Quantcast
Channel: Chimica – Chimicamo
Viewing all 1534 articles
Browse latest View live

Reazioni di omologazione

$
0
0

Le reazioni di omologazione sono quelle in cui da una specie appartenente a una determinata classe di composti si ottiene l’omologo superiore con l’allungamento della catena carboniosa di un atomo di carbonio adiacente al gruppo funzionale secondo la reazione generale:

R-X → R-CH2-X

In genere nelle reazioni di omologazione si aumenta di una unità il numero di gruppi metilenici presenti nella molecola di partenza.

Vi sono tuttavia reazioni di omologazione in cui la catena carboniosa può essere aumentata anche di un maggior numero di atomi di carbonio.

Di grande interesse sono le reazioni di omologazione di alcoli a basso peso molecolare come metanolo, etanolo, n-propanolo o glicole etilenico che danno luogo alla formazione di alcoli lineari.

L’atomo di carbonio introdotto trae origine dal syngas detto anche gas di sintesi costituito da una miscela di monossido di carbonio e idrogeno.

Oltre agli alcoli possono dare reazioni di omologazione anche eteri, esteri, acidi carbossilici, aldeidi e chetoni.

La reazione di omologazione degli alcoli è la seguente:

R-OH + CO +2 H2 → R-CH2-OH + H2O

In cui R può essere un gruppo alchilico, fenilico o cicloalchilico.

I catalizzatori usati nella reazione sono metalli di transizione che possono formare metallo carbonili ed in particolare il cobalto e rutenio sebbene trovino utilizzo metalli come rodio, palladio, platino, osmio, iridio, cromo, ferro, manganese e nichel.

Se la reazione avviene in presenza di rutenio o ferro si forma biossido di carbonio e non acqua:

R-OH + 2 CO +  H2 → R-CH2-OH + CO2

Un’altra reazione di omologazione è quella del metano per dare l’etano. Tale reazione risulta particolarmente difficile in quanto il metano è una specie stabile da un punto di vista termodinamico con una configurazione elettronica simile a quella dei gas nobili.

L’energia di legame carbonio-idrogeno, la mancanza di gruppi funzionali, di momenti magnetici e di distorsioni polari rendono necessaria una attivazione del metano che viene attuata mediante l’uso di opportuni catalizzatori costituiti da soluzioni di composti di coordinazione di metalli di transizione come [Fe(NH3)6]3+, [Co(NH3)6]3+, [Ni(NH3)4]2+, [Pd(NH3)4]2+ e [Pt(NH3)4]2+.

Tra le reazioni di omologazione vengono, tra l’altro, menzionate:

1) La reazione di Büchner–Curtius–Schlotterbeck tramite la quale si ottiene un’espansione dell’anello in un chetone ciclico che viene fatto reagire con il diazometano:

diazometano

2) La sintesi di Kiliani–Fischer che costituisce un metodo di ottenimento dei monosaccaridi; la reazione prevede l’addizione nucleofila di un gruppo cianuro al carbonio carbonilico di un aldoso con formazione di una cianidrina che viene idrolizzata in ambiente basico.

Il prodotto della reazione che procede attraverso un intermedio costituito da un lattone è un aldoso con un atomo di carbonio in più

kiliani-fischer

3) La reazione di Arndt–Eistert tramite la quale un acido carbossilico viene trasformato nel suo omologo superiore e costituisce un metodo per trasformare un α-amminoacido in un β-amminoacido.

L’acido carbossilico, in presenza di cloruro di tionile viene trasformato nel più reattivo alogenuro acilico.

Quest’ultimo reagisce con il diazometano per dare un diazochetone.

L’allontanamento di N2 dal diazochetone porta alla formazione di un carbene che si riarrangia a chetene. Quest’ultimo reagisce con l’acqua per dare un acido carbossilico contenente un atomo di carbonio in più rispetto all’acido di partenza.

arndt-eistert


Rutenio

$
0
0

Il rutenio è un metallo del blocco d appartenente al Gruppo 8 e al 5° periodo della Tavola Periodica avente configurazione elettronica Kr 4d75s1 con numero atomico 44.

Il rutenio fu scoperto dal chimico russo Karl Karlovich Klaus nel 1844 mentre analizzava il residuo di un campione di roccia contenente platino proveniente dagli Urali a cui fu dato questo nome che deriva dalla parola latina Ruthenia che significa Russia. Fu ottenuto dalla calcinazione del rutenio ammonio cloruro (NH4)2RuCl6

Il rutenio fa parte dei metalli appartenenti ai metalli del gruppo del platino che sono caratterizzati proprietà fisiche e chimiche simili come attività catalitica, resistenza alla corrosione, resistenza all’ossidazione ad elevate temperatura, basso coefficiente di dilatazione termica, alto punto di fusione e si trovano generalmente negli stessi depositi minerari.

gruppo-del-platino

È un metallo duro e fragile, molto raro, di colore bianco-argenteo che si ossida all’aria solo ad elevate temperature. Come i metalli di transizione ed in particolare l’osmio che appartiene al suo stesso Gruppo, il rutenio  ha molti stati di ossidazione ovvero +2,+3,+4,+6 e +8 sebbene gli stati di ossidazione più comuni siano +2, +3 e +4.

Negli stati di ossidazione più alti forma composti con l’ossigeno: nel tetrossido di rutenio RuO4 ha numero di ossidazione +8, nel perrutenato RuO4ha numero di ossidazione +7 e nel rutenato RuO42-.

Il rutenio forma composti con gli alogeni come il trifluoruro di rutenio RuF3, il tetrafluoruro RuF4, il pentacloruro a molecola tetramera [RuF5]4 e l’esafluoruro RuF6.

Forma composti metallo carbonili come Ru(CO)5, Ru2(CO)9 e Ru3(CO)12 e composti ciclopentadienilici come il rutenocene Ru(C5H5)2 appartenente alla categoria dei metalloceni.

Il rutenio forma molti composti di coordinazione: il rutenio (III) dà composti come [Ru(C2O4)3]3- ma il rutenio (II) forma i complessi più importanti di tipo esacoordinati in cui sono presenti l’azoto o il fosforo quali donatori come [Ru(NH3)6]2+.

Il rutenio forma inoltre complessi che possono costituire un’alternativa a quelli del platino nella terapia per il cancro.

Il rutenio non reagisce con gli acidi e resiste all’attacco dell’acqua regia ma reagisce con  l’ipoclorito di sodio per formare rutenati, perrutenati e tetrossido di rutenio.

Il rutenio viene utilizzato prevalentemente per ottenere leghe spesso con il platino o con il palladio a cui conferisce maggiore durezza e resistenza agli attacchi chimici utilizzate per contatti elettrici, dispositivi per la misurazione di temperature molto elevate o molto basse.

Viene utilizzato anche in leghe con il titanio rendendolo più resistente alla corrosione infatti l’aggiunta dello 0.1% di rutenio rende la lega di titanio cento volte più resistente alla corrosione.

I composti del rutenio vengono utilizzati quali catalizzatori in molte reazioni di sintesi organiche come l’idratazione dei nitrili che porta alla formazione di ammidi:

R-CN + H2O → RCONH2

Il catalizzatore utilizzato per questa reazione è RuH2(PPh3)4

I catalizzatori di Grubbs contenti composti del rutenio catalizzano la metatesi delle olefine; complessi del rutenio catalizzano la reazione di Noyori  che porta alla idrogenazione asimmetrica di aldeidi, chetoni e immine.

Il rutenio costituisce anche un catalizzatore innovativo per la sintesi dell’ammoniaca: con i catalizzatori tradizionali la reazione di sintesi richiede una elevata pressione con conseguente dispendio di energia mentre con un catalizzatore del tipo Ba-Ru-MgO la pressione può essere ridotta del 50%

Per il suo aspetto inconfondibile può essere usato per ottenere gioielli che hanno tuttavia un prezzo molto elevato stante la rarità dell’elemento

 

Glucosio

$
0
0

Il glucosio è un monosaccaride avente formula C6H12O6 classificato come aldoesoso in quanto costituito da sei atomi di carbonio e contenente un gruppo aldeidico.

Il gruppo funzionale aldeidico presente nella molecola rende il glucosio uno zucchero riducente come può essere verificato, ad esempio, nel saggio di Tollens e nel saggio di Benedict.
Il glucosio a catena aperta ha uno scheletro lineare che viene rappresentato dalla proiezione di Fischer ma, come altri monosaccaridi, si presenta in prevalenza sotto forma ciclica detta glucopiranosio costituita da 6 atomi di cui uno è l’ossigeno.

