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Formazione di enoli

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Il gruppo carbonilico è presente in molti composti organici ed ha la caratteristica di poter agire sia da nucleofilo che da elettrofilo: in particolare il carbonio agisce da elettrofilo mentre l’ossigeno agisce da nucleofilo.

Questa peculiarità è dovuta alla elevata differenza di elettronegatività tra carbonio e ossigeno per la quale il legame è polare con una parziale carica positiva localizzata sul carbonio e una parziale carica negativa localizzata sull’ossigeno; il gruppo carbonilico è stabilizzato dalle seguenti strutture di risonanza di cui una a separazione di carica:

risonanza-carbonile

D’altra parte se il gruppo carbonilico ha un carbonio in posizione α e a quest’ultimo sono legati atomi di idrogeno essi vengono detti α-idrogeni che sono idrogeni acidi.

Questi composti pertanto presentano tre siti reattivi come rappresentato in figura:

siti-reattivi

Un chetone con idrogeni in α al carbonile dà luogo alla cosiddetta tautomeria cheto-enolica:

tautomeria

dove per tautomeria si intende quel fenomeno che permette l’esistenza di strutture isomere, in equilibrio tra loro che differiscono per la posizione relativa dei loro atomi e derivano dalla rottura di legami e dalla formazione di nuovi legami. A differenza della risonanza, quindi, si tratta di equilibrio chimico in cui sono presenti la forma chetonica e quella enolica.

La forma chetonica è in genere prevalente rispetto a quella chetonica a meno che il doppio legame C=C  non sia stabilizzato come nel caso dei β-dichetoni

L’enolizzazione può essere catalizzata dagli acidi: nel primo stadio del processo che costituisce lo stadio veloce della reazione viene protonato l’ossigeno del gruppo carbonilico mentre nel secondo stadio che costituisce lo stadio lento l’idrogeno in α viene allontanato dalla base con formazione del doppio legame carbonio carbonio.

acido-catalizzata

L’enolizzazione può essere catalizzata dalle basi: nel primo stadio del processo che costituisce lo stadio lento della reazione stadio l’idrogeno in α viene allontanato dalla base con formazione di un enolato stabilizzato per risonanza. Nel secondo stadio che costituisce lo stadio veloce viene protonato l’ossigeno con formazione dell’enolo

basecatalizzata

che coesiste, a causa dell’ambiente basico, con l’enolato.


Litio diisopropilammide

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Il litio diisopropilammide noto come LDA è una base forte avente formula [(CH3)2CH]2NLi solubile in solventi non polari.

lda

Viene usata nell’ambito delle sintesi organiche per deprotonare gli acidi deboli; stante la sua struttura, dotata di ingombro sterico intorno all’atomo di azoto, il litio diisopropilammide è un debole nucleofilo pertanto viene adoperato per evitare reazioni indesiderate.

Viene ottenuta solubilizzando la diisopropilammina in tetraidrofurano e trattando la soluzione con n-butillitio secondo la reazione acido base con una costante di equilibrio dell’ordine di 1015:

[(CH3)2CH]2NH + CH3(CH2)3Li → [(CH3)2CH]2NLi + CH3(CH2)2CH3

Il litio diisopropilammide, per la sua basicità, viene utilizzato in particolare per spostare a destra l’equilibrio tra chetone e enolato.

Infatti facendo reagire un chetone con α-idrogeni con una base forte come NaOH esso risulterà solo parzialmente enolizzato mentre se viene fatto reagire con LDA il prodotto è costituito essenzialmente da enolo.

Nelle reazioni di enolizzazione il litio diisopropilammide agisce selettivamente nella rimozione del protone: ad esempio nel caso di un chetone come il 3-metil, butan-2-one, l’LDA rimuove l’idrogeno dal carbonio meno sostituito ovvero che ha il maggior numero di atomi di idrogeno:

prodotto meno-sostituito

Un esempio è costituito dal 2-metilcicloesanone:

2metilcicloesanone

Esso presenta due atomi di carbonio in α al carbonile di cui uno è legato a due atomi di idrogeno e l’altro è legato ad uno solo e quindi si possono ottenere due prodotti di reazione a seconda dell’idrogeno che viene allontanato dalla base.

Questo tipo di reazione è regolato da un fattore cinetico e da un fattore termodinamico infatti riportando in grafico l’energia in funzione della coordinata di reazione si formano due intermedi: uno dei due ha un’energia di attivazione minore e si forma più velocemente e il prodotto è detto prodotto cinetico.

L’altro intermedio ha un’energia cinetica maggiore quindi si forma più lentamente e il prodotto, detto prodotto termodinamico ha una maggiore stabilità

coordinata di reazione

Quando il 2-metilcicloesanone viene trattato in ambiente basico si può ottenere il prodotto A che è il prodotto cinetico in quanto l’allontanamento del protone meno impedito avviene in modo più rapido mentre il prodotto B è quello termodinamico che ha una maggiore stabilità in quanto l’enolato formatosi presenta un doppio legame più sostituito.

prodotti

Nel caso della reazione del 2-metilcicloesanone con una base si possono quindi ottenere sia il prodotto A che il prodotto B. 

Il prodotto A costituisce quello ottenuto secondo il controllo cinetico in quanto la base estrae più rapidamente l’idrogeno meno impedito mentre il prodotto B è quello ottenuto secondo il controllo termodinamico che è il più stabile.

In presenza di una base debole come la trietilammina si ottiene circa l’80% di composto B in quanto il prodotto derivante dall’allontanamento dell’idrogeno meno impedito è in equilibrio con il reagente che a sua volta può lentamente essere deprotonato portando al prodotto più stabile.

Viceversa l’utilizzo del litio diisopropilammide porta alla formazione del 99% di prodotto A e dell’ 1% di prodotto B in quanto, essendo una base forte ed impedita stericamente, riesce ad allontanare con più facilità l’idrogeno meno impedito.

prodotto-con-lda

Polimeri acrilici

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I polimeri acrilici sono resine sintetiche ottenute dalla polimerizzazione degli esteri dell’acido acrilico CH2=CHCOOH (acido 2-propenoico), acido metacrilico CH2=C(CH3)COOH  (acido 2-metilpropenoico) o dai loro esteri.

I polimeri acrilici più comuni sono il polimetilacrilato e il polietilacrilato e vengono impiegati per ottenere vernici, rivestimenti superficiali, adesivi e nel settore tessile.

L’acido acrilico o acido 2-propenoico viene ottenuto a partire dall’ossidazione del propene a 2-propenale nota anche come acroleina:

H2C=CH-CH3(g) + O2(g) → H2C=CH-CHO(g)+ H2O(g)

In questo stadio vengono miscelati propene e aria che vengono fatti fluire alla temperatura di circa 380°C sulla silice ricoperta di catalizzatore spesso costituito da una miscela di ossido di bismuto (III) Bi2O3 e ossido di molibdeno (IV) MoO2

Nel secondo stadio della reazione il 2-propenale e l’aria vengono fatte fluire alla temperatura di circa 280°C sulla silice ricoperta di catalizzatore spesso costituito da una miscela di ossido di vanadio (V) V2O5 e e ossido di molibdeno (IV) MoO2 secondo la reazione:

2 H2C=CH-CHO(g)+ O2(g) → 2 H2C=CH-COOH(g)

che dà luogo alla formazione di acido acrilico.

L’acido poliacrilico viene ottenuto per polimerizzazione radicalica usando, come iniziatore un perossido organico. Tale reazione può essere effettuata utilizzando l’acido acrilico puro e quindi in assenza di solvente e pertanto avviene una polimerizzazione in massa oppure, più frequentemente, la polimerizzazione avviene utilizzando una soluzione acquosa di acido acrilico:

acido-poliacrilico

I poliacrilati come ad esempio i polimetilpropanoati vengono attenuti facendo reagire l’acido acrilico con un alcol e, nella fattispecie, metanolo in presenza di un acido come l’acido solforico.

La reazione di esterificazione porta alla formazione del metilpropenoato:

H2C=CH-COOH + CH3OH → H2C=CH-COOCH3 + H2O

La polimerizzazione dell’estere avviene per via radicalica in presenza di un perossido organico quale catalizzatore e, anche in tal caso la polimerizzazione può avvenire in massa o in soluzione:

polipropanoato

in analoghe condizioni, usando due esteri diversi possono essere ottenuti copolimeri.

Dalla copolimerizzazione di acrilato di etile e altri acrilati in presenza di composti contenenti alogeni possono essere ottenuti elastomeri che presentano elevata resistenza a oli e carburanti e mantengono inalterate le loro proprietà fino a 150°C. vengono pertanto utilizzati dall’industria automobilistica per guarnizioni, sistemi di sterzo, trasmissioni automatiche e in generali per applicazioni dove vengono richieste resistenza alle benzine e alle alte temperature.

Questo tipo di elastomeri inoltre rimangono inalterati in presenza di ozono e di luce solare.

Il copolimero etilmetacrilato-metilmetacrilato noto come Paraloid B72 viene utilizzato nel campo del restauro come consolidante se ha basse o come collante se ha concentrazioni maggiori. Permette un’ottima resa impermeabile e ha il vantaggio di essere reversibile e stabile sul lungo periodo.

Il Paraloid B72 viene utilizzato in particolare come consolidante del legno in quanto ne riduce la microporosità conferendo una maggiore compattezza senza alterare i colori naturali grazie alla sua trasparenza.

