ebollizione inferiore a quella dell’etanolo

  • Ramificazioni

All’aumentare della lunghezza della catena carboniosa aumenta l’area superficiale e conseguentemente aumentano le forze di van der Waals e quindi la temperatura di ebollizione di un composto a catena lineare è maggiore rispetto a uno a catena ramificata a parità del numero di atomi di carbonio.

Le ramificazioni, infatti, diminuiscono l’area superficiale delle molecole che sono meno attratte le une alle altre rispetto alle molecole ramificate. Pertanto mentre il n-pentano CH3CH2CH2CH2CH3 ha una temperatura di ebollizione di 36°C, mentre il neopentano (CH3)4C ha una temperatura di ebollizione di 9 °C.

  • Polarità

Una molecola polare costituisce un dipolo permanente quindi tra molecole polari allo stato liquido si formano legami dipolo-dipolo che, dopo il legame a idrogeno, costituiscono i legami più forti tra quelli secondari. Quanto maggiore è la polarità delle molecole tanto maggiore è l’attrazione tra esse e conseguentemente la temperatura di ebollizione

Colori e legami π coniugati

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Il colore è dovuto all’interazione tra radiazione e materia: una sostanza può infatti assorbire tutte le radiazioni della luce visibile e apparire nera, oppure può rifletterle tutte e apparire bianca o, come nei casi più frequenti, assorbire alcune radiazioni e rifletterne altre che si compongono dando luogo al colore risultante.

Le sostanze che appaiono colorate contengono un gruppo cromoforo ovvero un gruppo responsabile del colore.

Gli artisti di ogni tempo e in ogni luogo hanno cercato di comporre i colori per dare un tocco personale alle loro opere ma forse non c’è niente di più bello dei colori della natura.

Il giallo del tuorlo d’uovo, il rosso dei pomodori, l’arancione delle carote sono colori che accompagnano la nostra vita e sono dovuti alla presenza di molecole con determinate caratteristiche perché tutto quello che ci circonda e che costituisce la nostra esistenza è chimica.

Se si confrontino la molecola di luteina dal caratteristico colore giallo

luteina

con quella del licopene dal tipico colore rosso

licopene

e quella del β-carotene di colore arancio

carotene

si nota che sono caratterizzate dalla presenza di molti legami doppi.

La presenza di molti siti di insaturazione non basta, tuttavia, a determinare la colorazione di una specie infatti tra le possibili caratteristiche di un gruppo cromoforo vi è la presenza di doppi legami coniugati.

Composti in cui sono presenti doppi legami coniugati danno infatti transizioni di tipo K ovvero di tipo π→ π*.

In genere nei dieni coniugati lineari la transizione avviene nell’intervallo con lunghezza d’onda λ tra 215 e 230 nm e quindi fuori dal campo della luce visibile.

Quanto maggiore è la delocalizzazione ovvero quanto maggiore è il numero di doppi legami coniugati tanto più alta è la lunghezza d’onda di assorbimento che quindi si sposta nel campo del visibile.

Ad esempio la molecola di β-carotene che contiene 11 doppi legami coniugati assorbe a una lunghezza d’onda di circa 470 nm nella regione dello spettro elettromagnetico del visibile corrispondente al blu e quindi ci appare di color arancio.

Non tutte le sostanze che appaiono colorate presentano doppi legami coniugati ma hanno spesso strutture più complesse come ad esempio la clorofilla caratterizzata dalla presenza di un eterociclo porfirinico, al centro del quale è coordinato uno ione Mg o l’eme formato da un anello porfirinico che lega al centro uno ione Fe2.

 

Sostanze organiche volatili killer in casa

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L’inquinamento è uno dei maggiori problemi della società contemporanea ma generalmente, a meno che non si abiti in luoghi vicini a industrie o a strade particolarmente trafficate, in casa ci si sente sicuri.