La chiusura ad anello e rappresentata dalla formula di Haworth avviene grazie alla presenza del gruppo –OH presente sul carbonio 5 e il gruppo aldeidico presente sul primo carbonio che subisce l’attacco nucleofilo dell’ossidrile. A seconda della posizione del gruppo –OH si ha l’α-glucosio e il β-glucosio
formula-di-haworth
Il glucosio è il più diffuso tra gli zuccheri naturali e fu isolato nel 1747 per la prima volta dall’uva passa dal chimico tedesco Andreas Marggraf ma fu solo nel 1838 che il chimico francese Jean Baptiste Andre Dumas gli attribuì questo nome dal greco γλυκός che significa dolce.
Il glucosio dà luogo, a caldo, alla reazione di caramellizzazione e, in presenza di amminoacidi, alla reazione di Maillard.
Il glucosio può essere rinvenuto come tale in molti alimenti ed in primo luogo il miele ma anche nella frutta secca come i datteri o nella frutta fresca come l’uva ed in quantità minore nelle verdure come i peperoni.

Tuttavia il glucosio è il prodotto del metabolismo dei carboidrati che costituiscono, insieme alle proteine e ai lipidi, uno dei tre macronutrienti della dieta dell’uomo.
Il glucosio costituisce la maggiore fonte energetica degli organismi viventi: quando il glucosio viene ossidato nel processo metabolico i prodotti di reazione sono biossido di carbonio e acqua oltre all’energia che viene usata dalle cellule. Il Sole emette luce che viene tratta dalle piante le quali attraverso il fotosintetico convertono il biossido di carbonio e l’acqua in glucosio secondo la reazione:
6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2
La variazione di energia libera ΔG correlata a tale reazione, infatti è di + 2870 kJ/mol e pertanto, affinché essa possa avvenire è necessaria una fonte energetica che è appunto costituita dalla luce.
La reazione di ossidazione del glucosio presenta una variazione di energia libera di – 2870 kJ/mol e quindi è una reazione spontanea.
Nell’organismo l’ossidazione del glucosio contribuisce a una serie di complesse reazioni biochimiche che forniscono l’energia necessaria alle cellule.
Il primo stadio del processo metabolico è la glicolisi che deriva dal greco γλυκός che significa dolce e λύσις che significa scissione.
Dalla glicolisi di ottiene il piruvato che è la molecola di partenza necessaria per innescare i processi correlati alla respirazione cellulare che, nella respirazione aerobica, rientrano nel ciclo di Krebs.
La maggior parte dell’energia fornita dall’ossidazione del glucosio viene utilizzata nella conversione da ADP ad ATP che è uno dei reagenti necessari per la sintesi dell’RNA ma è in primo luogo il collegamento chimico fra catabolismo e anabolismo costituendone la “corrente energetica”.
Mentre sono più o meno note dalla maggior parte delle persone le funzioni biologiche del glucosio sono meno conosciute le potenzialità di questo zucchero nell’ambito gastronomico.
Esso infatti viene largamente utilizzato nel campo dell’industria alimentare e in particolar modo nella produzione di caramelle, di gelati e sorbetti, di gelatine di frutta e di prodotti di pasticceria sotto forma di sciroppo di glucosio.
Un tempo per dare dolcezza ad un alimento veniva adoperato il miele ricco di glucosio ma esso è difficilmente dosabile e, una cottura anche di poco superiore a quella prevista, rende il prodotto poco commestibile. Lo zucchero da cucina, costituito da saccarosio, ha quindi soppiantato il miele ed allontanato il profumo e la fragranza tipica del prodotto delle api.
Per il momento l’uso del glucosio è ancora confinato all’industria ma, stante la sua maggiore digeribilità e il suo minore apporto calorico rispetto allo zucchero, potrebbe avere un rilancio nell’ambito di una cucina più osservante delle antiche tradizioni.

Antiaromaticità

$
0
0

Secondo la I.U.P.A.C. per antiaromaticità si intende la destabilizzazione di un composto dovuta alla delocalizzazione degli elettroni π. I composti antiaromatici vengono destabilizzati così come i composti aromatici vengono stabilizzati.

I criteri per la determinazione dell’antiaromaticità di un composto secondo la I.U.P.A.C. sono i seguenti:

  • La molecola deve essere ciclica
  • La molecola deve essere planare
  • La molecola deve avere un sistema di elettroni π coniugati
  • La molecola deve contenere un numero di elettroni π pari a 4n dove n è un numero intero diverso da zero

I composti antiaromatici sono difficili da sintetizzare a causa della loro instabilità: ad esempio la sintesi dell’1,3-ciclobutadiene impegnò a lungo i chimici.

All’inizio del XX secolo il chimico tedesco Richard Martin Willstätter provò ad ottenere l’1,3-ciclobutadiene partendo dall’1,2-dibromociclobutano ma, la difficoltà nell’isolarlo resero questo composto oggetto di studio.

ciclobutadiene

Fu solo nel 1965 che un team di ricercatori guidati dal chimico australiano Rowland Pettit dell’Università del Texas riuscì ad ottenerlo dalla degradazione di un derivato organometallico del ciclobutadiene.

Un altro composto antiaromatico è l’1,3,5,7- cicloottatetraene in cui sono presenti 8 elettroni π.

cicloottatetraene

Fu sintetizzato per la prima volta nel 1905 da Richard Martin Willstätter che notò che tale composto non presentava la reattività di un composto aromatico bensì presentava le reazioni tipiche delle olefine. Solo successivamente l’1,3,5,7- cicloottatetraene fu sintetizzato con rese maggiori da Reppe a partire dall’acetilene
in presenza di cianuro di nichel e cianuro di calcio quali catalizzatori e in condizioni di alta pressione.

Tra i composti antiaromatici vi è il pentalene costituito da due anelli ciclopentadienilici fusi che presenta 8 elettroni π.

pentalene

Questo composto è particolarmente instabile e dimerizza già a basse temperature ovvero a circa – 100°C.

Anche l’eptalene è un composto antiaromatico costituito da due anelli di cicloeptatriene fusi  che presenta 12 elettroni π.

eptalene

Decarbossilazione

$
0
0

La decarbossilazione è una reazione chimica di eliminazione a seguito della quale viene allontanata anidride carbonica a seguito della rimozione di un gruppo carbossilico.

Tra i composti che possono dar luogo a decarbossilazione vi sono gli esteri o gli acidi carbossilici che presentano un gruppo carbonilico in posizione β e gli acidi 1,3-bicarbossilici che possono dar luogo alla reazione a seguito di riscaldamento.

Ad esempio la decarbossilazione di un β-chetoacido avviene secondo un meccanismo che prevede la formazione, nello stato di transizione, di un anello a sei membri con formazione di un enolo e di anidride carbonica. L’enolo, inizialmente formatosi a seguito della rottura dell’anello, tautomerizza nella forma chetonica più stabile.

beta-chetoacido

La decarbossilazione di un β-chetoestere nota come reazione di Krapcho avviene in presenza di un alogenuro e porta alla formazione di un chetone

krapcho

Gli acidi carbossilici invece non tendono a dare reazione di decarbossilazione in quanto si verificherebbe la formazione di un carbanione instabile.

I sali di argento di un acido carbossilico invece danno luogo a una decarbossilazione in presenza di alogeni per dare un alogenuro alchilico. La reazione, che avviene in tetracloruro di carbonio, è nota come reazione di Hunsdiecker

reazione-di-hunsdiecker

Si ritiene che in tale reazione avvenga una scissione omolitica di un legame carbonio-carbonio e avvenga pertanto secondo un meccanismo di tipo radicalico.

In ambito biochimico avvengono molte reazioni di decarbossilazione tra cui quella degli amminoacidi che costituisce una delle più importanti reazioni metaboliche.

Dalla decarbossilazione degli amminoacidi si ottengono ammine che spesso rivestono un importante ruolo nel campo biochimico o che hanno attività fisiologiche e sono pertanto dette ammine biogene.

Nel ciclo di Krebs detto anche ciclo dell’acido citrico di importanza fondamentale in tutte le cellule che utilizzano ossigeno nel processo di respirazione cellulare avvengono  diverse reazioni di decarbossilazione.

