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Channel: Chimica – Chimicamo
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Ioni aromatici

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Nel 1931 Huckel pubblicò uno studio teorico basato sulla teoria degli orbitali molecolari secondo il quale si prevedeva che sistemi ciclici planari con una nuvola π ininterrotta contenenti elettroni π in numero di 4n + 2 dove n è un numero intero, avrebbero avuto una stabilità particolari.

Posto n = 0 si ha che un composto contenente (4 x 0) + 2 = 2 elettroni π sia aromatico.

Posto n = 1 si ha che un composto contenente (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π come il benzene sia aromatico. Analogamente posto n = 2 si ha che un composto contenente (4 x 2 ) + 2 = 10 elettroni π sia anch’esso aromatico.

Schematizzando:

aromatici  : 2, 6, 10. 14, 18 elettroni π

antiaromatici : 4, 8, 12, 16, 20 elettroni π

Costituiscono quindi esempi di composti aromatici il benzene, il naftalene, l’antracene e il naftacene oltre a composti eterociclici aromatici come furano, pirrolo, imidazolo, piridina, pirimidina, indolo e chinolina.

Oltre ai composti aromatici vi sono specie ioniche che presentano aromaticità. Il più semplice dei carbocationi aromatici e il catione ciclopropenilico avente formula C3H3+

catione-ciclopropenilico

Mentre il ciclopropene non è aromatico pur presentando 2 elettroni π in quanto uno dei tra atomi di carbonio presenti nell’anello è ibridato sp3 e quindi non ha il requisito di avere una nuvola π ininterrotta il catione ciclopropenilico ottenuto dal ciclopropene per rimozione di un idrogeno come ione H+ presenta tutti gli di carbonio ibridati sp2.

Questo catione triangolare planare rispetta la regola di Huckel avendo 2 elettroni π ed infatti tutte le lunghezze di legame C-C sono le stesse.

Un altro ione aromatico è l’anione ciclopentadienilico avente formula C5H5+ .

Esso deriva dal ciclopentadiene che presenta 4 atomi di carbonio ibridati sp2 e un atomo di carbonio ibridato sp3 a cui sono legati due atomi di idrogeno.

La rimozione di uno di questi idrogeni come ione H+ operata, ad esempio dalla sodioammide, dà luogo alla formazione di un anione in cui il carbonio inizialmente ibridato sp3 diviene ibridato sp2.

Questo anione pentagonale planare rispetta la regola di Huckel avendo (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π. Esso presenta cinque strutture limite di risonanza e la carica negativa viene condivisa in ugual misura da tutti gli atomi di carbonio

anione-ciclopentadienilico

 

Il cicloeptatriene non è un composto aromatico in quanto, pur presentando (4 x 1) + 2 = 6 elettroni π come il benzene ha un carbonio ibridato sp3 e quindi non ha il requisito di avere una nuvola π ininterrotta.

Il catione cicloeptatrienile, noto come ione tropilio in cui tutti gli atomi di carbonio sono ibridati sp2 , ottenuto dalla reazione tra il cicloeptatriene e il bromo o il pentacloruro di fosforo presenta una struttura eptagonale planare con uguali lunghezze di legame C-C in cui la carica positiva è delocalizzata sui 7 atomi di carbonio del ciclo ed è quindi aromatico

ione-tropilio

L’1,3,5,7 cicloottatetraene è un composto non aromatico in quanto non è planare e ha 8 elettroni π quindi non rispetta la regola di Huckel: infatti esso dà luogo a reazioni di addizione tipiche degli alcheni.

Viceversa  il dianione del cicloottatetraene C6H82- ottenuto per reazione del cicloottatetraene con il potassio manifesta proprietà aromatiche infatti presenta 10 elettroni π, una struttura ottagonale planare con uguali lunghezze di legame C-C in cui le cariche  negativa sono delocalizzate sugli atomi di carbonio del ciclo ed è quindi aromatico

dianione-del-cicloottatetraene


Azulene

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L’azulene è un composto organico aromatico biciclico isomero del naftalene costituito da due anelli condensati costituiti da 7 e da 5 atomi di carbonio rispettivamente.

azulene

L’azulene quindi pur essendo un composto aromatico non contiene un anello costituito da sei atomi di carbonio. Ha un odore simile a quello del naftalene, ma contrariamente ad esso che è di colore bianco, è caratterizzato da una colorazione blu atipica per una molecola semplice.