Meno dibattuto è infatti l’inquinamento indoor ovvero della presenza di inquinanti chimici in ambienti confinati. Se si pensa che, a meno che non si lavori all’aperto, la gran parte del tempo viene trascorso in casa, uffici, scuole e luoghi di lavoro in genere si dovrebbe considerare i pericoli a cui si viene esposti a causa di questo tipo di inquinamento.

Esso è dovuto principalmente alle sostanze organiche volatili (VOC) ovvero a quelle specie che presentano una elevata tensione di vapore evolvendo verso lo stato aeriforme.

Queste sostanze possono avere effetti nocivi sulla salute in funzione del tempo di esposizione, della loro concentrazione e del tipo di composto.

I prodotti organici, spesso contenenti VOC, sono ampiamente utilizzati nei prodotti che si usano in casa come pitture, vernici, cere, prodotti per la pulizia, deodoranti per ambienti, cosmetici, sgrassanti, colle, prodotti per la cura dei capelli, deodoranti, pesticidi, disinfettanti.

Possono inoltre venire rilasciati da fumo di sigarette, muffe, pavimenti in vinile, moquette, oggetti in legno composito, stampanti e fotocopiatrici.

I VOC possono provocare irritazioni alle vie respiratorie, lacrimazione, nausea, vomito, vertigini, emicrania e asma specie nei bambini, anziani e persone affette da particolari patologie. E’ comunque bene sottolineare che i test clinici sono stati effettuati sui singoli prodotti e non sulla combinazione di diverse sostanze.

Tra le sostanze organiche volatili ve ne sono alcune che in aggiunta alle problematiche che possono provocare sono tossici e potenzialmente cancerogeni.

Liquido volatile incolore dall’odore dolciastro presente nei gas di scarico delle autovetture ed emesso nel fumo di sigaretta, incenso, vernici e colle.

E’ una sostanza classificata come agente cancerogeno di tipo 1 ovvero sicuramente cancerogeno per l’uomo e può provocare leucemia

Liquido volatile dall’odore intenso viene usato come battericida sia per gli ambienti nella produzione di tessuti a livello industriale.

Viene inoltre impiegata in molte resine utilizzate nella produzione di manufatti, rivestimenti e schiume isolanti che tendono nel tempo a rilasciare questo prodotto.

Può provocare il cancro

  • cloruro di metilene

Ottimo solvente altamente volatile viene usato come propellente negli spray, come agente schiumogeno nel poliuretano espanso, nei prodotti per la rimozione di vernici e grasso.

Test effettuati su animali dimostrano che un’esposizione cronica al cloruro di metilene porta a casi di cancro al polmone, fegato e pancreas

  • percloroetilene

Liquido incolore dall’odore di cloro viene usato per sgrassare i metalli e nel lavaggio a secco. Può essere rinvenuto nei capi lavati in lavanderia, nei lucidi da scarpe, negli inchiostri per stampanti e negli adesivi.

Il composto viene considerato come possibile cancerogeno.

Per limitare i danni dei VOC si dovrebbero acquistare alcuni prodotti quali vernici, adesivi e solventi solo quando servono e conservare quello che avanza in luoghi areati o meglio in garage.

Si dovrebbero inoltre leggere con attenzione le etichette dei prodotti a rischio evitando l’acquisto di quelli che contengono VOC. Eventuali lavori di ristrutturazione dell’abitazione andrebbero fatti quando la casa non è occupata; è sempre necessaria una opportuna ventilazione degli ambienti chiusi che andrebbero tenuti a temperature non troppo elevate.

Colla vinilica

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La colla è stata usata dall’uomo fin dai tempi più remoti utilizzando le più svariate sostanze naturali che rispondevano a determinati requisiti. Veniva infatti ottenuta da tessuti di animali come la gelatina o la colla di farina a base di amido.

Per colla si intende una sostanza di origine vegetale, animale o sintetica usata per attaccare sostanze di vario genere.

Attualmente esistono in commercio numerosissimi tipi di colla di origine sintetica a seconda dei materiali che si devono incollare.