Prima che inizi il ciclo di Krebs si ha la decarbossilazione ossidativa del piruvato che è prodotto della glicolisi per formare l’acetil-coenzima A, prodotto intermedio di numerose vie metaboliche che svolge un ruolo fondamentale nel consentire l’ingresso del piruvato nel ciclo di Krebs. La reazione è catalizzata dal complesso enzimatico della piruvato deidrogenasi.

piruvato

 

La prima decarbossilazione che avviene nel ciclo di Krebs è la conversione da isocitrato a α-chetoglutarato. In questa reazione l’isocitrato viene dapprima ossidato a ossalsuccinatoche per decarbossilazione dà l α-chetoglutarato.

alfa-chetoglutarato

La seconda decarbossilazione  ossidativa che avviene nel ciclo di Krebs è la conversione dell’ α-chetoglutarato a succinil-CoA

succinilCoA

 

 

 

Acido piruvico

$
0
0

L’acido 2-ossopropanoico più noto come acido piruvico è il più semplice degli α-chetoacidi avente un gruppo carbonilico in posizione α rispetto al gruppo carbossilico e ha formula CH3COCOOH

formula

Come gli altri α-chetoacidi ha una elevata acidità dovuta alla presenza di due atomi di carbonio ibridati sp2 che stabilizzano per risonanza la corrispondente base coniugata corrispondente, ovvero il piruvato, CH3COCOO infatti il valore di pKa dell’acido piruvico è pari a 2.5.

A valori di pH del corpo umano che sono di poco superiori a 7 si ha che il piruvato ha una concentrazione di circa 4 ordini di grandezza superiore a quella dell’acido piruvico.

L’acido piruvico, in equilibrio con il piruvato, hanno un ruolo centrale nel metabolismo energetico degli organismi viventi.

E’ un liquido con un odore simile a quello dell’acido acetico, solubile in acqua e stabilre in condizioni ordinarie mentre è sensibile alla luce.

L’acido piruvico è un composto molto importante in quanto è coinvolto in molti processi biochimici e primo fra tutti nella glicolisi in cui il glucosio, costituito da sei atomi di carbonio, dà luogo alla formazione, in condizioni aerobiche, a due molecole di acido piruvico

glicolisi

Nella cellula ricopre un ruolo di grandissima importanza in quanto è il metabolita di collegamento tra le vie riguardanti i carboidrati, i grassi e gli amminoacidi.

Il piruvato ottenuto dalla glicolisi viene trasportato nel mitocondrio dove subisce una decarbossilazione ossidativa catalizzata dalla piruvato deidrogenasi che lo trasformano, in acetil-CoA che costituisce il principale intermedio del metabolismo. Da questa molecola vengono sintetizzati gli amminoacidi, il colesterolo e i corpi chetonici.

La sintesi dell’acido piruvico può essere fatta in laboratorio facendo reagire, a caldo, acido tartarico e solfato acido di potassio

sintesi

L’acido piruvico è presente, sia pure in piccole quantità in alcuni alimenti come formaggio, mele rosse, vino rosso, asparagi, carne di manzo e pane di grano.

I derivati dell’acido piruvico come i suoi sali ed esteri vengono utilizzati negli integratori alimentari in quanto favoriscono la perdita di peso.

Il piruvato inoltre migliora il trasporto del glucosio nel muscolo e ciò permette di ridurre il senso di fatica. Il piruvato di calcio esplica i suoi effetti nella riduzione del grasso perché accelera il metabolismo degli acidi grassi nel corpo umano.

L’associazione creatina-acido piruvico viene utilizzata a causa del suo effetto di miglioramento delle prestazioni ed in particolare delle funzioni cerebrali e della memoria.

L’acido piruvico in soluzione alcolica viene utilizzato in dermocosmesi per il trattamento dell’acne, delle iperpigmentazioni e dell’invecchiamento della pelle.

Applicato come peeling nell’epidermide diminuisce lo spessore cutaneo mentre nel derma stimola la formazione di collagene, glicoproteine e fibre elastiche.

L’acido piruvico in combinazione con l’acido lattico e l’acido nonandioico noto come acido azelaico, viene utilizzato come peeling per le sue proprietà antibatteriche, esfolianti e per la riduzione delle cicatrici.

I derivati dell’acido piruvico ed in particolare il 3-bromopiruvato sono oggetto di studio per le potenziali applicazioni nel trattamento del cancro

Pungitopo

$
0
0

Insieme alla stella di Natale il pungitopo è la pianta che addobba le case in prossimità del Natale: è caratterizzata infatti dai colori verde e rosso tipici della festività più amata dai bambini le cui bacche rosse sono simbolo di ricchezza e, per il fatto di essere una pianta sempreverde, è simbolo di sopravvivenza.

Era usato come talismano dagli antichi Romani ma già da quei tempi se ne conoscevano le proprietà terapeutiche: Dioscoride, grande medico del I secolo d.C. considerato il padre fondatore della farmacologia, descriveva il pungitopo una pianta in grado di indurre il flusso urinario e utile per la cura del mal di testa, dell’ittero e della calcolosi biliare.

Grazie alle sostanze in esso contenute sono state dimostrate proprietà vasoprotettrici  e antinfiammatorie sulla circolazione venosa periferica.

Le sostanze chimiche di interesse nel campo dei fitofarmaci sono contenute nelle radici e nel rizoma.

L’attività biologica del pungitopo è imputabile prioritariamente alle saponine a nucleo terpenico e i loro agliconi. In particolare la ruscogenina glucoside steroide estratto dal pungitopo

ruscogenina

che attiva la microcircolazione, stimola la circolazione del sangue, ha proprietà vasocostrittrici e ha un effetto antinfiammatorio. La ruscogenina inibisce l’attività enzimatica dell’elastasi che degrada la struttura dell’elastina che insieme al collagene determina le caratteristiche del tessuto connettivo ed esercita quindi una azione anti-age.

Tra le sostanze contenute nel pungitopo vi sono:

  • i flavonoidi ed in particolare la rutina detta vitamina P, bioflavonoide particolarmente utile nella prevenzione di perdite di sangue frequenti dovute a vasi sanguigni indeboliti. Sono inoltre presenti:
  • le cumarine che hanno dimostrato di avere numerose attività farmacologiche tra loro anche molto diverse tra cui quella della diminuzione della permeabilità dei capillari con conseguente aumento della loro resistenza
  • la sparteina, alcaloide tetraciclico che costituisce il principio attivo contro le anomalie del ritmo cardiaco
  • la tirammina ammina derivata dall’amminoacido tirosina per decarbossilazione ossidativa che stimola il rilascio di noradrenalina causando vasocostrizione
  • l’acido glicolico noto soprattutto per le sue qualità in campo farmacologico per minimizzare le rughe e le cicatrici da acne e migliorare alcune malattie della pelle tra cui la cheratosi attinica che affligge persone con la carnagione chiara, capelli rossi o biondi se si espongono al sole per lunghi periodi. Ed inoltre si mostra efficace nella ipercheratosi che provoca un inspessimento eccessivo dello strato epiteliare e nella cheratosi seborroica che si manifesta come una macchia brunastra più o meno rilevata sul piano della cute dalla superficie verrucosa o squamo-crostosa
  • la scoparina ad azione diuretica
  • i polifenoli noti per la loro azione antiossidante e in grado di prevenire l’invecchiamento cellulare e proteggono dall’insorgenza di alcune patologie come quelle cardiovascolari

Il pungitopo contiene anche alluminio, calcio, cromo, cobalto, ferro, magnesio, manganese, fosforo e potassio. Sono inoltre presenti fibre, grassi, proteine e saccarosio.

La pianta, che deve il suo nome al fatto che in passato i contadini usavano proteggere le loro provviste dai topi utilizzando mazzetti di questa pianta come deterrente e che richiama il Natale, costituisce una fonte inesauribile di sostanze chimiche con benefici effetti.

 

Creatina

$
0
0

La creatina è una sostanza presente nel tessuto muscolare molti vertebrati che costituisce uno degli integratori alimentari più utilizzati e di successo degli ultimi decenni.

La creatina, dal greco κρέας che significa carne, fu scoperta dal chimico francese Michel Eugène Chevreul nel 1832 e nel 1847 il chimico tedesco Justus von Liebig, nell’ambito dei suoi studi sulla muscolatura umana, ne confermò la presenza.