I colori acrilici sono costituiti da pigmenti dispersi in una resina acrilica e hanno la caratteristica di essere solubili in acqua ma resistenti all’acqua una volta asciugati. L’asciugatura avviene in modo rapido e, tali colori, sono vivi, intensi, dotati di elevato potere coprente, facili da mescolare e di facile stesura.

Fiammiferi

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Il fiammifero il cui nome deriva dal latino che significa portatore di fiamma (da flamma e fero) è un’invenzione relativamente recente che si deve al chimico inglese John Walker che nel tentativo di creare una bomba si accorse, con stupore, che una goccia del composto su cui stava lavorando caduta per caso su un pezzo di legno, dopo essersi seccata, generò una fiamma per sfregamento su una superficie ruvida.

Questa invenzione che ebbe conseguenze rivoluzionarie in quanto tutti potevano disporre in poco spazio di qualcosa che consentiva di accendere un lume o un sigaro non può non riportarci alla favola triste della Piccola fiammiferaia o a rammentare che per la produzione della nuova scoperta furono sfruttati ragazzi e donne che lavoravano senza alcuna sicurezza con sostanze pericolose e tossiche; in particolare il fosforo bianco che causava una terribile malattia chiamata phossy jaw il cui esito è la necrosi della mascella con esiti quasi sempre fatali.

La nascita del fiammifero che era stata salutata come una benedizione per l’umanità si era rivelata come causa di morte per le tante persone, peraltro sottopagate, che lo producevano.

Fu solo intorno al 1855 che il chimico svedese Johan Edvard Lundström sostituì il pericoloso fosforo bianco con il fosforo rosso ottenendo quei fiammiferi noti anche come “svedesi”.

Sebbene gli accendini abbiano spento i fiammiferi essi rimangono sempre utili e testimoni di un’altra scoperta fatta per caso.

Il fiammifero veniva prodotto con legno di pino o di pioppo sormontato da una capocchia contenente fosforo che è altamente combustibile per sfregamento, clorato di potassio che fornisce ossigeno a seguito della sua decomposizione, solfuro di antimonio, colla animale che funge da collante ed eventualmente polvere di vetro per migliorare l’attrito durante lo sfregamento necessario per l’accensione.

La reazione che avviene è la seguente:

28 KClO3(s) + 6 Sb2S3(s) + 3 P4(s) → 28 KCl(s) + 3 P4O10(s) + 6 Sb2O3(s) + 18 SO2(g)

Lo sviluppo dell’anidride solforosa determina l’accensione del fiammifero.

I cosiddetti fiammiferi di sicurezza contengono, oltre al clorato di potassio, il trisolfuro di tetrafosforo che danno luogo alla formazione di anidride solforosa secondo la reazione:

32 KClO3(s) + 6 P4S3(s) → 32 KCl(s) + 6 P4O10(s) + 18 SO2(g)

Il fiammifero che ha illuminato un’epoca si è spento e per strada non viene più chiesto “hai un fiammifero ?” ma “hai da accendere ?”

Resorcinolo

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Il resorcinolo il cui nome I.U.P.A.C. è benzene-1,3-diolo è un solido bianco cristallino che tende a diventare rosa se è impuro quando è esposto alla luce, solubile in acqua, etanolo ed etere avente formula C6H4(OH)2.

Il resorcinolo presenta il fenomeno della tautomeria ed esiste in forma enolica e chetonica

tautomeria

In ragione della forma chetonica presente, il resorcinolo, riduce il reattivo di Tollens e quello di Fehling

Può essere ottenuto dalla distillazione di alcuni tipi di legno o, al livello industriale, dall’acido 1,3-benzen disolfonico in presenza di idrossido di sodio allo stato fuso e successivo trattamento con acido cloridrico

resorcinolo

A causa della presenza di due gruppi –OH  fortemente attivanti legati all’anello benzenico il resorcinolo dà le tipiche reazioni di sostituzione nucleofile dell’anello aromatico.

Reagisce con il bromo per dare il 2,4,6-tribromoresorcinolo e dalla sua nitrazione si ottiene il 2,4,6-trinitrobenzen-1,3-diolo noto come acido stifnico

acido stifnico

usato nella produzione di pigmenti colorati, inchiostri ed esplosivi.

Dalla reazione di condensazione con l’anidride ftalica, in presenza di cloruro di zinco quale catalizzatore, il resorcinolo dà luogo alla formazione della fluoresceina

fluoresceina

che trova utilizzo nella preparazione di coloranti, come indicatore di pH e come mezzo di contrasto in campo oculistico per visualizzare la componente vascolare della retina.

Il resorcinolo viene usato quale antisettico e disinfettante, quale intermedio nella sintesi di prodotti farmaceutici, nella formulazione di collanti per poliammidi, nelle tinture per capelli, shampoo e lozioni per capelli, nei prodotti utilizzati per il trattamento di acne, eczema e altri problemi dermatologici.

Il resorcinolo è un componente utilizzato nel processo di fabbricazione dei pneumatici e di elastomeri.

 

Idrocarburi policiclici e rischi per la salute

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Gli idrocarburi policiclici aromatici (PHAs) sono composti chimici contenenti carbonio e idrogeno la cui caratteristica strutturale è la presenza di due o più anelli benzenici uniti tra loro.

Si formano a seguito di una combustione incompleta o che vengono prodotti a seguito di pirolisi di materiale organico contenente carbonio, come carbone, legno, prodotti petroliferi, rifiuti o durante la cottura di cibi.

Gli idrocarburi policiclici aromatici nei cibi possono formarsi durante la cottura dei cibi al forno, sulla brace, in olio caldo, ma anche durante processi di essiccazione o affumicatura e ne sono stai isolati e caratterizzati oltre cento.

Stante la presenza di doppi legami la loro caratterizzazione viene effettuata tramite spettroscopia di assorbimento atomico UV che riesce a differenziare anche gli isomeri ciascuno dei quali ha uno spettro caratteristico di assorbimento.

Le caratteristiche comuni degli idrocarburi policiclici aromatici sono elevati punti di fusione e di ebollizione, bassa tensione di vapore, bassissima solubilità in acqua che diminuisce all’aumentare del peso molecolare del composto e solubilità in molti solventi organici e nelle sostanze grasse. Essi sono infiammabili, solidi a temperatura ambiente e inodori.

Gli idrocarburi policiclici aromatici vengono rilevati nel fumo di sigaretta e nelle emissioni dei motori e costituiscono degli inquinanti organici persistenti e con lungo tempo di degradazione.

Gli idrocarburi policiclici aromatici più semplici sono antracene e fenantrene sebbene la maggior parte degli studi e sugli effetti nocivi per la salute si siano prevalentemente rivolti al benzo[a]pirene che è una delle prime sostanze di cui si è accertata la cancerogenicità e più frequentemente determinato nelle varie matrici, sia ambientali che alimentari.

benzopirene

Sebbene le carni cotte e i pesci alla griglia siano considerati pericolosi per l’elevata concentrazione di idrocarburi policiclici aromatici, in realtà vi sono molti altri alimenti in cui sono contenuti.

Tali composti presenti nell’aria, infatti, vengono assorbiti dal terreno e le colture di verdura e di frutta possono assorbirli oltre che dall’aria anche dall’acqua o dal suolo. La deposizione di questi composti presenti nell’atmosfera su grano, frutta e verdure, l’assorbimento da suolo contaminato da parte, ad esempio delle patate, l’assorbimento da acque di fiume e di mare contaminate come nel caso di mitili, pesci e crostacei fa sì che anche gli alimenti non trattati termicamente possano contenere gli idrocarburi policiclici aromatici.

Dopo essere stati ingeriti gli idrocarburi policiclici aromatici vengono rapidamente assorbiti e immagazzinati nei vari tessuti soprattutto quelli ricchi di sostanze grasse in cui essi vengono facilmente solubilizzati.

Essi vengono poi ossidati da parte di enzimi con formazione di epossidi e composti ossidrilati che, a loro volta subiscono ulteriori trasformazioni dando luogo alla formazione di intermedi reattivi in grado, tra l’altro di interagire con le molecole biologiche tra cui il DNA danneggiando l’informazione genetica, causando mutazioni e introducendo modificazioni all’interno della sequenza nucleotidica o della struttura del DNA che possono portare all’insorgenza del cancro.

Scarse sono le strategie che l’uomo può adottare per limitare l’assunzione di questi composti evitando ad esempio vegetali provenienti da zone altamente industrializzate dove la concentrazione nell’aria di questi inquinanti è particolarmente elevata quindi la comunità internazionale dovrebbe, anche per questa ragione, imporre drastiche limitazioni alla formazione di queste sostanze.

Sostituzione nucleofila aromatica

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Il benzene dà luogo a reazioni di sostituzione elettrofila aromatica ma non a reazioni di sostituzione nucleofila aromatica.

Anche il bromobenzene non dà, generalmente, reazioni di sostituzione nucleofila aromatica; una tale reazione può verificarsi solo se nell’anello è presente un altro sostituente fortemente elettronattrattore preferibilmente in posizione orto o para tramite un meccanismo di addizione-eliminazione.