Tra le colle maggiormente utilizzate per legno, mobili, compensato, carte da parato, sughero e cartone vi è la cosiddetta colla vinilica o colla bianca che in Italia iniziò a essere messa in commercio agli inizi degli anni ’60 dello scorso secolo riscuotendo un enorme successo al punto da essere denominata colla universale.

La colla vinilica infatti penetra a fondo nelle fibre del legno garantendo un incollaggio resistente nel tempo ma il suo uso è tuttavia sconsigliato per incollare metallo, plastica, vetro, gomma, plexiglass e laminati in quanto materiali non porosi.

Essendo solubile in acqua si può diluire variando viscosità e tempo di essiccazione in modo da ottenere prodotti di consistenza diversa da pastosi a fluidi che consentono la migliore adesione sui diversi materiali da incollare.

La colla vinilica è costituita da una dispersione di polivinilacetato in base acquosa e, stante la presenza di acqua che durante la fase di incollaggio deve evaporare o essere assorbita dal pezzo da incollare i pezzi vengono solitamente posti in pressa o sotto morsa.

Il polivinilacetato è un polimero vinilico di tipo termoplastico ottenuto per polimerizzazione dell’acetato di vinile.

Il monomero viene attualmente sintetizzato in un reattore continuo a letto impaccato (PBR) acronimo di  Packed Bed Reactor dove viene fatta confluire una miscela di etilene, acido acetico e aria. La sintesi avviene secondo la reazione:

2 C2H4 + 2 CH3COOH + O2 → 2 CH3COOCH=CH2 + 2 H2O

in presenza di palladio che agisce da catalizzatore.

Il polivinilacetato, polimero vinilico di tipo termoplastico, viene preparato dall’acetato di vinile tramite una reazione di polimerizzazione radicalica.

polimero

Tra i pregi della colla vinilica vi è innanzitutto l’economicità, la mancanza di tossicità a meno che non venga ingerita, il fissaggio forte e resistente.

Acido acetico

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L’acido etanoico, più noto come acido acetico, caratterizzato dall’odore aspro e dal sapore pungente è il più importante degli acidi carbossilici ed ha formula CH3COOH.

Deve il suo nome all’aceto in cui è contenuto in ragione dal 3 al 5% derivante dal vino a seguito di una reazione di fermentazione.

La fermentazione acetica viene prodotta dalla famiglia di batteri aerobi noti come acetobatteri.

Da un punto di vista chimico si tratta di un’ossidazione biologica dell’alcol etilico ad acido acetico secondo l’equilibrio:

CH3CH2OH + O2 ⇄ CH3COOH + H2O

L’acido acetico è tra i composti che nel corso degli anni è stato sintetizzato nelle maniere più diverse: nel 1869 Berthelot ottenne l’acetaldeide che poi veniva ossidata ad acido acetico per idratazione dell’acetilene in ambiente acido e in presenza dello ione Hg2+ secondo la reazione:

sintesi acido acetico

 

Tra i primi processi industriali nel 1913 fu seguita per la prima volta la strada della carbonilazione del metanolo secondo il processo BASF:

CH3OH + CO → CH3COOH

Tale processo fu ottimizzato negli anni utilizzando diverse condizioni sperimentali e nel 1960 la produzione industriale avveniva con l’uso dello ioduro di cobalto quale catalizzatore mentre nel 1970 il catalizzatore usato dalla Monsanto fu a base di rodio e ioduro.

Fermo restando l’utilizzo con diversi catalizzatori della reazione di carbonilazione del metanolo nel 1997 Showa Denko ha proposto un nuovo processo che prevede l’ossidazione diretta dell’etene ad acetaldeide:

2 CH2=CH2 + O2 →2 CH3CHO

con l’utilizzo di un catalizzatore a base di palladio.