La creatina è infatti distribuita in tutto il corpo ma circa il 95% di essa si trova nei muscoli scheletrici.

Essa è prodotta, a un ritmo di circa un grammo al giorno da fegato e pancreas a partire dagli amminoacidi arginina e glicina con il contributo della S-adenosil-metionina ad opera degli enzimi amidinotransferasi e metiltransferasi ma viene introdotta nell’organismo tramite alcuni alimenti come pesce e carni rosse che ne sono particolarmente ricchi.

La creatina, ovvero l’acido metilguanidinoacetico, è un acido carbossilico contenente azoto che viene convertita in fosfocreatina a seguito dell’unione con un gruppo fosfato.

creatina

La fosfocreatina (PCr) costituisce una riserva energetica: durante uno sforzo intenso quando l’organismo ha bisogno di energia la fosfocreatina reagisce con l’ADP per dare creatina e ATP. Tale reazione, nota come reazione di Lohmann, avviene grazie all’enzima creatinchinasi:
PCr +ADP → Cr + ATP

L’ATP è una molecola costituita da adenina, ribosio e tre gruppi fosfato ed è altamente energetica: infatti quando viene scisso il legame con un gruppo fosfato, si ottengono ADP e fosfato inorganico con la liberazione di 30 kJ di energia per mole di ATP

La reazione è reversibile e, nei periodi in cui nella cellula è presente una quantità sufficiente di ATP, la creatina viene convertita nuovamente in fosfocreatina e l’ATP in ADP:

Cr + ATP → PCr + ADP

La creatina non è stabile in soluzione acquosa in quanto avviene una ciclizzazione intramolecolare che porta alla creatinina che viene filtrata dai reni ed escreta nelle urine

ciclizzazione

La velocità di degradazione della creatina non dipende dalla sua concentrazione ma dal pH e dalla temperatura: bassi valori di pH e alti valori di temperatura rendono più veloce la degradazione.

La creatina può essere ottenuta a partire da una reazione di condensazione tra cianammide e acido 2-(metilammino)acetico noto come sarcosina in presenza di idrossido di ammonio concentrato

sintesi-creatina

L’uso della creatina negli integratori alimentari si è andato sempre più diffondendo per migliorare la forza muscolare e le prestazioni atletiche in sport di breve durata che richiedono un elevato sforzo fisico come la corsa, il nuoto e il ciclismo su pista su percorsi brevi.

Grazie all’azione della creatina sulla massa muscolare essa viene utilizzata anche nel body building, canottaggio e sollevamento pesi.

Tuttavia l’utilizzo di creatina negli integratori alimentari ha un effetto diverso a seconda della massa muscolare, della quantità di creatina già presente oltre che di quella introdotta nell’alimentazione.

Per un soggetto vegetariano che ha bassi depositi di creatina anche la sola alimentazione con carne e pesce dà luogo ad un incremento notevole della massa muscolare, mentre in un soggetto che ha depositi abbastanza alti, l’effetto è minore.

La creatina viene spesso utilizzata nella terapia di molte patologie tra cui la fibromialgia, la malattia di Huntingon, la sclerosi multipla, insufficienza cardiaca congestizia e sono allo studio gli effetti della creatina nella cura di altre patologie.

 


Alcaloidi piridinici e piperidinici

$
0
0

Gli alcaloidi sono composti azotati di origine vegetale dotati di una considerevole attività farmacologica.  Sono diffusi nelle Dicotiledoni, in particolare nella famiglia delle Apocinacee, delle Papaveracee, delle Papilionacee, delle Ranuncolacee, delle Rubiacee, delle Rutacee e delle Solanacee.

Nella maggior parte dei casi gli alcaloidi non si trovano liberi, ma sotto forma di sali con diversi acidi organici ( acetico, ossalico, lattico, citrico, malico e tartarico) e, meno comunemente inorganici (cloridrico, solforico, fosforico).

Un criterio generalmente adottato è quello di definire gli alcaloidi le sostanze azotate dotate di struttura complessa e contenenti azoto come componente di una struttura eterociclica.

I nomi degli alcaloidi, anche a causa della notevole complessità della loro struttura, non seguono regole sistematiche, ma vengono generalmente assegnati derivandoli dalla pianta da cui sono estratti (papaverina da Papaver) o dalla loro azione fisiologica (morfina dal greco μορφευς = sonno) o, più raramente, dal nome dei ricercatori che li hanno isolati (pelletierina da P.J. Pelletier).

Il metodo usato per la classificazione degli alcaloidi è quello di raggrupparli sulla base delle loro caratteristiche strutturali.

Un gruppo di alcaloidi contiene un anello piridinico o piperidinico; la piridina è un eterociclo aromatico a sei termini avente lo stesso sistema ciclico a sei elettroni ( di tipo π ) del benzene avente formula C5H5N mentre la piperidina è un eterociclo avente formula C5H11N che può essere ottenuto dalla piridina per idrogenazione catalitica

piridina-e-piperidina

Tra gli alcaloidi piridinici vi è l’arecolina avente formula C8H13NO2 che ha un effetto stimolante sul sistema nervoso centrale; tale caratteristica è nota ai contadini del subcontinente indiano che, per alleviare la fatica, consumano grandi quantità di noci di Betel. L’arecolina è una base miscibile in molti solventi organici e forma sali con gli acidi.

arecolina

Da ricerche effettuate sono state dimostrati miglioramenti nelle capacità di apprendimento pertanto si ritiene che essa possa essere utilizzata per rallentare il declino cognitivo che si verifica nei malati di Alzheimer.

Un alcaloide che contiene sia il nucleo piridinico che pirrolidinico è la nicotina

nicotina

Tra gli alcaloidi piperidinici vi è la lobelina avente formula C22H27NO2 che viene utilizzata come coadiuvante per i tabagisti che vogliono smettere di fumare e può trovare applicazioni nel trattamento di altre dipendenze come quella da anfetamina, alcol e cocaina.

lobelina

La lobelina ha un’azione analettica respiratoria in quanto agisce sul sistema nervoso centrale stimolando i muscoli della respirazione e migliorando quindi la ventilazione.

Un alcaloide che contiene sia il nucleo piridinico che piperidinico è l’anabasina

anabasina

L’anabasina è uno stimolante respiratorio e viene usata, come la lobelina, nelle preparazioni antifumo oltre che come insetticida.

Arginina

$
0
0

L’arginina è un α-amminoacido che nella sua forma L viene usato nella sintesi proteica. Viene definito come amminoacido semi essenziale in quanto, contrariamente agli adulti che sintetizzano l’arginina nell’ambito del ciclo dell’acido urico, i neonati non riescono a sintetizzarla.

Le principali fonti alimentari di arginina sono: arachidi, mandorle, noci, nocciole, spinaci, lenticchie, cereali integrali, soia, crostacei, carne, cioccolata e uova.

L’arginina presenta, nella sua struttura, una catena laterale in cui è presente il gruppo guanidinico e pertanto è un amminoacido con caratteristiche basiche.

arginina

L’arginina, grazie all’enzima ossido nitrico sintetasi, viene convertita in citrullina tramite la reazione:

2 L-arginina + 3 NADPH + H+ + 4 O2 ⇌ 2 citrullina + 2 NO + 4 H2O + 3 NADP+

Da questa reazione si ottiene il monossido di azoto che mostra implicazioni nel sistema cardiovascolare; tale individuazione che valse il Premio Nobel per la medicina nel 1988 al chimico statunitense figlio di un napoletano e di una siciliana emigrati negli USA, Louis Ignarro “per le sue scoperte riguardanti l’ossido nitrico come molecola segnale nel sistema cardiovascolare” ha dato l’avvio  allo sviluppo di farmaci cardiovascolari con la comune caratteristica di favorire la produzione di ossido nitrico a livello dei vasi sanguigni che ha la caratteristica di dilatare le arterie, inibire l’aggregazione piastrinica e frenare l’evoluzione delle placche aterosclerotiche.

Dalla decarbossilazione dell’arginina, ad opera dell’arginina-decarbossilasi, si ottiene l’agmatina neurotrasmettitore che agisce a livello cerebrale in quanto regola l’attivazione di alcune cellule nervose ed ha anche un’azione vasodilatatrice

agmatina

Dall’arginina, per azione dell’arginasi, enzima appartenente alla classe delle idrolasi si ottiene l’ornitina tramite la reazione che costituisce l’ultima reazione del ciclo dell’urea:

arginina + H2O → ornitina + urea

L’ornitina contribuisce al processo di detossificazione da ammoniaca e dello ione ammonio, il cui accumulo compromette lo stato di salute dell’individuo con gravi danni epatici.