L’azulene inoltre presenta un momento dipolare di 1.08 Debye mentre il naftalene ha momento dipolare nullo.

Queste caratteristiche inusuali sono da imputarsi alla particolare struttura dell’azulene in cui è presente un eccesso di carica negativa nell’anello a cinque termini e un eccesso di carica positiva nell’anello a sette termini.

Viene infatti suggerito che esso sia costituito dalla fusione del catione cicloeptatrienilico e dell’anione ciclopentadienilico entrambi aromatici e ciò giustifica la presenza di momento dipolare in quanto la densità di carica elettrica è concentrata nell’anello a cinque termini.

L’aromaticità del composto è confermata dalla sua planarità e dal numero di elettroni π che è pari a 10 e quindi coerenti con la regola di Huckel secondo la quale uno dei requisiti di un composto per essere aromatico è quello di possedere un numero di elettroni π pari a 2n + 2 con n numero intero.

L’aromaticità dell’azulene è coerente con la sua reattività in quanto dà luogo, come i composti aromatici a reazioni di sostituzione come la reazione di Friedel-Craft piuttosto che reazioni di addizione in cui, a causa della rottura di un doppio legame verrebbe a perdere l’aromaticità.

L’azulene era noto fin dal XV secolo essendo stato ottenuto per distillazione della camomilla e veniva usato sia come colorante sia per i suoi effetti benefici. Viene rinvenuto anche nella achillea e nell’assenzio ma la specie che mostra il suo tipico colore blu è il Lactarius indigo fungo diffuso in centro America, Nord America e in Estremo Oriente.

L’azulene è una sostanza liposolubile con proprietà lenitive, decongestionanti, calmanti e antinfiammatorie. Per queste sue proprietà e, in sinergia con altre sostanze, è contenuto in diverse preparazioni cosmetiche come creme, maschere, emulsioni, decongestionanti, doposole, latte detergente, dentifrici e shampoo.

La crema all’azulene è indicata per pelli sensibili e facilmente irritabile mentre la maschera all’azulene in cui è presente anche il succo di Aloe è indicato per gli arrossamenti cutanei provocati da fattori esterni come eccessiva esposizione ai raggi solari, sbalzi termici e freddo intenso.

Note marche di dentifrici utilizzano l’azulene, unitamente a cloruro di sodio e cloruro di benzalconio per ottenere un prodotto particolarmente indicato per l’azione antinfiammatoria, detergente e protettiva delle gengive.

L’olio di camomilla romana contenente un’alta percentuale di azulene era conosciuta e utilizzata già nell’Antichità, soprattutto in Grecia per le sue virtù lenitive, calmanti e antinfiammatorie.

 

Cloruro di benzalconio: attenti al gatto

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Il cloruro di benzalconio è un sale di ammonio quaternario in cui l’azoto è legato a due gruppi metilici, un gruppo benzenico e un gruppo alchilico contenente un numero pari di atomi di carbonio che va da 8 a 18

cloruro di benzalconio

Può essere usato come biocida, tensioattivo cationico o catalizzatore per trasferimento di fase ovvero un catalizzatore che accelera la migrazione di reagenti in un sistema eterogeneo da una fase ad un’altra dove può avvenire la reazione.

Per la sua azione antisettica il cloruro di benzalconio è presente in molte preparazioni non alcoliche utilizzate come disinfettanti e antisettiche. Queste soluzioni, a diversa concentrazione vengono classificate come presidio medico chirurgico e utilizzate in detergenti per le mani, salviettine umidificate e per detergere e igienizzare superfici.

A piccole concentrazioni è presente, quale conservante, in spray nasali, spray per orecchie, colliri, collutori e creme spermicide.

Viene usato come antisettico da applicarsi sulla cute, sui tessuti e sulle mucose e come disinfettante per materiale medico e chirurgico. Tuttavia i materiali di gomma quali guanti chirurgici, endoscopi, oggetti di polipropilene e polietilene tendono ad assorbire i sali di ammonio quaternari che vengono utilizzati per sterilizzare questi materiali con una conseguente diminuzione della loro concentrazione al punto che queste soluzioni non abbiano più effetto germicida.