L’acido acetico è un importante reagente sia nel campo della chimica che della chimica industriale per la produzione di polimeri come l’acetato di polivinile mentre nell’industria alimentare è utilizzato come regolatore dell’acidità e come conservante.

Viene usato come coagulante nella fabbricazione della gomma, e per ottenere tinture e profumi.

L’acido acetico glaciale, ovvero l’acido acetico anidro, è un solvente polare protico simile all’etanolo e all’acqua usato nei processi di cristallizzazione per la purificazione di composti. E’ in grado di solubilizzare non solo composti polari quali sali inorganici ma anche composti non polari e elementi come lo zolfo.

L’acido acetico viene utilizzato per l‘ottenimento dell’acido tereftalico da cui si ottiene il polietilentereftalato

L’acido acetico è un acido debole monoprotico che si dissocia secondo l’equilibrio:

CH3COOH ⇌ CH3COO + H+

regolato da una Ka del valore di 1.8 ∙ 10-5.

L’acido acetico tende a dimerizzare formando legami a idrogeno

dimero

Tra le reazioni più importanti vi è quella con il carbonato acido di sodio da cui si ottiene acetato di sodio, biossido di carbonio e acqua:

CH3COOH + NaHCO3 → CH3COONa + CO2 + H2O

L’acido acetico dà le reazioni tipiche degli acidi carbossilici quali la reazione di esterificazione che porta alla formazione di un estere:

CH3COOH + ROH → CH3COOR + H2O

Dalla reazione tra acido acetico e ammina secondaria si ottiene un’ammide:

CH3COOH + R2NH → CH3COONR2 + H2O

Il prodotto di condensazione di due molecole di acido acetico dà luogo alla formazione dell’anidride acetica; nella reazione che avviene a 700-750°C si ha la disidratazione dell’acido acetico con formazione di un chetene:

CH3COOH → CH2=C=O + H2O

La successiva reazione del chetene con un’altra molecola di acido acetico dà luogo alla formazione dell’anidride:

CH3COOH + CH2=C=O → CH3COOCOCH3

L’acido acetico reagisce con il cloruro di tionile per dare il cloruro di acetile secondo la reazione:

CH3COOH + SOCl2 → CH3COCl + HCl + SO2

In ambiente acido l’acido acetico viene ridotto ad etanolo in presenza di litio alluminio idruro

riduzione acido

 


Carbonilazione

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Le reazioni di carbonilazione sono quelle in cui si ottiene un composto carbonilico utilizzando, nella gran parte dei casi il monossido di carbonio.

Le reazioni di carbonilazione vengono utilizzate sia nell’ambito della chimica inorganica per ottenere metallo carbonili ovvero composti di coordinazione costituiti da metalli di transizione e da leganti di monossido di carbonio usati nelle sintesi organiche quali catalizzatori e quali precursori di altri complessi metallorganici che nell’ambito della chimica organica e industriale.

Tipiche combinazioni con il monossido di carbonio sono note per i metalli delle tre serie d (3d, 4d, 5d), nelle quali il metallo centrale è spesso caratterizzato da un guscio d incompleto, cioè da una configurazione elettronica dn con n che va da zero a 10. Esempi di metallo carbonili sono i metallo carbonili neutri della serie 3d: V(CO)6, Cr(CO)6, Mn2(CO)10, Fe(CO)5, Co2(CO)8, Ni(CO)4.

Per quanto riguarda la sintesi dei metallo carbonili, il nichel è il solo metallo che, finemente suddiviso e attivato, reagisce prontamente con CO per dare il corrispondente carbonile Ni(CO)4 in condizioni blande di temperatura e pressione.

Nella maggior parte degli altri casi, per preparare un composto metallocarbonilico si ricorre alla carbonilazione riduttiva in cui un sale, generalmente un cloruro o un ossido contenente il metallo viene trattato con il monossido di carbonio in presenza di un agente riducente costituito, ad esempio da alluminio, sodio o litio alluminio idruro. Un esempio è costituito dalla carbonilazione riduttiva in presenza di alluminio del cloruro di cromo (III):
CrCl3 + Al + 6 CO → AlCl3 + Cr(CO)6

In un tale tipo di reazione il metallo passa dal numero di ossidazione in cui è presente nel sale o nell’ossido a numero di ossidazione zero nel metallo carbonile.