L’arginina stimola inoltre l’ormone della crescita GH (growth hormone) che stimola lo sviluppo dell’organismo umano promuovendo l’accrescimento e la divisione mitotica delle cellule di quasi tutti i tessuti corporei.

Sebbene non sia del tutto noto il meccanismo per il quale l’arginina agisca sul sistema immunitario è dimostrato che un aumento di arginina provoca un aumento di linfociti T che hanno un ruolo centrale nella immunità cellulo-mediata.

L’arginina viene quindi utilizzata in molti integratori alimentari in quanto favorisce il recupero muscolare dopo l’allenamento e migliora lo smaltimento dell’acido lattico accumulato. L’effetto vasodilatatore favorisce l’afflusso di nutrienti a livello cellulare accelerando l’escrezione di cataboliti cellulari che interferiscono con la contrazione muscolare.

Ammine eterocicliche e rischi per la salute

$
0
0

Le ammine eterocicliche o HCA (HeteroCyclic Amine) sono composti organici ciclici a 5 o 6 membri contenenti uno o più atomi di azoto.  Esse possono esse aromatiche come pirrolo, imidazolo, piridina, chinolina, purina e pirimidina

ammine-eterocicliche-aromatiche

o alifatiche come pirrolidina e piperidina

ammine alifatiche

L’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che le carni cotte a lungo o bruciate sono cancerogene appartenenti al Gruppo 1 ovvero sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo. Esistono infatti prove sufficienti per stabilire un nesso causale tra l’esposizione dell’uomo a tali sostanze e lo sviluppo dei tumori.

Le sostanze cancerogene rinvenute in tali alimenti sono prioritariamente le ammine eterocicliche aromatiche e gli idrocarburi policiclici aromatici (PAH) ovvero quei composti costituiti da due o più anelli aromatici fusi in un’unica struttura. Poiché tali composti sono idrocarburi non hanno eteroatomi e sono costituiti solo da carbonio e idrogeno: l’idrocarburo policiclico aromatico più semplice è il naftalene.

Sia le ammine eterocicliche aromatiche che gli idrocarburi policiclici aromatici contengono anelli aromatici che costituiscono l’agente cancerogeno.

Le ammine eterocicliche si formano quando la creatina presente nei muscoli della carne e gli amminoacidi reagiscono a temperature elevate

ammine eterocicliche

I fattori che influenzano la formazione delle ammine eterocicliche sono:

  • Tipo di cibo
  • Metodo di cottura
  • Temperatura
  • Durata della cottura

I fattori che influenzano la formazione degli idrocarburi policiclici aromatici, oltre alla temperatura e alla durata della cottura sono la distanza del cibo dalla fonte di calore e la quantità di grassi contenuta nel cibo.

Il DNA è costituito da sostanze puriniche ovvero adenina e guanina e da sostanze pirimidiniche ovvero citosina e timina.

Queste basi azotate formano legame a idrogeno con le basi azotate presenti nel filamento opposto secondo un principio di complementarietà infatti le basi puriniche formano legami con quelle pirimidiniche e l’ordine nella disposizione sequenziale dei nucleotidi costituisce l’informazione genetica.

Le sostanze aventi somiglianza strutturale possono interagire tra loro: in questo caso gli anelli aromatici presenti nelle basi puriniche e nelle basi pirimidiniche del DNA possono dare interazioni energicamente favorevoli con gli anelli aromatici contenuti nelle ammine eterocicliche e negli idrocarburi policiclici aromatici. Ad esempio quando una molecola di purina presente negli alimenti si trova a contatto con due basi complementari presenti nel DNA, essa può demolire le interazioni originariamente presenti danneggiando il DNA. Se il danno è relativo a un gene importante come un gene soppressore del tumore si può verificare il cancro.

La chimica in cucina: le torte

$
0
0

La pratica dolciaria ebbe inizio dall’arte panificatoria quando il pane venne arricchito con il miele e la frutta spesso in abbinamento con formaggi molli.

Solo successivamente vennero introdotte le spezie e, dalla scoperta dell’America, entrò in uso il cacao.

Le torte farcite iniziarono ad essere prodotte solo alla fine del Seicento, ma si dovrà attendere l’inizio dell’Ottocento quando vennero realizzate torte a base di uova, cioccolata in cui veniva usata una polvere lievitante.

Per realizzare una torta occorrono alcuni ingredienti base che devono essere opportunamente dosati così come viene fatto per eseguire una reazione chimica perché, come in tutti i campi, è la chimica a giocare un ruolo fondamentale.

La farina che costituisce l’ingrediente fondamentale conferisce struttura e corpo formando un impasto della giusta elasticità in grado di trattenere i gas che si sviluppano durante la lievitazione che conferiscono al dolce la tipica morbidezza.

La farina è costituita prevalentemente da polisaccaridi ma contiene anche particolari proteine ovvero la gliadina e la gluteina che durante la fase dell’impastamento in presenza di acqua danno luogo alla formazione del glutine che conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione con proprietà intermedie tra viscosità dei liquidi ed elasticità dei solidi. Il glutine inoltre è una sostanza gommosa ed elastica che può aumentare il suo volume per l’azione di sostanze lievitanti.

Nei prodotti lievitati la prima proprietà della farina è quella di formare un impasto di elasticità tale da trattenere i gas della lievitazione.

Il glutine è quindi una sostanza proteica che, in presenza di zuccheri dà luogo alla reazione di Maillard che consiste in un processo di imbrunimento non enzimatico che coinvolge una serie complessa di reazioni tra amminoacidi con un gruppo amminico libero e zuccheri riducenti a temperatura elevata.

La reazione di reazione di Maillard è la più importante reazione chimica che avviene durante la cottura degli alimenti ed è responsabile del tipico aspetto bruno e dell’aroma caratteristico delle torte appena sfornate.

Le uova hanno un ruolo fondamentale nei dolci: danno struttura, facilitano la lievitazione e conferiscono colore e sapore. Il corretto equilibrio tra uova e farina dà la giusta consistenza alla torta.

Le proteine dell’uovo insieme alle proteine del glutine, aiutano a costruire la struttura della torta e i tuorli d’uovo, con la loro azione emulsionante, contribuiscono a formare una pastella liscia e bolle d’aria più stabili.

Spesso gli albumi delle uova prima di essere incorporati all’impasto vengono montati a neve insieme allo zucchero in modo che possa essere incorporata aria e l’azione meccanica provoca la denaturazione delle proteine che si dispongono all’interfaccia aria-acqua per formare le pareti delle bolle.

Le proteine contenute nell’albume tra cui l’albumina hanno parti idrofobe e parti idrofile: la parte idrofila delle proteine rimane nell’acqua mentre la parte idrofoba nell’aria incorporata. Lo zucchero aumenta la viscosità e stabilizza la schiuma.

Mano a mano che si procede a montare la miscela diventa sempre più chiara in quanto si formano bolle sempre più piccole fino a raggiungere le dimensioni della lunghezza d’onda della luce che quindi viene riflessa e la preparazione appare bianca. L’aria incorporata dagli albumi fa sì che la torta sia morbida e lievitata.

Il burro che viene aggiunto alla miscela ha un’azione emulsionante, conferisce sapore e impedisce al dolce, una volta cotto, di perdere la sua umidità interna mantenendolo soffice.

Lo zucchero, oltre a conferire dolcezza alla torta, impedisce alle proteine contenute nella farina di formare una quantità eccessiva di glutine grazie alla sua igroscopicità.

Lo zucchero inoltre conferisce colore alla torta in quanto partecipa alla reazione di caramellizzazione e alla reazione di Maillard.

Il sale che viene aggiunto in piccolissima quantità all’impasto esalta i gusti, contribuisce all’elasticità dell’impasto e equilibra la dolcezza degli altri ingredienti. Gli ioni sodio e gli ioni cloruro reagiscono con gli amminoacidi per formare fibre di glutine.

Per ultimare la preparazione dell’impasto si aggiunge il lievito chimico costituito da un sale basico e da uno o più sali acidi che, in determinate condizioni reagiscono tra loro in presenza di acqua o di calore dando luogo a una decomposizione termica generando dei gas ovvero, nella generalità dei casi, biossido di carbonio CO2 che forma le cosiddette bollicine e consente all’impasto di rigonfiarsi.