Gli alogenuri arilici in cui non è presente un gruppo elettronattrattore infatti tendenzialmente non reagiscono con i nucleofili a meno che la reazione non avvenga in condizioni particolari: la formazione di fenolo a partire da clorobenzene avviene infatti a temperature superiori a 300 K e a pressione di 170 atm.

Se è presente, oltre all’alogeno un gruppo elettronattrattore come il gruppo nitro, la reazione procede e in ambiente basico il 4-cloronitrobenzene dà luogo alla formazione del 4-nitrofenolo per sostituzione dell’alogeno con il gruppo –OH.

4-cloronitrobenzene

La sostituzione nucleofila aromatica avviene con nucleofili forti come –OH, -OR, -NH2, -SR e, in alcuni casi con nucleofili neutri come ammoniaca o ammine primarie.

La reazione avviene in due stadi secondo un meccanismo di addizione-eliminazione e con una cinetica del secondo ordine: nel primo stadio della reazione che costituisce lo stadio lento e che quindi determina la velocità della reazione il nucleofilo si addiziona con formazione di un carbanione stabilizzato per risonanza.

risonanza

Nel secondo stadio che costituisce lo stadio veloce in quanto viene ripristinata l’aromaticità, si ha l’allontanamento del gruppo uscente. La reazione complessiva può essere così rappresentata

formazione del carbanione

L’aumento di sostituenti elettronattrattori aumenta la reattività dell’alogenuro arilico in quanto questi gruppi stabilizzano l’intermedio abbassando l’energia dello stato di transizione.

La reattività dell’alogenuro arilico aumenta all’aumentare dell’elettronegatività dell’alogeno in quanto l’intermedio carbanionico viene stabilizzato per effetto induttivo quindi il fluorobenzene è più reattivo degli altri alogenuri arilici.

Analisi per combustione. Esercizi

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Uno dei metodi classici per determinare la formula empirica dei composti sfrutta la loro combustione: se sono presenti elementi quali carbonio, idrogeno, azoto o zolfo dalla loro combustione si ottengono i rispettivi ossidi che possono essere determinati quantitativamente.

Vengono così determinate le percentuali in massa degli elementi presenti nel composto da cui si può risalire alla formula empirica.

Conoscendo la massa molare del composto ottenibile, ad esempio, sfruttando le proprietà colligative delle soluzioni, si può determinare la formula molecolare.

Vengono qui affrontati esercizi di livello difficile rimandando all’articolo “Formula minima di un composto dall’analisi per combustione” la risoluzione di esercizi di livello più semplice.

Esercizi

  • La combustione di 40.10 g di un composto contenente solo C, H, Cl e O dà luogo alla formazione di 58.57 g di CO2 e 14.98 g di H2si è inoltre determinato che un’altra aliquota di composto avente massa 75.00 g contiene 22.06 g di Cl. Determinare la formula minima

Le moli di CO2 sono pari a 58.57 g /44.01 g/mol=1.331

I grammi di carbonio contenuti nel composto sono 1.331 mol x 12.011 g/mol= 15.99 g

Le moli di acqua sono pari a 14.98 g/18.01 g/mol= 0.8318

Le moli di idrogeno sono quindi 2 x 0.8318= 1.664

I grammi di idrogeno contenuti nel composto sono 1.664 mol x 1.008 g/mol= 1.677 g

La massa di cloro contenuta in 58.57 g è pari a 22.06 x 40.10/75.00 = 11.79 g

Le moli di cloro sono pari a 11.79 g/35.453 g/mol =0.3327

La massa di ossigeno presente nel composto viene calcolata per differenza:

massa di ossigeno = 40.10 – ( 15.99 + 1.677 + 11.79)=10.64 g

Le moli di ossigeno sono quindi pari a:

moli di ossigeno = 10.64 g/15.999 g/mol=0.6652

In definitiva il rapporto molare fra i vari elementi è:

C 1.331

H 1.664

Cl 0.3327

O 0.6652

Per ottenere numeri interi dividiamo per il numero più piccolo che nella fattispecie è 0.3327

C = 1.331/0.3327 = 4

H = 1.664/0.3327 = 5

Cl = 0.3327/0.3327 = 1

O = 0.6652/0.3327 = 2

Pertanto la formula minima del composto è C4H5ClO2

  • Un campione avente massa 2.52 g contiene carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Dopo la sua combustione si sono ottenuti 4.36 g di CO2 e 0.892 g di H2 Da un altro campione di massa 4.14 g si sono ottenuti 2.60 g di SO3 mentre da 5.66 g di campione si sono ottenuti 2.80 g di HNO3. Determinare la formula minima

Le moli di CO2 sono pari a 4.36 g /44.01 g/mol= 0.0991

I grammi di carbonio contenuti nel composto sono 0.0991 mol x 12.011 g/mol= 1.19 g

Le moli di acqua sono pari a 0.892 g/18.01 g/mol= 0.0495

Le moli di idrogeno sono quindi 2 x 0.0495= 0.0990

I grammi di idrogeno contenuti nel composto sono 0.0990 mol x 1.008 g/mol= 0.0998 g

Da un campione di 2.52 g si ottengono 2.60 x 2.52/4.14= 1.58 g di SO3

Moli di SO3= 1.58 g/80.066 g/mol=0.0198 = moli di S

Massa di S = 0.0198 mol x 32.066 g/mol= 0.634 g

Da 2.52 g di campione si ottengono 2.80 x 2.52/5.66 = 1.25 g di HNO3

Moli di HNO3 = 1.25 g /63.01 g/mol=0.0198 = moli di N

Massa di N = 0.0198 mol x 14.0067 g/mol= 0.277 g

La massa di ossigeno presente nel composto viene calcolata per differenza:

massa di ossigeno = 2.52 – (1.19 +0.0998 + 0.634 + 0.277)=0.319  g

Moli di ossigeno = 0.319 g/15.999 g/mol = 0.0199

In definitiva il rapporto molare fra i vari elementi è:

C 0.0991

H 0.0990

S 0.0198

N 0.0198

O 0.0199

Per ottenere numeri interi dividiamo per il numero più piccolo che nella fattispecie è 0.0198

C = 0.0991/0.0198 = 5

H = 0.0990/0.0198 = 5

S = 0.0198/0.0198 = 1

N = 0.0198/0.0198 = 1

O = 0.0199/0.0198 = 1

Pertanto la formula minima del composto è C5H5SNO

  • Dalla combustione di un composto avente massa molare pari a 32.05 g/mol contenente solo azoto e idrogeno si sono ottenuti 9.82 g di NO2 e 3.85 g di H2 determinare la formula minima e la formula molecolare del composto

Le moli di NO2 sono pari a 9.82 g/46.0 g/mol= 0.213 = moli di N

Moli di H2O = 3.85 g/18.01 g/mol =0.213

Moli di H = 0.213 x 2 = 0.426

Il rapporto molare tra i due elementi è

N 0.213

H 0.426

Dividendo per il numero più piccolo

N = 0.213/0.213= 1

H = 0.426/0.213 = 2

La formula minima è quindi NH2 che ha una massa molare di 16.02 g/mol

Dal rapporto tra la massa molare del composto e quello della sua formula minima si ha:

32.05 g/mol/ 16.02 g/mol = 2

La formula molecolare si ottiene moltiplicando per 2 la formula minima che è quindi N2H4


Esercizi di stechiometria

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Prima di affrontare l’equilibrio chimico si studia la stechiometria in cui vengono calcolate le quantità di reagenti o dei prodotti di reazione a partire dalle equazioni chimiche bilanciate.

Sebbene si sia cercato di elaborare metodi generali per la risoluzione di esercizi a partire da bilanciamento delle reazioni, conversioni moli-grammi, utilizzo dei coefficienti stechiometrici per il calcolo delle moli delle altre specie da cui calcolare i grammi, ci si imbatte nella risoluzione di problemi in cui queste generalizzazioni non bastano e occorre lavorare di intuito e di esperienza.

L’unico consiglio che si può dare è quello di esercitarsi molto, di cercare di ragionare e di non demordere mai perché se c’è un problema esso deve poter essere risolto.

Vengono proposti alcuni esercizi che escono dagli schemi tradizionali che occorre risolvere seguendo determinati ragionamenti.

Esercizi

  • Un campione di magnesio avente massa 1.00 g viene trattato con 100 cm3 di HCl 0.123 M. Calcolare il volume di idrogeno raccolto su acqua a 25°C sapendo che a questa temperatura la pressione è di 755 mm Hg e che la pressione del vapore acqueo è di 24 mm Hg.

La reazione bilanciata è

Mg(s) +2 HCl(aq) → MgCl2(aq) + H2(g)

Le moli di magnesio sono pari a:

moli di magnesio = 1.00 g/24.305 g/mol = 0.0411

Il rapporto stechiometrico tra Mg e HCl è di 1:2 quindi le moli di HCl necessarie per far reagire tutto il magnesio sono pari a 0.0411 x 2 = 0.0822

Le moli di HCl disponibili sono pari a 0.100 dm3 x 0.123 M = 0.0123 quindi l’acido cloridrico è il reagente limitante. Le moli di H2 che si ottengono dalla reazione vanno quindi calcolare sul reagente limitante e, tenendo conto che il rapporto tra HCl e H2 è di 2:1 le moli di H2 che si ottengono dalla reazione sono pari a 0.0123/2 = 0.00615

Quando un gas viene raccolto su un liquido volatile come l’acqua è necessario apportare una correzione dovuta alla quantità di vapore acqueo presente con il gas.