Tra le reazioni organiche di carbonilazione nell’ambito della chimica organica vi è la reazione di idroformilazione delle olefine che consite nell’addizione di un idrogeno  (H- idro) e di un gruppo formil (CHO) ad un alchene. Costituisce un importante processo industriale in quanto porta alla formazione di un nuovo legame carbonio-carbonio convertibile in altri gruppi funzionali ed è uno degli esempi più importanti di catalisi omogenea.  Un esempio è costituito dalla reazione:

CH3-CH=CH2 + H2 + CO → CH3-CH2-CH2-CHO

in cui il propene viene trasformato in butanale.

Un’altra reazione di carbonilazione per la sintesi di acidi carbossilici è la reazione di Reppe la cui principale applicazione è nel processo Monsanto in cui dalla carbonilazione del metanolo si ottiene l’acido acetico:

CH3OH + CO → CH3COOH

Gli acidi carbossilici ramificati possono essere ottenuti sempre per carbonilazione tramite la reazione di Koch che avviene in ambiente acido a partire da un alchene ramificato. La reazione che avviene secondo un meccanismo di tipo carbocationico porta ad un acido carbossilico ramificato. Ad esempio dalla carbonilazione del 2-metilpropene si ottiene l’acido 2,2-dimetilpropanoico:

(CH3)2C=CH2 + CO + H2O → CH3C(CH3)2COOH

La reazione di Pauson-Khand costituisce una carbonilazione che si ha a partire da un alchino, un alchene e monossido di carbonio che dà luogo a una cicloaddizione:

reazione di Pauson-Khand

La reazione di carbonilazione di alogenuri arilici in presenza di palladio quale catalizzatore porta alla formazione di esteri, ammidi, aldeidi e chetoni

alogenuri arilici

 

Acido gallico

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Nelle piante sono presenti un’ampia gamma di composti come alcaloidi, glucosidi, tannini e composti fenolici caratterizzati da attività biologica.

Tra gli acidi fenolici presenti nelle piante si annoverano l’acido caffeico e l’acido ferulico che sono utilizzati quali antiossidanti nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica.

Tra essi vi è l’acido 3,4,5-triidrossibenzoico noto come acido gallico,  acido carbossilico di tipo fenolico che si trova libero o combinato negli esteri, nei derivati della catechina e nei tannini idrolizzabili in molti tipi di piante ed in particolare nell’uva, tè, luppolo e corteccia di quercia.

struttura acido gallico

Dall’idrolisi del tannino idrolizzabile detti gallotannino composto essenzialmente da anelli glucosidici esterificati con acido gallico si ottiene l’acido gallico e il glucosio

Scarsamente solubile in acqua, l’acido gallico è solubile in alcol, etere, acetone e glicerolo ma non in altri solventi organici quali benzene, cloroformio e etere di petrolio.

Sin dall’antichità l’acido gallico veniva utilizzato per molti scopi: un esempio è costituito dall’inchiostro ferrogallico usato per secoli ottenuto mescolando tannino idrolizzabile, solfato di ferro (II) e gomma arabica.

L’acido gallico infatti forma inizialmente un complesso con il ferro (II) che rapidamente si ossida per formare un complesso di ferro (III) che si presenta di colore blu scuro.

Anche le proprietà benefiche dell’acido gallico erano conosciute fin dall’antichità e molti alimenti contenenti acido gallico sono stati usati per secoli quali rimedi naturali per diverse patologie.

Gli Indiani d’America utilizzavano una bevanda al mirtillo, frutto ricco di acido gallico, per le sue proprietà rilassanti e perché si riteneva fosse un depurante del sangue; dalla corteccia di amamelide ottenevano un balsamo ritenuto efficace nella prevenzione di infezioni delle ferite mentre con le foglie di amamelide facevano un tè per il trattamento di raffreddori.