Se gli ingredienti sono correttamente dosati e l’impasto è stato dosato alla perfezione, così come avviene per una reazione chimica, il risultato sarà invidiabile.

Celle solari e nanoparticelle

$
0
0

Le celle solari costituiscono uno dei settori della ricerca verso cui si rivolgono molti gruppi di studiosi per le potenzialità e gli sbocchi che esse possono avere.

Le celle solari anche dette pannelli fotovoltaici sono costituite da un materiale semiconduttore come il silicio opportunamente dopato mono o multicristallino.

Il supporto è in genere è costituito da vetro che, pur essendo liscio, non poroso ed economico, è fragile e non flessibile.

Il vetro è stato sostituito da tipi speciali di vetro o materiali di plastica ma i pannelli sono risultati meno efficienti e meno durevoli nel tempo rispetto a quelli ottenuti con i materiali tradizionali. I materiali di plastica, pur garantendo la flessibilità, presentano forze di legame relativamente deboli che li vincolano al resto del pannello.

Gli studi effettuati presso l’Istituto di scienze fotoniche di Barcellona a cui ha partecipato uno dei tanti cervelli italiani che lavorano all’estero Silvia Colodrero si sono concentrati su nanoparticelle di diverse dimensioni tra cui SiO2, Al2O3, TiO2 e ZnO.

Le nanoparticelle contribuiscono a ridurre l’adesività in modo che il dispositivo può essere allontanato dal suo substrato senza che risulti danneggiato ma se le nanoparticelle hanno una dimensione troppo elevata la superficie dello strato di nanoparticelle risulta troppo irregolare per garantire dispositivi ad alta efficienza.

I ricercatori hanno quindi adottato un compromesso utilizzando nanoparticelle di dimensioni variabili: nanoparticelle di Al2O3 di dimensioni maggiori dell’ordine di 30 nm che diminuiscono l’adesione sono state poste sul substrato che può essere successivamente eliminato mentre nanoparticelle di ZnO che hanno una superficie regolare e hanno dimensioni minori, dell’ordine di 10 nm, sono state poste in superficie.

Tra due strati di ossido di zinco è stato posto un elettrodo di argento flessibile e appositamente studiato e sopra di essi uno strato di PTB7 per il trasporto degli elettroni, di PC71BM

pcb7

per il materiale attivo e di un ossido di molibdeno MoOx per bloccare il flusso di elettroni sormontato da un elettrodo di argento.

Lo schema del dispositivo è rappresentato in figura

celle solari

Molibdeno

$
0
0

Il molibdeno è un metallo di transizione di colore bianco argenteo appartenente al Gruppo 6° e al 5° Periodo che ha configurazione elettronica [Kr+] 4d5 5s1.

In natura è presente nella molibdenite prevalentemente sotto forma di solfuro MoS2 di aspetto simile al solfuro di piombo e alla grafite tanto che fino al XVIII secolo i composti del molibdeno venivano confusi con quelli del piombo o del carbonio tanto che il nome molibdeno deriva dal greco μολύβδος che significa piombo.

Fu solo nel 1778 che il chimico svedese Carl Wilhelm Scheele analizzando questo minerale comprese che non si trattava né di galena né di grafite ma di un composto contenente un altro elemento di cui non conosceva l’identità. Fu un altro chimico svedese Peter Jacob Hjelm che nel 1781 riuscì ad isolare il molibdeno da un suo ossido.

A livello industriale il molibdeno viene ottenuto dalla reazione tra disolfuro di molibdeno e ossigeno a 700°C:

2 MoS2 + 7 O2 → 2 MoO3 + 4 SO2

Il molibdeno infatti allo stato metallico si ottiene per riduzione dell’ossido in corrente di idrogeno: il processo viene fatto in due stadi, il primo a 600-700 ºC per l’elevata volatilità di MoO3 e il secondo intorno a 1000 ºC:

MoO3 + H2 → MoO2 + H2O

MoO2 + 2 H2 → Mo + 2 H2O

Il molibdeno è un metallo moderatamente reattivo: non reagisce infatti con l’ossigeno a temperatura ambiente ma solo a temperature superiori a 600°C:

2 Mo + 3 O2 → 2 MoO3

Non si solubilizza in acido cloridrico, fluoridrico, ammoniaca, idrossido di sodio ma solo, a caldo, in acido solforico o acido nitrico concentrati.

I numeri di ossidazione più comuni del molibdeno sono +4 e +6, ma può presentare numero di ossidazione -2, zero nel molibdeno esacarbonile, e +1,+2,+3,+4,+5 e +6.

Il molibdeno forma composti, detti molibdati, in cui ha numero di ossidazione + 6.

L’ossoanione ha formula MoO42- o Mo2O72- costituito da due tetraedri con un ossigeno in comune come, ad esempio, il molibdato di sodio Na2MoO4 o di ammonio (NH4)2Mo2O7.

Il molibdato viene precipitato come trisolfuro in HCl 0.4 M:

MnO42-(aq) + 3 S2-(aq) + 8 H+(aq) → MnS3(s) + 4 H2O(l)

Il molibdato di ammonio reagisce con l’acido solfidrico per dare tetratiomolibdato di ammonio composto che viene sperimentato per la cura di varie patologie

(NH4)2MoO4 (aa) + H2S(aq) → (NH4)2MoS4(s)  + 4 H2O(l)

Il molibdeno si lega agli alogeni per dare sali come fluoruri, cloruri, bromuri e ioduri, all’ossigeno per dare il monossido, il diossido e il triossido, allo zolfo per dare disolfuro e trisolfuro, all’azoto per dare il nitruro.

Il molibdato di ferro (III) Fe2(MoO4)3 viene usato quale catalizzatore per l’ossidazione del metanolo in metanale.

Il molibdato di bismuto (III) Bi2(MoO4)3  viene usato come catalizzatore per l’ossidazione selettiva del propene che, in presenza di ossigeno dà l’acroleina CH2=CHCHO e in presenza di ossigeno e ammoniaca dà l’acrilonitrile CH2=CHCN.

Il disolfuro di molibdeno è usato come lubrificante solido e come catalizzatore  per l’idrocracking delle frazioni del petrolio contenenti azoto, zolfo e ossigeno.

Il molibdeno ha un elevato punto di fusione di 2623°C ed è quindi usato per produrre elettrodi per forni di fusione di vetro, per alcune parti di missili e di aeromobili e nel campo nucleare.

L’uso principale del molibdeno è nella produzione di leghe ad alta resistenza e, in quantità compresa tra 0.25 e 8%, per ottenere acciai ad alta resistenza.

In lega con il nichel e il cromo forma leghe resistenti al calore e alla corrosione e adatte a sopportare carichi elevati e con elevato carico di rottura.

I pigmenti a base di molibdeno hanno colori che variano tra il giallo intenso e l’arancione vivo e vengono usati nelle vernici e negli inchiostri. L’arancio di molibdeno costituito da cromato, solfato e molibdato di piombo è dotato di ottimo potere coprente e viene impiegato, oltre che nelle vernici e inchiostri anche nella tempera e nei colori a olio.