Infatti un gas raccolto sopra l’acqua è saturato di vapore acqueo che occupa il volume totale del gas ed esercita una pressione parziale. La pressione parziale del vapore acqueo è determinata per ogni temperatura e deve essere fornita nel testo; essa deve essere sottratta dalla pressione totale del gas per ottenenre la pressione del gas che si sta misurando.

Pressione di H2 = 755-24= 731 mm Hg

Trasformiamo la pressione in atm:

Pressione di H2 = 731/760=0.961 atm

Trasformiamo i gradi centigradi in Kelvin:
T = 25 + 273 = 298 K

Applichiamo l’equazione di stato dei gas ideali:

V = nRT/p = 0.00615 x 0.0821 x 298 K/ 0.961 atm = 0.156 L

  • Una miscela di carbonato di potassio e carbonato di sodio di massa 2.513 g viene sciolta in acqua e il volume della soluzione portato a 250 cm3. Un’aliquota di 25.0 cm3 viene titolata con 19.98 cm3 di HCl 0.212 M. Calcolare la percentuale in massa di carbonato di potassio nella miscela

Le reazioni tra i due carbonati e l’acido cloridrico sono:

K2CO3 + 2 HCl → 2 KCl + H2O + CO2

Na2CO3 + 2 HCl → 2 NaCl + H2O + CO2

Da cui si ha che il rapporto stechiometrico sia del carbonato di potassio che del carbonato di sodio con HCl è di 1:2

Le moli occorse di HCl per titolare i due carbonati sono pari a 0.212 M x 0.01998 dm3= 0.004236

Bisogna notare che l’acido ha titolato 25.0 cm3 di soluzione mentre i due sali erano stati disciolti in 250 cm3 quindi in 25.0 cm3 sono presenti 2.513 x 25.0/250 = 0.2513 g.

Detta x la massa di carbonato di potassio e detta y la massa di carbonato di sodio si ha:

x + y = 0.2513 da cui x = 0.2513-y

Sapendo che il peso molecolare del carbonato di potassio è di 138.205 g/mol mentre quello del carbonato di sodio è di 105.9888 g/mol e tenendo conto del rapporto stechiometrico tra i carbonati e HCl si può scrivere una seconda equazione:

2x/ 138.205 + 2y/105.9888 = 0.004236

Dalla seconda equazione

211.98 x + 276.41 y = 62.05

Sostituendo a x il valore ricavato dalla prima equazione

211.98 (0.2513-y) + 276.41 y = 62.05

64.43 y = 8.78 da cui y = 0.136 g

Ciò implica che in 25.0 cm3 dove vi sono 0.2513 g della miscela vi sono 0.136 g di carbonato di sodio corrispondenti a 0.136 x 100/0.2513 = 54.1% quindi la percentuale di carbonato di potassio è pari a 100-54.1= 45.9%

Ad analogo risultato si perviene se consideriamo che se in 25.0 cm3 contenenti 0.2513 g di miscela vi sono 0.136 g di carbonato di sodio in 250 cm3 in cui sono presenti 2.513 g di miscela ve ne sono 0.136 x 250/25.0= 1.36 g corrispondenti 1.36 x 100/2.513 = 54.1% da cui la percentuale di carbonato di potassio è pari a 45.9%

  • Un idrocarburo gassoso avente volume 9.8 cm3 viene bruciato in presenza di ossigeno. I prodotti della combustione, riportati alla stessa temperatura e pressione iniziali hanno un volume di 73.5 cm3. Dopo aver trattato i prodotti con NaOH concentrato il volume diventa 24.5 cm3. Determinare la formula empirica e molecolare dell’idrocarburo

La reazione generale di combustione di un idrocarburo è

CxHy + 4x+y/4 → x CO2 + y/2 H2O

Il diossido di carbonio prodotto dalla combustione reagisce con NaOH per dare carbonato pertanto il volume di vapore acqueo è di 24.5 cm3 mentre quello di CO2 è pari a 73.5 – 24.5 = 49.0 cm3.

Quindi x = 49.0 mentre y/2 = 24.5 da cui y = 49.0. Ciò implica che x = y quindi la formula minima è CH.

Dal rapporto tra 49.0 e 9.8 che è il volume iniziale dell’idrocarburo si ottiene 5 quindi esso ha formula molecolare C5H5

  • Un campione di massa 0.254 g contenente nitrito di sodio e materiale inerte viene trattato con un eccesso di soluzione di cerio (IV) che si riduce a cerio (III) ossidando il nitrito a nitrato. La soluzione di cerio (IV) aggiunta ha concentrazione 0.122 M e volume 25.00 cm3. L’eccesso di cerio (IV) viene retrotitolato con 13.20 cm3 di soluzione 0.0154 M di ferro (II) che si ossida a ferro (III) riducendo il cerio (IV) a cerio (III). Determinare la percentuale in massa del nitrito di sodio nel campione

La reazione bilanciata tra nitrito e cerio (IV) è la seguente:

2 Ce4+ + NO2 + H2O → 2 Ce3+ + NO3 + 2 H+

Mentre quella tra cerio (IV) e ferro (II) è la seguente:

Ce4+ + Fe2+ → Ce3+ + Fe3+

In questo tipo di esercizi conviene sicuramente partire dalla reazione finale e risalire alla risposta ragionando a ritroso.

Moli di Fe(II) = 0.0154 M x 0.01320 dm3 =0.0002033

Da rapporto stechiometrico tra cerio (IV) e ferro (II) che è di 1:1 si evince che le moli di cerio (IV) titolate dal ferro (II) sono 0.0002033

Le moli totali di cerio (IV) sono pari a 0.122 M x 0.02500 dm3 = 0.003050

Le moli di cerio (IV) che hanno titolato lo ione nitrito sono quindi pari a 0.003050 – 0.0002033 =0.002847

Il rapporto stechiometrico tra cerio (IV) e nitrito è di 2:1 quindi le moli di nitrito sono pari a 0.002847/2 =0.001423

La massa di nitrito di sodio è quindi pari a 68.9953 g/mol x 0.001423 mol= 0.09820 g

La percentuale di nitrito di sodio presente nel campione iniziale è pari a 0.09820 x 100/ 0.254 = 38.7%

Tensione di vapore: abbassamento relativo

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Quando un soluto non volatile viene aggiunto a un solvente la tensione di vapore della soluzione diventa minore rispetto a quella del solvente puro.

L’espressione della tensione di vapore di una soluzione è data dalla legge di Raoult per la quale:

p = p° x1  (1

dove p è la tensione di vapore della soluzione, p° è la tensione di vapore del solvente puro e x1 è la frazione molare del solvente.

L’abbassamento della tensione di vapore Δp è infatti dato da:

Δp = p°-p  (2

L’abbassamento relativo della tensione di vapore viene definito come Δp /p° ovvero p°-p/p° che corrisponde al rapporto tra la diminuzione della tensione di vapore della soluzione rispetto a quella del solvente puro e la tensione di vapore del solvente stesso.

Sostituendo nella (2 il valore di p dalla (1 si ha:

Δp = p°- p° x = p°(1 –x1)  (3

Poiché in un sistema a due componenti la somma delle frazioni molari vale 1 ovvero:

x1 + x2 = 1  (4

essendo x2 la frazione molare del soluto sostituendo al valore 1 presente nella (3 l’espressione (4 si ha:

Δp = p°( x1 + x2 –x1)  = p°x2

Da cui:

Δp/p°= x2

Pertanto l’abbassamento relativo della tensione di vapore dipende solo dalla frazione molare del soluto e pertanto è una proprietà colligativa. Dalla definizione di frazione molare si ha:

Δp/p°= n2/n2+n1

Dove n2 è il numero di moli del soluto e n1 è il numero di moli di solvente. In una soluzione molto diluita in cui n1 >> n2 si può assumere che n2+n1 ≈ n1 quindi

Δp/p°= n2/n1

Poiché il numero di moli è dato dal rapporto tra massa e peso molecolare si ha:

Δp/p°= m2/PM2/ m1/PM1 = m2 PM1/m1PM2  (5

dove m1 e m2 sono rispettivamente la massa di solvente e la massa di soluto e PM1 e PM2 sono rispettivamente i pesi molecolari del solvente e del soluto.

Conoscendo l’abbassamento relativo della tensione di vapore di una soluzione è possibile, come avviene per le altre proprietà colligative ricavare il peso molecolare del soluto.

Esercizi

  • Una soluzione acquosa al 2% m/m di un soluto non volatile ha una tensione di vapore di 1.004 bar alla normale temperatura di ebollizione del solvente. Calcolare il peso molecolare del soluto

Una soluzione al 2% m/m contiene 2 g di soluto in 100 g di soluzione ovvero in 100-2 = 98 g di acqua (PM = 18.01 g/mol)

La tensione di vapore dell’acqua all’ebollizione è di 1 atm ovvero di 1.013 bar

Applicando la (5 si ha:

1.013 – 1.004/1.013 = 2∙18/ 98 ∙ PM2

0.0088 = 0.367/PM2

Da cui PM2 = 0.367/0.0088= 41.74 g/mol

  • La tensione di vapore del benzene a una certa temperatura è di 0.850 bar. Quando 0.5 g di un soluto non volatile viene aggiunto a 39.0 g di benzene (PM = 78 g/mol) la tensione di vapore è di 0.845 bar. Calcolare il peso molecolare del soluto

Applicando la (5 si ha:

0.850-0.845/0.850 = 0.5 ∙ 78/39.0 ∙ PM2

0.0059= 1/PM2

Da cui PM2= 1/0.0059= 169.5 g/mol

 

Reazioni dei radicali liberi

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Per radicale libero si intende una specie che presenta elettroni spaiati nei suoi orbitali ed è pertanto una specie reattiva in quanto tende a reagire con altre specie cedendo o acquistando elettroni.