L’acido gallico presenta proprietà antimicotiche, antibatteriche, antivirali, antinfiammatorie oltre che antiossidanti e, secondo alcuni, potrebbe essere indicato nella cura del cancro e del diabete.

La reattività dei polifenoli è determinata dal carattere acido dei gruppi alcolici e dal carattere nucleofilo dell’anello benzenico.

Il sistema aromatico è inoltre in grado di delocalizzare un elettrone spaiato e può donare a l’idrogeno del proprio gruppo fenolico a un radicale con un conseguente effetto antiossidante.

Un eccesso di radicali liberi può essere prodotto dall’organismo per molte cause come stress, patologie metaboliche, stili di vita scorretti, predisposizione genetica, patologie metaboliche rompendo l’equilibrio fisiologico e portando allo stress ossidativo che viene ritenuto associato a moltissime patologie anche gravi.

Per le sue caratteristiche antiossidanti l’acido gallico e i suoi derivati vengono ritenuti non solo benefici ma composti dalle alte potenzialità in campo farmacologico.

Viste le sue proprietà benefiche l’acido gallico è presente sia in integratori alimentari che in integratori vitaminici ma può essere assunto anche attraverso gli alimenti. Particolarmente ricchi di acido gallico sono il vino rosso, molti frutti tra cui le more e le banane, soia, in alcune spezie tra cui origano e maggiorana, nella cicoria  e in molti succhi di frutta a base di melograno, mela e uva.

 

Antiossidanti

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Un elemento chimico subisce una ossidazione quando aumenta il suo numero di ossidazione perdendo elettroni. Tipiche reazioni di ossidazione sono la combustione e la corrosione dei metalli, ossidazione di composti organici, e le ossidazioni biologiche che avvengono negli organismi viventi coinvolgendo spesso processi a più stadi con produzione di energia.

Nel corso dei processi metabolici in cui partecipa l’ossigeno o in seguito a stimoli esterni si formano le specie reattive all’ossigeno ROS acronimo di Reactive Oxygen species tra cui perossidi, superossidi e radicali idrossilici.

I ROS possono inoltre formarsi in seguito a stimoli esterni come stress, esposizione a raggi U.V., fumo di sigaretta, abuso di alcol, esposizioni a radiazioni ionizzanti, stili di vita scorretti, esposizione a sostanze chimiche, eccesso di attività agonistica.

Tra i ROS che possono provocare maggiori danni vi è lo ione superossido che si forma a seguito della riduzione dell’ossigeno che è il precursore di altre specie reattive:
O2 + 1 eO2
Dalla dismutazione del superossido che avviene secondo la reazione:

2 H+ + 2 O2 → H2O2 + O2

Si ottiene il perossido il quale può essere ridotto parzialmente a radicale idrossile secondo la reazione:

H2O2 + e → OH + OH

I radicali liberi, particolarmente reattivi, sono dei killer impietosi del benessere fisico e mentale in quanto sono in grado di danneggiare le cellule.

Essi possono infatti reagire con i doppi legami presenti nei lipidi della membrana cellulare portando alla formazione di perossidi lipidici che, essendo a loro volta reattivi, si propagano danneggiando la membrana cellulare.

I radicali inoltre ossidano i gruppi laterali degli amminoacidi presenti nelle proteine provocandone la degradazione con possibili ripercussioni patologiche.

Il danno maggiore dei radicali liberi è, tuttavia, a carico delle basi azotate presenti nel DNA che ne risulta così modificato con conseguente invecchiamento della cellula e danni al patrimonio genetico e rischio di insorgenza del cancro.

Gli antiossidanti sono specie in grado di contrastare l’azione lesiva dei radicali liberi inibendo o rallentando le reazioni di ossidazione.