Lipoproteine

$
0
0

Le lipoproteine sono aggregati costituite da una parte proteica e da una parte lipidica deputate alla raccolta e al trasporto nel plasma di lipidi.
I lipidi, a causa della loro scarsa solubilità in ambiente acquoso, non possono circolare liberamente e necessitano di un sistema di trasporto idoneo che è costituito dalle lipoproteine dette plasmatiche.
Queste ultime hanno forma sferica in cui, nello strato esterno vi sono apolipoproteine e fosfolipidi con i gruppi polari rivolti verso l’esterno mentre all’interno sono presenti trigliceridi e colesterolo esterificato che, essendo apolari, interagiscono con la parte interna apolare dell’involucro fosfolipidico. Le apolipoproteine fungono da componente strutturale, da leganti per i recettori e da cofattori per gli enzimi

lipoproteine
Le lipoproteine, che differiscono nella composizione di apolipoproteine e lipidi vengono abitualmente classificate sulla base della loro densità:
Chilomicroni che hanno la minore densità e dimensioni maggiori e raccolgono i trigliceridi e il colesterolo assunti negli alimenti a livello dell’intestino tenue
Lipoproteine a densità molto bassa VLDL vengono secrete nel fegato e contengono una notevole quantità di trigliceridi, colesterolo libero ed esterificato, fosfolipidi e proteine
Lipoproteine a bassa densità LDL comunemente note come “colesterolo cattivo” che trasportano colesterolo, colesterolo esterificato e trigliceridi nelle pareti delle arterie. Una elevata presenza di LDL nel sangue dovuta a fattori genetici o a una alimentazione eccessiva o poco sana, aumenta la quantità e lo spessore delle placche aterosclerotiche che poi portano a patologie quali aterosclerosi. L’otturazione delle arterie causata da queste placche porta poi frequentemente a degli infarti di tipo cardiaco o cerebrale
Lipoproteine a densità intermedia IDL si formano dalla degradazione delle VLDL e contengono prevalentemente colesterolo esterificato e trigliceridi. Nonostante il nome le IDL hanno densità intermedia tra le LDL e le VLDL e come le LDL possono dar luogo alla formazione di placche aterosclerotiche.
Lipoproteine ad alta densità HDL comunemente note come “colesterolo buono” in quanto sono in grado di rimuovere il colesterolo presente nelle placche aterosclerotiche e trasportarlo al fegato. Sono le lipoproteine più piccole e a maggiore densità e contengono il maggior rapporto tra proteine e lipidi.
Quando vengono effettuate le analisi cliniche uno dei parametri è il colesterolo totale che è dato dalla somma delle quantità di LDL e di HDL riscontrate nel sangue.

Un elevato valore di HDL costituisce un fattore di rischio per le patologie cardiovascolari. Tuttavia bisogna tener presente oltre al il valore di colesterolo totale anche il rapporto LDL/HDL che dovrebbe essere inferiore a 3. Infatti anche se il valore di colesterolo totale rientra nella norma ma la quantità di HDL è elevata ovvero il rapporto LDL/HDL è maggiore di 3 rimane comunque elevato il rischio di patologie che diventa ancora maggiore se sono presenti anche elevate quantità di trigliceridi.


Industria alimentare e lipidi

$
0
0

L’industria alimentare si occupa di lavorare prodotti provenienti da varie attività primarie come agricoltura, pesca e allevamento per trasformarli in prodotti da destinare al mercato.

Tramite diverse tecniche gli alimenti possono essere conservati per un tempo più o meno lungo mantenendo inalterate le loro proprietà chimiche, fisiche e nutrizionali.

Uno degli obiettivi dell’industria alimentare è quello di ottenere prodotti che abbiano una lunga data di scadenza ovvero che abbiano un lungo tempo di conservazione prima che intervengano le cause naturali di deperimento.

I lipidi sono contenuti in molti prodotti dell’industria alimentare o perché presenti naturalmente nei cibi o perché vengono aggiunti ad essi in quanto conferiscono sapore migliorando ed esaltando le proprietà organolettiche degli alimenti.

Tuttavia i lipidi sono tra le sostanze chimiche più altamente instabili in quanto possono dar luogo a molte reazioni con formazione di sostanze che compromettono il sapore del cibo ma soprattutto sono dannose alla salute.

I lipidi infatti sono suscettibili di processi ossidativi dovuti a luce, calore, enzimi, metalli, metalloproteine e microrganismi con conseguente alterazione del sapore, perdita di amminoacidi essenziali e di vitamine liposolubili.

Il processo più comune di ossidazione è dovuto alla degradazione ossidativa di acidi grassi a diverso grado di saturazione nota come perossidazione lipidica dovuta alle specie reattive contenenti ossigeno come perossidi o radicali.

La degradazione ossidativa è di tipo radicalico; nella fase di iniziazione il radicale idrossile ∙OH formato nella reazione di Fenton estrae un atomo di idrogeno in posizione α rispetto a un doppio legame con formazione di un radicale altamente instabile.

Nella fase di propagazione il radicale reagisce con l’ossigeno per dare un radicale perossidico che nella fase di terminazione dà luogo alla formazione di vari composti tra cui aldeidi, chetoni, alcoli, lipidi polimerici e prodotti tossici.

perossidazione-lipidica

Per prevenire l’irrancidimento dei lipidi vengono usati antiossidanti che inibiscono o ritardano tali processi come tocoferoli, acido ascorbico, lattato o citrato di sodio e fosfati.

Uno dei metodi particolarmente usati dall’industria alimentare consiste nella parziale saturazione dei doppi legami che intervengono nell’ossidazione dei lipidi tramite l’idrogenazione ottenendo prodotti in cui fra l’altro la percentuale della forma trans è molto alta rispetto ai lipidi naturali che si trovano abitualmente nella forma cis.

Studi risalenti già a oltre venticinque anni fa hanno dimostrato che i gassi trans aumentano il livello di colesterolo LDL e diminuiscono quello di HDL con conseguenti rischi di patologie cardiovascolari.

I grassi trans vengono utilizzati in molti alimenti quali biscotti, patatine, torte, cracker, snack per conferire oltre che un tempo più lungo di scadenza anche una maggiore consistenza dal momento che i grassi idrogenati sono semisolidi rispetto a quelli non idrogenati che sono liquidi.

I prodotti ottenuti quindi tramite il processo di idrogenazione se da un lato presentano il vantaggio di degradarsi in tempi più lunghi con un abbattimento enorme dei costi dall’altro costituiscono un serio rischio per la salute.

Si tenga presente che in Italia, contrariamente agli USA dove dal 2006 è obbligatorio mettere in etichetta la quantità di grassi idrogenati, in Italia non vi è nessuna legge specifica che obbliga il produttore ad indicare la loro presenza in etichetta.

Inoltre poiché il processo di idrogenazione avviene in presenza di un catalizzatore ed in particolare il Nichel Raney i prodotti contenenti grassi idrogenati contengono tracce di nichel che costituisce un serio problema per le persone che manifestano allergia a questo metallo.

 

Vischio

$
0
0

La pianta che più di tutte viene associata all’arrivo nel nuovo anno è il vischio a cui sono legate tante leggende e tradizioni.

Il vischio è una pianta semiparassita che cresce sui rami di alberi le cui radici penetrano, attraverso la corteccia, nel legno dell’albero-ospite.

I druidi, sacerdoti degli antichi popoli celtici, consideravano il vischio come una pianta sacra simbolo di immortalità e di rigenerazione che allontanava disgrazie e malattie.

Ancora oggi si usa come pianta augurale nel periodo natalizio e vi è l’usanza di appendere questa pianta in alto così come si trova nei rami degli alberi a cui è avvinghiata e salutare l’inizio del nuovo anno baciandosi sotto di essa.

Al vischio sono state da sempre attribuite proprietà terapeutiche e come rimedio per curare emicrania, crisi epilettiche, problemi gastrointestinali, crisi respiratorie, asma.

Sono note le sue capacità di stimolare il sistema immunitario al punto che in alcune cliniche europee la terapia al vischio viene associata a terapie convenzionali per le patologie oncologiche.

Il vischio contiene numerose sostanze farmacologicamente attive tra cui:

  • Carboidrati tra cui l’arabinogalattano che ha uno scheletro costituito da galattano con catene laterali di glucosio e arabinosio in rapporto molare 6:1 che viene utilizzato in farmaci e integratori alimentari, per migliorare il sistema immunitario, per arricchire la flora batterica intestinale e per aumentare l’efficacia dei vaccini.
  • Composti fenolici tra cui l’acido caffeico che è dotato di proprietà antibiotiche verso alcuni germi patogeni intestinali e di effetti antinfiammatori. I composti fenolici sono degli antiossidanti e proteggono il corpo dall’effetto ossidativo
  • Composti polifenolici tra cui i lignani che sembrano efficaci nella lotta ai tumori ormoni-associati ed inoltre inibiscono l’insorgenza di malattie cardiache e diabete mellito
  • Steroli tra cui il β-sitosterolo che ha un’attività ipocolesterolemizzante in quanto durante la digestione forma micelle miste con il colesterolo, riducendone l’assorbimento e triterpeni, sottoclasse dei terpeni che hanno uno scheletro carbonioso di base a 30 atomi di carbonio che hanno attività farmacologiche interessanti, tra cui antivirali, antinfiammatorie e analgesiche
  • Viscotossine ovvero proteine di piccole dimensioni che danneggiano le cellule tumorali e stimolano il sistema immunitario
  • Lecitine ovvero sostanze formate da acido fosforico, colina, acidi grassi, glicerolo, glicolipidi, trigliceridi e fosfolipidi che inducono forti risposte immunitarie
  • Acidi grassi come l’acido oleico, linoleico che sono tra i costituenti delle lipoproteine
  • glicosidi cardiaci ovvero sostanze che esercitano un’azione diretta sul cuore aumentando la forza della contrazione miocardica

Il vischio che come molte piante è fonte di sostanze benefiche per l’organismo non è quindi solo beneaugurante ma può costituire un’arma nei confronti di tante patologie

Acido 3-cloroperossibenzoico

$
0
0

L’acido 3-cloroperossibenzoico meglio noto come acido meta- cloroperossibenzoico (mCPBA) è un perossiacido organico avente formula C7H5ClO3.