Una reazione di tal genere è favorita da un punto di vista termodinamico in quanto i prodotti formati hanno una maggiore stabilità dei reagenti. La velocità della reazione che attiene l’aspetto cinetico è tuttavia variabile in quanto vi sono radicali dotati di una particolare stabilità.

Una delle reazioni tipiche dei radicali è la sostituzione radicalica come ad esempio la clorurazione del metano. La reazione è altamente esotermica e, a temperatura ambiente, avviene sotto l’azione di luce U.V.

Nella fase di inizio della reazione si ha la scissione omolitica del più debole ovvero del legame cloro-cloro con formazione di due radicali Cl∙.

Nel secondo stadio della reazione detto di propagazione il cloro radicale rimuove un idrogeno all’alogeno con formazione di un carbonio radicale CH3∙. A questo punto il carbonio radicale può reagire con un cloro radicale per dare CH3Cl. Questa reazione, tuttavia, costituisce la fase di terminazione in quanto non ci sarebbero altri radicali disponibili. Pertanto la fase successiva della propagazione consiste nella reazione tra il carbonio radicale e Cl2 con formazione di clorometano e cloro radicale che consente il proseguimento della reazione a catena.

La fase di terminazione consiste nell’unione di due radicali e formazione di molecole. L’intero processo può essere visualizzato in figura

alcani

Un’altra tipica reazione dei radicali liberi è l’addizione di un acido binario ad un alchene. Se l’alchene è asimmetrico come, ad esempio, l’1-butene esso reagendo con HBr dà luogo alla formazione del 2-bromobutano secondo la regola di Markovnikov.

Un perossido alchilico del tipo R-O-O-R in presenza di luce o di calore dà luogo alla rottura omolitica del legame perossidico con formazione di due radicali RO∙

radicale alcossido

La reazione di RO∙ con HBr dà luogo alla formazione di un alcol ROH e di un radicale Br∙

radicale Br

Il radicale Br∙ si lega al carbonio numero 1 dell’1-butene e non al carbonio numero 2 in quanto in tal modo si forma un radicale secondario al carbonio che è più stabile di un radicale primario che si sarebbe formato se si fosse formato un legame C-Br tra il bromo radicale e il carbonio 2.

Il radicale al carbonio formatosi rimuove un idrogeno da una molecola di HBr  dando il prodotto della reazione che pertanto è di tipo anti-Markovnikov in quanto si forma l’1-bromobutano

radicale al carbonio

Anche questo tipo di reazione, analogamente alla alogenazione di un alcano avviene per stadi in cui l’iniziazione corrisponde alla formazione dei radicali RO∙ e successivamente di Br∙, la propagazione corrisponde alla formazione del radicale al carbonio e la terminazione corrisponde all’accoppiamento di due radicali con ottenimento di una molecola neutra.

Analogo meccanismo a catena avviene nelle polimerizzazioni radicaliche in cui si ha la conversione dei doppi legami presenti nell’unità monomerica in legami saturi.

La polimerizzazione viene condotta, in genere, in presenza di un iniziatore detto anche catalizzatore di polimerizzazione ovvero di un composto capace di fornire radicali in grado di addizionarsi ad una molecola di monomero attraverso la rottura del legame π e con la contemporanea formazione di un altro radicale in grado di addizionarsi ad una molecola di monomero attraverso la rottura del legame π e con la contemporanea formazione di un altro radicale.

Attraverso l’addizione successiva a tale centro attivo di altre unità monomeriche (reazione di propagazione) viene a formarsi una catena polimerica la cui crescita è interrotta (reazione di terminazione) quando il centro attivo formatosi viene distrutto a causa di reazioni diverse che risultano funzione, oltre che della natura del centro attivo, delle particolari condizioni di reazione.

Regola di Markovnikov

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La regola di Markovnikov è una regola empirica formulata dal chimico russo Vladimir Vasilyevich Markovnikov nel 1870 basata sulle sue osservazioni sperimentali che consente di prevedere il prodotto di addizione di alcune reazioni.

Secondo la formulazione più comune la regola di Markovnikov prevede che l’addizione di un acido alogenidrico ad un alchene asimmetrico dà luogo alla formazione di un alogenuro alchilico in cui a seguito della rottura del doppio legame l’idrogeno si addiziona al carbonio che ha più idrogeni del doppio legame e l’alogeno a quello che ne ha meno ovvero la reazione è regioselettiva.

La regola di Markovnikov trova giustificazione nel meccanismo della reazione che avviene in due stadi: nel primo stadio che corrisponde allo stadio lento l’idrogeno si addiziona al doppio legame con formazione di un carbocatione mentre nel secondo stadio l’alogeno si lega al carbocatione.

Se l’alchene è simmetrico come, ad esempio, il 2-butene, si forma un alogenuro alchilico in cui l’alogeno si trova in posizione 2.

Nel caso di un alchene asimmetrico come il propene l’addizione di idrogeno al doppio legame può portare in linea teorica alla formazione di due carbocationi ovvero a un carbocatione primario e a un carbocatione secondario.

Stante la maggiore stabilità del carbocatione secondario rispetto a quella del carbocatione primario sarà il carbocatione primario a formarsi per dar luogo alla formazione dell’alogenuro alchilico in cui l’alogeno si trova in posizione 2.

propene

Un’altra tipica reazione che segue la regola di Markovnikov è l’addizione di acqua ad un alchene.

Tale reazione avviene in ambiente acido e quindi, analogamente a quanto avviene con gli acidi alogenidrici, il primo stadio della reazione comporta l’addizione dell’idrogeno al doppio legame con formazione di un carbocatione.

Il successivo attacco dell’ossigeno dell’acqua dà luogo alla formazione di un intermedio che si deprotona con ottenimento di un alcol. Anche in questo caso, quindi, nell’addizione di acqua ad un alchene asimmetrico l’idrogeno si addiziona al carbonio che ha più idrogeni e l’acqua a quello che ne ha meno

alcol

Nella formulazione più generale la regola di Markovnikov prevede che in una addizione elettrofila ad un alchene l’agente che conduce l’attacco elettrofilo si lega al carbonio che ha più idrogeni.

Questo enunciato giustifica quindi l’idroborazione di un alchene in cui il borano BH3 si addiziona a ad un alchene e alchini per dare un boroalchili, importanti intermedii di sintesi dal quale è possibile preparare numerosi altri composti.

Stante la maggior elettronegatività dell’idrogeno rispetto al boro il legame boro-idrogeno si presenta polarizzato

Bδ+– H δ- in modo inverso rispetto agli acidi alogenidrici. Per tale motivo la reazione ha selettività anti-Markovnikov con il boro che si lega al carbonio meno sostituito e l’idrogeno che si lega al carbonio più sostituito. Tale reazione rispetta quindi la regola di Markovnikov ma dà un prodotto anti-Markovnikov. L’addizione del borano avviene in tre stadi  in maniera concertata e sia il boro che l’idrogeno si legano dalla stessa parte del doppio legame (addizione syn) o anche detta stereospecifica in cis. Il meccanismo di addizione è evidenziato nell’immagine:

idroborazione

Con alcheni asimmetrici come l’1-butene la reazione procede, in base a quanto detto, con formazione del tri-n-butilborano poiché il boro si addiziona al carbonio meno sostituito e la reazione può essere scritta :

3 CH2=CHCH2CH3 + BH3 = (CH3CH2CH2CH2)3B

L’utilità di tale reazione risiede nel fatto che i prodotti hanno grande importanza costituendo intermedi di sintesi: una delle reazioni più importanti degli alchilborocomposti è l’ossidazione con perossido di idrogeno in ambiente basico che porta al corrispondente alcol.

Rappresentazione di una cella elettrochimica

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Una cella, sia galvanica che di elettrolisi, è costituita in generale da una fase liquida capace di condurre corrente elettrica con trasporto di materiali in cui sono immersi due elettrodi collegati a un circuito elettrico esterno che consentono lo scambio di elettroni tra la fase liquida e il circuito esterno.

La fase liquida, contenente elettroliti, è costituita spesso da due soluzioni a diversa composizione qualitativa o quantitativa e in ogni soluzione viene immerso un elettrodo ottenendosi due semicelle.

Le due soluzioni vengono separate in modo che non avvenga il mescolamento e collegate da un ponte salino che garantisce l’elettroneutralità delle soluzioni.

La cella sia basata sul processo redox globale Cd(s) + 2 Fe3+(aq) ⇌ Cd2+(aq) + 2 Fe2+(aq)

Consideriamo i potenziali normali di riduzione:

per la semireazione di riduzione Cd2+ + 2 e → Cd   si ha che E° = – 0.403 V mentre per la semireazione di riduzione Fe3+ + 1 e → Fe2+ si ha che E° = + 0.771 V

Poiché avviene una reazione di ossidoriduzione in cui una specie si ossida e un’altra si riduce la reazione avviene spontaneamente infatti per la semireazione Cd → Cd2+ + 2 e il potenziale normale di ossidazione vale + 0.403 V e quindi il potenziale della cella è dato da + 0.403 + 0.771 = + 1.17 V.