In assenza di situazioni particolari l’organismo riesce a controllare l’attività di radicali liberi tramite antiossidanti endogeni sebbene gli antiossidanti possano essere assunti tramite una corretta alimentazione.

Gli antiossidanti vengono classificati come primari, secondari e terziari.

Gli antiossidanti primari prevengono la formazione di radicali liberi o convertendoli in molecole non dannose.

Ad esempio:

  • l’enzima superossido dismutasi catalizza la reazione 2 H+ + 2 O2 → H2O2 + O2
  • l’enzima glutatione perossidasi catalizza la reazione del perossido di idrogeno e dei perossidi lipidici in altre molecole prima della formazione di radicali liberi secondo la reazione 2 glutatione + H2O2 → glutatione disolfuro + H2O
  • l’enzima catalasi catalizza la conversione del perossido di idrogeno in ossigeno e acqua: 2 H2O2→ O2 + 2 H2O
  • proteine come la ferritina e la transferrina che contribuiscono alla difesa fornita dagli antiossidanti chelando i metalli di transizione e, nello specifico il ferro, e prevenendo l’effetto catalitico che questi forniscono alla produzione di radicali liberi.

Gli antiossidanti secondari catturano i radicali liberi prevenendo le tipiche reazioni a catena. Tra essi la vitamina E contenuta negli oli vegetali e in alcuni tipi di frutta secca, la vitamina C contenuta nei vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e agrumi, il β-carotene presente in certe verdure a foglia verde, bietola, spinaci e verza oltre che nelle carote, vitamina A presente nelle verdure a foglia verde in alcuni frutti come ciliegie e prugne.

Gli antiossidanti terziari riparano in modo diretto le molecole danneggiate dai radicali liberi, degradano le molecole ossidate con il mantenimento delle strutture di base non danneggiate e eliminano i prodotti danneggiati in modo irreversibile. Tra gli antiossidanti terziari si annoverano la DNA glicolasi,la perossidasi  e la metionina solfossido reduttasi.

Tannini

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Le piante producono metaboliti primari necessari tra l’altro per la fotosintesi, glicolisi, sintesi di materiale di sostegno, riproduzione cellulare, assorbimento di nutrienti, riproduzione cellulare, sintesi di amminoacidi, proteine, enzimi e coenzimi, duplicazione del materiale genetico.

Contrariamente ai metaboliti primari che sono presenti in tutto il mondo vegetale, le piante producono una vasta gamma di composti, spesso tipici di ogni pianta o di famiglie di piante, detti metaboliti secondari che, pur non avendo una funzione diretta per la crescita e lo sviluppo, la cui funzione riguarda tutte le interazioni chimiche tra la pianta e l’ambiente che le circonda.

Essi infatti proteggono la pianta da erbivori, funghi, batteri e virus e sono  utili nell’attrarre gli impollinatori e gli animali in grado di disperdere i frutti.
I metaboliti secondari vegetali possono essere suddivisi in tre gruppi chimicamente distinti: terpeni, composti contenenti azoto e fenoli .

I tannini sono composti polifenolici presenti prevalentemente nella corteccia di alcune piante come castagno, quercia, abete e acacia che venivano utilizzati già nella preistoria nel trattamento delle pelli degli animali.

Il meccanismo con cui i tannini si legano al collagene presente nella pelle animale per dare la concia è dovuto alla formazione di legami a idrogeno che si stabilisce tra i gruppi fenolici del tannino e i gruppi peptidici del collagene.

I tannini vengono classificati in base alle loro caratteristiche strutturali: poiché molti tannini possono essere frazionati idroliticamente nei loro componenti trattandoli con acqua calda, si è ritenuto classificarli come tannini idrolizzabili mentre i tannini che non presentano questa caratteristica vengono, in contrapposizione detti tannini non idrolizzabili o tannini condensati.