Presenta il gruppo funzionale tipico dei perossiacidi –COOOH in posizione meta rispetto al cloro

acido-3-cloroperossibenzoico

L’acido 3-cloroperossibenzoico è un energico agente ossidante e viene preferito agli altri perossiacidi in quanto è più stabile; esso si presenta sotto forma di polvere bianca che va tenuta a basse temperature stante la sua infiammabilità. Ha un potere ossidante maggiore rispetto al perossido di idrogeno ed altri agenti ossidanti, è altamente selettivo e dà luogo a prodotti con alto grado di purezza e con un’alta resa.

E’ igroscopico solubile in solventi poco polari come diclorometano, triclorometano, acetato di etile, 1,2-dicloroetano, etanolo, t-butanolo, etere dietilico e in solventi non polari come benzene mentre è scarsamente solubile in n-esano, tetracloruro di carbonio ed è insolubile in acqua.

Se presenta un grado di purezza maggiore del 70% è potenzialmente esplosivo.

E’ usato prevalentemente in molte reazioni di ossidazione tra cui:

  • Epossidazione delle olefine detta anche reazione di Prilezhaev

prilezhaev-reaction

baeyer-villiger-oxidation

Se il chetone di partenza è ciclico, la reazione porta alla formazione di un lattone

lattone

  • Ossidazione di Rubottom in cui da un etere silil-enolico si ottiene un’aciloina ovvero un composto che presenta un gruppo idrossilico in posizione α a un carbonile

ossidazione-di-rubottom

  • Eliminazione di Cope in cui da un’ammina terziaria si ottiene un alchene e una idrossilammina

cope

RNH2 → RNO2

R-I → R-OH

Cannella

$
0
0

La cannella è un albero sempreverde dalla cui corteccia essiccata e arrotolata si ottiene la spezia che è conosciuta e apprezzata fin dall’antichità al punto che nel Medioevo costituiva un simbolo di potere ed era donata ai re e alle regine e a cui veniva attribuito anche un potere afrodisiaco.

Anche nei tempi più recenti è stata decantata nella famosa canzone napoletana del 1906 Comme facette mammeta dove si allude al concepimento di una bimba divenuta una donna bellissima per concepire la quale la madre aveva adoperato le merci più preziose e, per ottenere la bocca impastò “Mèle, zuccaro e cannella” ovvero miele, zucchero e cannella.

La cannella, dal profumo inconfondibile e dal tipico colore ambrato, viene venduta in bastoncini o in povere e utilizzata in cucina per preparazioni dolci ma anche in preparazioni salate soprattutto nella cucina orientale.

Come tutte le specie di origine naturale nell’antichità veniva usata a scopo terapeutico e attualmente sono state ampiamente riconosciute alcune proprietà farmacologiche tra cui quella carminativa costituendo un valido rimedio per eliminare l’aria accumulata nello stomaco e nell’intestino.

La cannella ha anche altri benefici: è infatti un antiulcera essendo attiva nei confronti dell’Helicobacter pylori, antinfiammatorio, antibatterico e antiossidante.

Si ritiene che aiuti a ridurre i livelli di LDL e aumentare quelli di HDL con conseguenti benefici per le persone affette da patologie cardiovascolari. Inoltre secondo alcune ricerche su persone affette da diabete di tipo 2 la cannella abbassa il livello di glicemia.

I maggiori costituenti sono l’aldeide cinnamica, il cinnamato, l’acido cinnamico, numerosi oli essenziali, fenoli ed in particolare l’eugenolo e terpeni.

L’aldeide cinnamica ha formula C6H5CH=CHCHO e struttura mostrata in figura

aldeide-cinnamica

e mostra proprietà antibatteriche, antivirali e antifungine.

L’acido cinnamico ha formula C6H5CHCHCOOH e struttura mostrata in figura

acido-cinnamico

L’acido cinnamico e i suoi derivati hanno azione antiossidante e proprietà antibatteriche, antivirali e antifungine.

L’eugenolo ha formula C10H12O2 è un composto aromatico ossidrilato

eugenolo

che fa parte degli allilbenzeni. Ha attività antibatterica ed antiparassitaria e anche quella di repellente per gli insetti. In odontoiatria l’eugenolo viene usato miscelato all’ossido di zinco per otturazioni provvisorie, come sottofondo per le otturazioni e come materiale da impronta e si ritiene che abbia un effetto lenitivo sulla polpa dentale e anche un limitato effetto germicida.

Acidità di α- idrogeni nel gruppo carbonilico

$
0
0

Le aldeidi e chetoni sono caratterizzati dal gruppo carbonilico costituito da un doppio legame carbonio-ossigeno >C=O che a causa della differenza di elettronegatività tra carbonio e ossigeno è di tipo polare.

Il gruppo carbonilico è stabilizzato quindi da due strutture limite di risonanza in una delle quali il carbonio ha una parziale carica positiva mentre l’ossigeno ha una parziale carica negativa e quindi il gruppo carbonilico può agire sia da elettrofilo che da nucleofilo.

Se il gruppo carbonilico ha un carbonio in posizione α e a quest’ultimo sono legati atomi di idrogeno essi vengono detti α-idrogeni che sono idrogeni acidi.

In presenza di una base, infatti, possono essere allontanati facilmente per dare un carbanione che costituisce la base coniugata del composto di partenza.

carbanione

L’acidità degli α-idrogeni dei composti carbonilici dipende dalla stabilità del carbanione formato: la stabilità dei carbanioni è influenzata sia da fattori sterici sia elettronici e tutti i fattori che disperdono la carica stabilizzano queste particelle reattive e quanto più è stabile è il carbanione tanto più acidi sono gli α-idrogeni.

Il carbanione può essere stabilizzato sia per l’effetto di risonanza dovuto alla formazione dell’enolato

enolato

sia per effetto induttivo se sono presenti gruppi R direttamente legati al carbonio in α

induttivo

Il gruppo carbonilico è presente in molti composti come aldeidi e chetoni, esteri, β-dichetoni, β-chetoesteri e β-diesteri e, a seconda dell’intorno chimico gli α-idrogeni sono caratterizzati da una diversa acidità.

Gli α-idrogeni dei chetoni sono meno acidi rispetto a quelli delle aldeidi in quanto i due gruppi R legati al carbonio carbonilico presenti nel chetone mandano densità di carica al carbonio in α per effetto induttivo che pertanto risulta meno atto a formare il carbanione.

Gli α-idrogeni dei chetoni sono più acidi rispetto a quelli degli α-idrogeni degli esteri in quanto il gruppo funzionale degli esteri presenta un doppietto elettronico sull’ossigeno che dà luogo a una struttura di risonanza

esteri

che compete con la stabilizzazione dell’enolato.

D’altra parte i β-dichetoni presentano α-idrogeni molto acidi in quanto la carica negativa presente nel carbanione viene ripartita da entrambi i gruppi carbonilici e quindi l’allontanamento di un α-idrogeno può essere operato anche da una base debole.

Fenomeno analogo si verifica per i β-chetoesteri e i β-diesteri i cui α-idrogeni sono più acidi rispetto sia ai chetoni che agli esteri.

Vengono riportati i valori di pKa relativi ad alcune specie contenenti almeno un gruppo carbonilico:

 

Specie pKa
CH3COOH (acido carbossilico) 4.7
CH3CHO (aldeide) 17
CH3CO-R (chetone) 20
CH3COOR (estere) 25
CH3COCH2COCH3 (β-dichetone) 9
CH3COCH2COOCH3 (β-chetoestere) 11
CH3OCOCH2COOCH3 (β-diestere) 13

 

 

Viewing all 1534 articles
Browse latest View live