Essendo il potenziale maggiore di zero questa reazione può essere utilizzata per una cella galvanica in cui l’energia chimica viene convertita in energia elettrica. Avvengono quindi le seguenti semireazioni:

polo negativo Cd→ Cd2+ + 2e

polo positivo Fe3+ + 1 e → Fe2+

Una semicella viene realizzata immergendo un elettrodo di cadmio in una soluzione contenente ioni Cd2+ mentre l’altra immergendo un elettrodo di platino in una soluzione contenente ioni Fe2+ e Fe3+.

Per rappresentare una cella si può usare un diagramma che contiene le specie coinvolte nella reazione di ossidoriduzione che contiene le specie coinvolte nella reazione di ossidoriduzione. La superficie di separazione di soluzioni viene simboleggiata da una linea verticale mentre una doppia linea verticale indica la presenza del ponte salino.

Per avere una rappresentazione completa si deve fornire anche l’indicazione della direzione in cui passa la corrente.

Secondo la convenzione internazionale stabilita dalla I.U.P.A.C. a sinistra viene indicata la semicella in cui avviene la semireazione di ossidazione ossia il polo negativo (anodo) mentre a destra viene indicata la semicella in cui ha luogo la semireazione di riduzione ovvero il polo positivo (catodo).

Pertanto la cella descritta viene rappresentata come:

Cd|Cd2+|| Fe2+, Fe3+|Pt

Inoltre devono essere indicate le concentrazioni degli ioni presenti in soluzione.

Per poter rappresentare una cella basta quindi seguire determinati passaggi. Ad esempio si voglia rappresentare la cella costituita da una semicella in cui è presente un elettrodo di rame immerso in una soluzione contenente ioni Cu2+ e da una semicella in cui è presente un elettodo di argento immerso in una soluzione contenente ioni Ag+.

Dai potenziali normali di riduzione si ha che la reazione che avviene spontaneamente è:

2 Ag+(aq) + Cu(s) ⇌ 2 Ag(s) + Cu2+(aq)

Lo ione argento viene quindi ridotto e il rame metallico viene ossidato a ione rame (II).

Le due semireazioni sono:

polo negativo Cu → Cu2+ + 2 e

polo positivo Ag+ + 1 e → Ag

La cella viene quindi rappresentata come:

Cu|Cu2+||Ag+|Ag

Caratteristiche dei gruppi protettori

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Si consideri una molecola organica caratterizzata da due gruppi funzionali diversi che viene fatta reagire con lo scopo di ottenere un determinato prodotto di reazione. Se c’è la possibilità che uno dei due gruppi possa interferire nella reazione è necessario “proteggerlo” onde evitare la formazione di prodotti indesiderati.

Nella progettazione di un processo sintetico, la protezione dei gruppi funzionali all’interno di una molecola polifunzionale gioca quindi un ruolo fondamentale e la scelta di gruppi protettori adatti può influire sull’efficienza e sul successo di alcune sintesi.

Detto FG il gruppo funzionale reattivo presente nella molecola che deve essere protetto e detto PG il gruppo protettore si deve verificare:

R-FG + PG → R-FG-PG

Esso deve essere facilmente reperibile e reagire con facilità ed alte rese in condizioni blande con il gruppo funzionale che deve essere protetto. Il gruppo protettore deve inoltre essere stabile nelle condizioni di reazione e facilmente allontanabile, una volta che la reazione è avvenuta senza interferire con i nuovi gruppi funzionali formatisi.

I gruppi funzionali più reattivi che necessitano di protezione sono:

  • Il gruppo alcolico – OH
  • Il gruppo carbonilico >C=O
  • Il gruppo amminico – NH2

Ad esempio il gruppo alcolico può essere deprotonato da una base rendendolo un buon nucleofilo nelle reazioni di sostituzione, protonato rendendolo un buon gruppo uscente nelle reazioni di sostituzione o di eliminazione, ossidato a gruppo carbonilico o trasformato in un altro gruppo funzionale dando luogo a un alogenuro alchilico.

Molecole polifunzionali come carboidrati, steroidi, nucleosidi, amminoacidi ma anche molecole più semplici coinvolte in normali sequenze sintetiche, richiedono frequentemente la protezione della funzione alcolica.

Viene quindi adottata una strategia per trasformare il gruppo funzionale – OH in R-O-R ovvero in un etere o in un sililetere  R-O-SiR3 composti dotati di elevata stabilità anche in condizioni drastiche sebbene ciò costituisca un punto critico nella fase di deprotezione.

Il gruppo carbonilico, presente in molte molecole organiche, è molto reattivo; esso può subire reazioni di addizione nucleofila, condensazione con specie contenenti il gruppo amminico per dare immine, idrazoni, ossime, addizione con i reattivi di Grignard per dare alcoli e numerosissime altre reazioni.

I metodi per proteggere il gruppo carbonilico differiscono a seconda del tipo di composto in cui esso è contenuto sebbene uno dei metodi più comuni consiste nella sua trasformazione in un acetale, specie stabile e scarsamente reattiva in ambienti da neutri a fortemente basici. Gli acetali, infatti, finché non sono trattati con acidi presentano la scarsa reattività tipica degli eteri.

Un altro metodo per proteggere il gruppo carbonilico consiste nel farlo reazione con un diolo come l’1,2-etandiolo con ottenimento di un chetale ciclico.

Il gruppo –NH2 può subire numerose reazioni infatti con un acido dà luogo alla formazione di sali, in presenza di acidi carbossilici forma un’ammide, in presenza di un alogenuro alchilico dà luogo alla formazione un’alchilammina, mentre in presenza di acido nitroso dà luogo alla formazione di un sale di diazonio che è molto instabile e dà luogo alla formazione di un carbocatione che reagisce con qualunque nucleofilo presente in soluzione pertanto si ottiene una miscela di alcol, alogenuro alchilico e alchene.

Per proteggere il gruppo amminico si usano frequentemente il gruppo tert-butossicarbonil) (Boc)  o il gruppo 9-fluorenilmetossicarbonile (Fmoc); entrambi inibiscono la reattività del gruppo amminico trasformandolo rispettivamente in un’ammide e un derivato di tipo uretanico.

Mandelonitrile

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Il mandelonitrile è un composto organico appartenente alla classe delle cianidrine il cui nome I.U.P.A.C. è 2-idrossi-2-fenilacetonitrile avente formula C8H7NO e struttura

mandelonitrile

E’ presente in natura nei noccioli di alcuni frutti nella forma enantiomerica (R)-(+) e viene usato come intermedio nella sintesi di composti chirali come α-idrossiacidi, α-idrossialdeidi e α-idrossichetoni.

Si trova come aglicone nella struttura dei glucosidi cianogenetici ovvero quella classe di sostanze naturali composte da una parte zuccherina e da una parte non zuccherina detta aglicone che per idrolisi formano acido cianidrico.

E’ un liquido oleoso di colore giallo, insolubile in acqua e miscibile con alcol.

In presenza dell’enzima mandelonitrile liasi viene scisso in acido cianidrico e benzaldeide secondo la reazione C6H5CH(OH)C≡N → C6H5CHO + HC≡N

Il mandelonitrile può essere sintetizzato a partire dalla benzaldeide che viene fatta reagire con un eccesso di solfito acido di sodio concentrato con ottenimento di un prodotto di addizione cristallino che, dopo filtrazione e lavaggio con alcol viene messo in acqua e trattato con un eccesso di cianuro di potassio con ottenimento del mandelonitrile.

sintesi

Per idrolisi acida del mandelonitrile può essere ottenuto l’acido mandelico, α-idrossiacido aromatico il cui nome I.U.P.A.C. è acido 2-fenil-2-idrossiacetico

acido mandelico

secondo il meccanismo generale tramite il quale da una cianidrina si ottiene un acido carbossilico.

L’acido mandelico è stato usato come antibatterico ma attualmente viene utilizzato nel trattamento dell’acne e nei peeling in quanto contrasta l’iperpigmentazione, favorisce il rinnovamento cellulare e, come l’acido glicolico che è anch’esso un α-idrossiacido, ha un effetto esfoliante e aiuta a combattere le rughe.

Rispetto all’acido glicolico e all’acido piruvico che vengono utilizzati nei peeling chimici, l’acido mandelico ha una maggiore capacità di penetrazione e non è fotosensibilizzante.


Deossigenazione di Barton-McCombie

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La deossigenazione di un alcol che consiste nella sostituzione del gruppo –OH con un idrogeno può essere effettuata in due passaggi.

Uno dei metodi utilizzati consiste nella disidratazione dell’alcol e nella successiva idrogenazione dell’alchene formato.

Nella prima reazione l’alcol viene trasformato in un alchene in presenza di un acido che agisce da catalizzatore in modo che si verifichi la protonazione dell’ossigeno. Se l’alcol è terziario o secondario la reazione avviene con un meccanismo E1 infatti si ha la fuoriuscita del gruppo –OH2+ e la formazione del carbocatione.