I tannini idrolizzabili sono costituiti da un poliolo, generalmente D-glucosio, i cui gruppi idrossilici sono parzialmente o totalmente esterificati con acido gallico e in tal caso si hanno i gallotannini

gallotannini

o acido ellagico da cui ellagitannini

I tannini idrolizzabili vengono idrolizzati dalle basi o dagli acidi per dare carboidrati e acidi fenolici, in presenza di acqua calda o dell’enzima tannasi appartenente al gruppo delle carbossilesterasi.

I tannini condensati detti anche protoantocianidine sono molto più diffusi dei tannini idrolizzabili e sono costituiti da ripetizioni oligomeriche o polimeriche di unità di flavonoidi connessi tramite legami carbonio-carbonio e quindi non sensibili alla scissione per idrolisi.

I tannini condensati possono contenere da 2 a 50 unità di flavonoidi e nel caso di polimeri da un numero maggiore. I polimeri hanno strutture complesse in quanto le unità costitutiva possono differire a secanda dei sostituenti e dei siti in cui avviene il legame tra le unità monomeriche.

Da un punto di vista chimico sono ripetizioni della catechina e della epicatechina e loro esteri dell’acido gallico.

Il termine protoantocianidine deriva dalla reazione di ossidazione catalizzata dagli acidi da cui si ottengono le antocianidine riscaldando i tannini condensati in una soluzione alcolica acida.

Le antocianidine  sono tra i più importanti gruppi di pigmenti presenti nei vegetali. Nel gruppo delle antocianine rientra infatti la maggior parte di coloranti rosa, scarlatto, lilla, viola e blu presenti nei petali, nei fiori e nei frutti e sono responsabili del gusto astringente della frutta e del vino in quanto fanno precipitare delle proteine dalla saliva facendo sentire il palato ruvido.

Determinazione dei polifenoli nel vino

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I composti polifenolici sono contenuti nella buccia dell’uva e sono presenti nel vino in diversa quantità a seconda del tipo di uva e della tecnica di vinificazione.

Essi influenzano il colore, il gusto e l’odore del vino, conferiscono il gusto astringente, possono portare alla formazione di precipitati oltre ad esercitare un’azione antiossidante.

Infatti sono in grado di catturare i radicali liberi e di chelare i metalli come ferro, rame e manganese che catalizzano la formazione dei radicali dalla decomposizione del perossido di idrogeno.

L’analisi quantitativa dei polifenoli  può essere effettuata con diversi metodi tra cui l’HPLC ma la metodologia adottata nei protocolli ufficiali prevede la determinazione spettrofotometrica tramite il reagente di Folin–Ciocalteu.

Quest’ultimo è costituito da una miscela di fosfomolibdato PMo12O403- e fosfotungstato PW12O403- che in ambiente basico ossida il gruppo –OH contenuto nei polifenoli a gruppo carbonilico riducendosi a una miscela di ossidi di molibdeno Mo8O23 e di tungsteno W8O23 avente una colorazione blu che ha un massimo di assorbimento intorno a 750 nm.

Si procede costruendo la curva di calibrazione utilizzando una soluzione di acido gallico a diverse concentrazioni alcalinizzato con carbonato a cui viene aggiunto il reagente di Folin–Ciocalteu.

Dopo 30 minuti si misura l’assorbanza delle singole soluzioni e si costruisce la retta di taratura riportando in ascissa la concentrazione e in ordinata l’assorbanza.

Si effettua quindi l’analisi dei polifenoli totali nelle stesse condizioni e si misura l’assorbanza.

Dalla retta di taratura, nota l’assorbanza si risale alla concentrazione di polifenoli totali presenti nel vino che viene espressa il g/L di equivalenti di acido gallico.

Il reagente di Folin-Ciocalteu non è tuttavia specifico per i polifenoli essendo in grado di reagire con altre specie riducenti ed infatti viene utilizzato per la determinazione di altre specie come le proteine e composti contenenti azoto.

Recentemente il metodo viene quindi proposto per la misura di un generico potere riducente totale.

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