La cessione si un idrogeno presente in posizione β all’acqua dà luogo alla formazione di un alchene. Nel caso di alcoli primari la disidratazione dell’alcol avviene secondo un meccanismo di tipo E2 stante l’instabilità del carbocatione primario.

La successiva idrogenazione catalitica dell’alchene porta alla formazione dell’alcano.

Questo metodo, così come altri, può essere limitato nella sua applicazione a causa di riarrangiamenti del carbocatione o di reazioni competitive che possono verificarsi in sistemi stericamente impediti.

Un metodo alternativo fu messo a punto nel 1975 dai chimici britannici Barton e McCombie che ha trovato applicazioni anche in altri tipi di sintesi.

La reazione che avviene per via radicalica può essere schematizzata secondo la figura:

Deossigenazione di Barton-McCombie

Nel primo stadio della reazione l’alcol viene convertito in un intermedio tiocarbonilico come un tioestere o uno xantato.

L’altro reagente, l’idruro di tributilstagno, grazie all’azione dell’azobisisobutilonitrile (AIBN) che agisce da iniziatore viene convertito in radicale che allontana il gruppo xantato dando luogo a un radicale alchilico la cui formazione costituisce la specie che determina la propagazione della reazione: il avviene radicale alchilico strappa un idrogeno dall’idruro di tributilstagno per dare il composto deossigenato e un nuovo radicale.

Deossigenazione di Barton-McCombie

L’inconveniente è dovuto all’idruro di tributilstagno che è particolarmente costoso e tossico e alla difficoltà di rimozione dei suoi residui dai prodotti di reazione ed è stato quindi proposto di usare, in sua vece, l’ossido di tributilstagno quale iniziatore radicalico e il polimetilidridosilossano come fonte di idrogeno.

Reazioni organiche in pillole

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Le reazioni organiche sono praticamente infinite ma possono essere classificate in alcune principali tipologie che consentono di orientarsi nella previsione del meccanismo e del prodotto di reazione.

Le reazioni organiche avvengono generalmente con il coinvolgimento del gruppo funzionale presente nella molecola e vengono in genere classificate sulla base del meccanismo di reazione. Vengono riportati i principali tipi di reazione:

  • Reazioni di sostituzione

Nelle reazioni di sostituzione un atomo o un gruppo di atomi viene sostituito da un altro atomo o gruppo di atomi. Le reazioni di sostituzione possono essere:

1.Reazioni di sostituzione nucleofila in cui un nucleofilo si lega a un atomo rimpiazzando un gruppo uscente. Tali reazioni che possono avvenire mediante meccanismo SN1 o SN2 possono essere così rappresentate:

Nu: + RX → R-Nu + X

 

2. Reazioni di sostituzione elettrofila in cui un elettrofilo si lega a un atomo rimpiazzando un atomo che è spesso l’atomo di idrogeno. In particolare le reazioni di sostituzione elettrofila avvengono con il benzene in cui un idrogeno è sostituito da un atomo o da un gruppo di atomi come la nitrazione, l’alogenazione, l’alchilazione e l’acilazione di Friedel-Craft

3. Reazioni di sostituzioni radicaliche in cui la sostituzione avviene per via radicalica. Esempio tipico è l’alogenazione degli alcani

 

  • Reazioni di addizione

Nelle reazioni di addizione vengono aggiunti atomi o gruppi atomici e avvengono tramite rottura di un legame π presente, ad esempio, negli alcheni e negli alchini. Le reazioni di addizione possono essere:

  1. Reazioni di addizione elettrofile in cui un composto insaturo viene rotto un legame π e si formano due legami σ. Il substrato contenente il doppio legame attacca l’elettrofilo E+ con formazione di un carbocatione che, a sua volta, viene attaccato da un nucleofilo. Tipiche reazioni di addizione elettrofila sono l’alogenazione, l’idratazione e l’addizione di un acido alogenidrico ad un alchene.
  2. Reazioni di addizione nucleofile in cui un composto contenente un doppio legame polarizzato viene attaccato da un nucleofilo con rottura del legame π e formazione di legami σ. Tipiche reazioni di addizione nucleofila sono le reazioni di addizione nucleofila al carbonile come la reazione di un’ aldeide con un alcol che porta alla formazione di un acetale
  3. Reazioni di addizione radicaliche in cui la reazione avviene con meccanismo radicalico in presenza di un perossido. Tipiche reazioni di addizione radicalica è l’addizione di un acido alogenidrico ad un alchene in presenza di un perossido che porta alla formazione di un alogenuro alchilico e, se l’alchene è asimmetrico il prodotto è di tipo anti-Markovnikov
  • Reazioni di eliminazione

Nelle reazioni di eliminazione, che possono avvenire con meccanismo E1 e E2 due sostituenti vengono eliminati con formazione di un legame π. Una tipica reazione di eliminazione è la disidratazione di un alcol con formazione di un alchene

Vi sono poi molte altre reazioni come quelle di trasposizione o riarrangiamento in cui una specie subisce una riorganizzazione dei legami per dare un suo isomero e reazioni di ossidoriduzione in cui, ad esempio, un alcol primario viene ossidato ad aldeide o l’ossidazione di un alcol secondario che viene trasformato in chetone.

Acidità degli alcoli

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Gli alcoli sono composti organici caratterizzati dalla presenza del gruppo funzionale –OH legato a un atomo di carbonio.

L’elettronegatività dell’ossigeno è maggiore sia rispetto a quella del carbonio che rispetto a quella dell’ossigeno pertanto sia il legame –C-O- che il legame –O-H sono polari e ciò rende l’atomo di ossigeno particolarmente ricco di elettroni. Gli alcoli sono quindi acidi più forti sia degli alcani che degli eteri in cui pur essendo presente il legame –C-O- non è presente il legame –O-H ma acidi più deboli rispetto all’acqua.

Infatti mentre i valori di pKa degli alcoli sono in genere compresi tra 15 e 20 il valore di pKw dell’acqua è di 10-14.

L’equilibrio acido base di un alcol può essere rappresentato come:

R-OH + OH ⇌ R-O + H2O

essendo R-O  lo ione alcossido , base coniugata dell’alcol.

Il fattore che determina l’acidità di una specie è la stabilità della base coniugata: i due fenomeni che possono stabilizzare la base coniugata sono la stabilizzazione per risonanza e l’effetto induttivo.

Ad esempio il cicloesanolo ha un pKa pari a 16 mentre il fenolo ha un pKa pari a 10. La maggiore acidità del fenolo rispetto al cicloesanolo è dovuta al fatto che, mentre la base coniugata di quest’ultimo non è stabilizzata per risonanza il fenossido che è la base coniugata del fenolo è stabilizzata per risonanza:

fenato

L’altro effetto che stabilizza la base coniugata è l’effetto induttivo definito come lo spostamento permanente di una coppia di elettroni condivisa in una catena di atomi presenti in una molecola verso più l’atomo o il gruppo più elettronegativo che ha come conseguenza la formazione di un dipolo permanente.

La nuvola elettronica di un legame σ tra due atomi diversi e quindi aventi diversa elettronegatività è spostata verso l’atomo più elettronegativo e ciò provoca una polarizzazione del legame in cui l’atomo più elettronegativo ha una parziale carica negativa δ- mentre l’atomo meno elettronegativo ha una parziale carica δ+.

Se si confronta l’acidità dell’etanolo con quella del 2,2,2-trifluoroetanolo possiamo quindi prevedere che quest’ultimo in cui sono presenti 3 atomi di fluoro ha un’acidità maggiore infatti per l’etanolo pKa= 16 mentre per il 2,2,2-trifluoroetanolo pKa = 12.

Il fluoro, infatti, essendo molto elettronegativo, attrae densità di carica elettrica dal carbonio a cui è legato il quale, a sua volta, essendo divenuto povero di elettroni, attrae a sua volta densità di carica elettrica dal carbonio adiacente.

2,2,2-trifluoroetanolo

Il carbonio 2 attrae quindi densità di carica elettrica dall’ossigeno a cui è legato il quale viene così ad avere una minore densità elettronica risultando quindi stabilizzato.

L’acidità di un alcol, nel caso sia presente un elemento elettronegativo o un gruppo elettronattrattore, è influenzata dall’elettronegatività dell’elemento pertanto il 2,2,2-trifluoroetanolo e più acido rispetto al 2,2,2-tricloroetanolo essendo il cloro meno elettronegativo del fluoro.

Un altro fattore è la posizione dell’elemento più elettronegativo infatti l’effetto induttivo decresce all’aumentare della distanza tra l’elemento elettronegativo e il carbonio legato al gruppo –OH. Quindi l’1-fuoropropanolo è più acido rispetto a 2-fluoropropanolo.

L’effetto induttivo è responsabile anche del fatto che gli alcoli primari sono generalmente più acidi rispetto ai secondari che a loro volta sono più acidi rispetto agli alcoli terziari.

Infatti i gruppi alchilici sono gruppi elettrondonatori e hanno un effetto induttivo opposto rispetto agli elettronattrattori.

Ad esempio il carbonio alcolico dell’alcol t-butilico (CH3)3C-OH legato a tre gruppi alchilici ha un’altra densità di carica elettrica e non tende ad attirare verso di sé carica elettrica dall’ossigeno pertanto la base coniugata dell’alcol (CH3)3C-O non è stabilizzata per effetto induttivo.

In fase gassosa, tuttavia, l’ordine di acidità degli alcoli è opposto e quindi l’alcol t-butilico è più acido dell’etanolo.

Questo fenomeno fu evidenziato da Brauman e Blair nel 1968 e fu giustificato dal fatto che l’ordine di acidità degli alcoli in soluzione sia dovuto prevalentemente all’effetto della solvatazione: in soluzione, infatti, gli alcossidi di dimensioni minori come CH3O possano contornarsi di un maggior numero di molecole di acqua rispetto ad alcossidi stericamente più impediti come (CH3)3C-O.

In fase gassosa quando la dimensione dei sostituenti aumenta l’alcol è più acido in quanto la carica negativa può distribuirsi in un volume maggiore diminuendo così la densità di carica e conseguentemente la repulsione Coulombiana.

Acrilammide

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La propenammide più nota come acrilammide è un solido cristallino di colore bianco molto solubile in acqua avente formula C3H5NO e struttura:

acrilammide

E’ una sostanza reattiva e costituisce il monomero in molteplici processi sintetici che avvengono tramite meccanismo radicalico per l’ottenimento di polimeri e copolimeri ed in particolare il gel di poliacrilammide utilizzato nella separazione per separare le proteine per via elettroforetica.

L’acrilammide viene usata come flocculante per purificare le acque di scarico, nell’industria della carta, delle vernici, quale impermeabilizzante e nell’industria tessile.

Viene ottenuta a livello industriale per idratazione dell’acrilonitrile in presenza di catalizzatore rame Raney secondo la reazione:

CH2=C(CH3)CN + H2O → CH2=C(CH3)CONH2

L’acrilammide è classificata come sostanza potenzialmente cancerogena ed è inoltre una neurotossina che può danneggiare le funzioni del sistema nervoso ed è quindi necessario limitare l’esposizione ad elevate quantità di questa sostanza.

L’acrilammide è presente nel fumo delle sigarette e in alcuni alimenti crudi in piccolissime quantità, ma per essere considerata pericolosa secondo l’Enviromental Protection Agency se ne devono assumere 0.002 mg per chilo di peso corporeo al giorno.

E’ stato trovato che l’acrilammide è presente in quantità elevate in alcuni alimenti cotti a temperature superiori a 120°C ed in particolare nelle patatine fritte ma anche nei crackers, nei cereali tostati, nell’orzo e nel caffè solubile. Negli alimenti l’acrilammide si può formare prevalentemente secondo due processi:

  • Interazione tra zuccheri riducenti e amminoacidi in presenza di calore; l’amminoacido che ha la maggiore tendenza a reagire con i gruppi carbonilici degli zuccheri per formare l’acrilammide è l’asparagina
  • Ossidazione dei grassi. Quando i grassi presenti negli alimenti vengono ossidati si formano molecole a tre atomi di carbonio come l’acido acrilico e l’acroleina. In presenza di calore queste specie possono reagire con l’asparagina per formare l’acrilammide.

Il caso emblematico della quantità elevata di acrilammide nelle patatine fritte è dovuto sia alla presenza di zuccheri riducenti contenuti nelle patate che all’ossidazione dei grassi in cui vengono fritte.

Non si deve tuttavia ritenere che alimenti ricchi di asparagina dopo cottura contengono elevate quantità di acrilammide infatti gli asparagi che contengono una quantità elevata di asparagina, dopo cottura, hanno una quantità di acrilammide inferiore a quella delle carote o delle cipolle che contengono una quantità di asparagina notevolmente inferiore a quella degli asparagi.

Per limitare l’assunzione di acrilammide si dovrebbe innanzitutto evitare di mettere le patate in frigorifero, tenere in ammollo le patate crude per 15-30 minuti prima di friggerle, conservare le patate in un luogo fresco e al buio per prevenire la germinazione, evitare di cuocere le patate troppo a lungo ma mangiarle non appena si sono dorate.

Stechiometria e leggi sui gas

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La conoscenza delle leggi dei gas e le loro applicazioni consentono di risolvere i classici problemi di stechiometria che riguardano reazioni chimiche.

Esercizi

  • Una miscela gassosa avente volume pari a 5.0 L in condizioni standard contiene solfuro di idrogeno. Questa miscela viene opportunamente trattata e avviene la reazione: H2S + O2 → S + H2 La massa dello zolfo ottenuto è di 3.2 g. Calcolare il volume percentuale di H2S nella miscela originaria

Le moli di S sono pari a:

moli di S = 3.2 g/32 g/mol = 0.10

Poiché il rapporto stechiometrico tra S e H2S è di 1:1 anche le moli di H2S sono pari a 0.10.

In condizioni standard ( p = 1 atm e T = 273 K) una mole di gas occupa un volume di 22.4 L

Il volume occupato da H2S è pari a V = 0.10 mol (22.4 L/mol) = 2.24 L

Volume % di H2S = 2.24 ∙ 100/5.0= 44.8 %

Poiché i dati presenti nel testo dell’esercizio contengono 2 cifre significative occorre arrotondare 44.8 a due cifre significative e quindi il volume percentuale di H2S è pari al 45%

  • Il solfuro di idrogeno reagisce con il biossido di zolfo secondo la reazione da bilanciare:

H2S + SO2 → S + H2O

Se il solfuro di idrogeno avente un volume di 6.0 L e una pressione di 750 torr reagisce con un eccesso di SO2 e produce 3.2 g di S calcolare la temperatura in °C

La reazione bilanciata è:

2 H2S + SO2 → 3 S +2 H2O

Moli di S = 3.2 g/32 g/mol= 0.10

Il rapporto stechiometrico tra H2S e S è di 2:3

Moli di H2S = 0.10 ∙ 2/3= 0.067

P = 750/760=0.987 atm

Dall’equazione di stato dei gas

T = pV/nR = 0.987 ∙ 6.0/0.067∙ 0.0821 = 1077 K

1077-273= 804 °C

  • Un campione avente massa 3.66 g contenente zinco e magnesio reagiscono in ambiente acido per dare idrogeno gassoso. Calcolare la percentuale di Zn nel campione se si sono ottenuti 47 L di H2 alla pressione di 101.0 kPa alla temperatura di 300 K

Poiché la pressione viene espressa in kPa se non vogliamo convertirla in atm dobbiamo usare la costante universale dei gas R con le dimensioni opportune ovvero R = 8.31 kPa L/molK

Dall’equazione di stato dei gas moli di H2 = pV/RT = 101.0 ∙ 2.47/8.31 ∙ 300 = 0.100

Le reazioni di Zn e di Mg in ambiente acido sono rispettivamente:

Zn + 2 H+ → Zn2+ + H2

Mg + 2 H+ → Mg2+ + H2

Da cui si osserva che sia il rapporto tra Zn e H2 che il rapporto tra Mg e H2 è di 1:1

Detta x la massa di Zn (peso atomico = 65.4 u) e detta y la massa di Mg (peso atomico = 24.3 u) si ha:

x + y = 3.66 da cui y = 3.66-x

Le moli di Zn sono esprimibili come x/65.4  e le moli di Mg sono esprimibili come y/24.3 e quindi:

x/65.4 + y/24.3 = 0.100

moltiplicando ambo i membri per 24.3 e 65.4 si ha:

24.3 x + 65.4 y = 158.9

Sostituendo a y il valore 3.66-x si ottiene:

24.3 x + 65.4(3.66-x) = 158.9

24.3 x + 239.4 – 65.4 x = 158.9

41.1 x = 80.5

Da cui x = 1.96 g

La percentuale di Zn è quindi pari a 1.96 x 100/3.66= 53.6 %

  • Un campione avente massa 2.00 g contenente sodio e calcio viene fatto reagire con acqua. Dalla reazione si ottengono 1.164 L di H2 misurati alla pressione di 100.0 kPa e alla temperatura di 300 K. Determinare la percentuale di sodio contenuta nel campione

Poiché la pressione viene espressa in kPa se non vogliamo convertirla in atm dobbiamo usare la costante universale dei gas R con le dimensioni opportune ovvero R = 8.31 kPa L/molK

Dall’equazione di stato dei gas moli di H2 = pV/RT = 100.0 ∙ 1.164/8.31 ∙ 300= 0.0467

Le reazioni di Na e di Ca con l’acqua sono rispettivamente:

2 Na + 2 H2O → 2 NaOH + H2

Ca + H2O → Ca(OH)2 + H2

Detta x la massa di Na (peso atomico = 23) e detta y la massa di Ca (peso atomico = 40.1) si ha:

x + y = 2.00 da cui y = 2.00 –x

Le moli di Na sono esprimibili come x/23 e le moli di y sono esprimibili come y/40.1. Nel caso della reazione tra calcio e acqua il rapporto stechiometrico tra Ca e H2 è di 1:1 mentre nel caso della reazione tra Na e H2 il rapporto è di 2:1 quindi moli di Na = x/2 ∙23

Abbiamo quindi

x/2 ∙23 + y/40.1 = 0.0467

x/46 + y/40.1 = 0.0467

moltiplicando ambo i membri per 46 e per 40.1 si ha

40.1 x + 46 y = 86.1

Sostituendo a y il valore 2.00-x si ha

40.1 x + 46 (2.00-x) = 86.1

40.1 x + 92 – 46 x = 86.1

5.9 x  = 5.9

Da cui x = 1.00 g

% Na = 1.00 x 100/2.00 = 50.0

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