Si sono infatti verificate infezioni ospedaliere causate da materiali conservati in soluzioni non più attive di cloruro di benzalconio. Anche le bende e le garze assorbono il cloruro di benzalconio presente in una soluzione diminuendone la concentrazione con conseguente scarso o nullo potere antisettico.

L’azione battericida del cloruro di benzalconio viene attribuita alla denaturazione delle proteine con cui viene a contatto provocando modificazioni enzimatiche irreversibili a carico della doppia membrana lipidica delle membrane cellulari di cui modifica la permeabilità con perdita di enzimi e inattivazione del microrganismo

Il cloruro di benzalconio è più attivo nei confronti di Gram positivi rispetto a quanto non lo sia nei confronti di Gram negativi ed esplica la sua azione anche nei confronti di miceti, virus lipofili e HIV ma non uccide le spore. Formulazioni più recenti in cui al cloruro di benzalconio vengono miscelati altri sali di ammonio quaternari vengono usati per estendere lo spettro biocida e aumentare l’azione disinfettante.

Si ritiene tuttavia che concentrazioni tra 0,1 e 0,5% siano in grado di dare irritazione delle mucose oculari, mentre a livello cutaneo sono irritanti soluzioni ad alte concentrazioni mentre l’esposizione prolungata a tale composto può provocare irritazioni e in casi estremi asma, dermatiti croniche e disturbi del sistema immunitario.

Per questo motivo molti colliri vengono distribuiti in confezioni monodose per eliminare l’uso dei conservanti.

Il cloruro di benzalconio non deve essere usato insieme ai saponi e detergenti anionici che lo rendono inattivo.

Un discorso a parte va fatto a chi condivide la propria vita con amici a quattro zampe ed in particolare con i gatti. Nei gatti l’esposizione a cloruro di benzalconio si verifica in genere per ingestione o per esposizione cutanea dopo che il prodotto è stato utilizzato.

Il cloruro di benzalconio è contenuto in molti e comunissimi detergenti per i pavimenti e superfici e l’utilizzo di soluzioni scarsamente diluite può provocare seri danni ai nostri amici che camminando entrano in contatto con la sostanza. Poiché i gatti sono particolarmente attenti alla loro pulizia e ricorrono alla loro saliva e alla loro lingua per mantenere il loro manto pulito ingerendo il prodotto. Le conseguenze non sono sempre visibili ma in caso di un cucciolo che ingerisce elevate quantità di cloruro di benzalconio possono provocare irritazione delle mucose orali e buccali fino alla comparsa di ulcere sulla lingua e sul palato.

Si raccomanda quindi di risciacquare abbondantemente con acqua calda le superfici trattate con tali prodotti onde evitare che il nostro amico con la coda ne possa minimamente essere danneggiato.

Catalizzatori per trasferimento di fase

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Si consideri un sistema eterogeneo del tipo liquido-liquido; esso è costituito da due fasi immiscibili tra loro e generalmente una fase acquosa e una fase organica

catalizzatori per trasferimento di fase

Un catalizzatore per trasferimento di fase (PTC) facilita la migrazione di un reagente da una fase all’altra dove la reazione ha luogo ed è generalmente usato per le reazioni tra anioni o cationi e sostanze organiche.

Poiché molti anioni (cationi) sono solubili in acqua ma non in solventi organici e reattivi di tipo organico non sono solubili in acqua un catalizzatore per trasferimento di fase agisce da navetta tra il solvente organico e l’acqua legandosi all’anione (catione) e trasportandolo nel solvente organico in modo che possa reagire con il reagente contenuto nel solvente organico per formare il prodotto di reazione tramite un meccanismo detto di estrazione.

I catalizzatori per trasferimento di fase usati per il trasferimento di anioni sono in genere sali di ammonio quaternari mentre quelli usati per il trasferimento di cationi sono gli eteri corona.

Un esempio è costituito dalla reazione tra 1-cloroottano e il cianuro di sodio. La soluzione di cianuro di sodio e immiscibile con la soluzione di 1-cloroottano e la reazione di sostituzione non avviene neanche sotto agitazione, riscaldamento e lasciando agire per un tempo piuttosto lungo.

Aggiungendo un sale di ammonio quaternario come il cloruro di tetraesilammonio la reazione ha luogo nel giro di 2-3 ore con una resa prossima al 100% e con formazione del prodotto di reazione ovvero l’ottanonitrile:

CH3(CH2)6CH2Cl + NaCN → CH3(CH2)6CH2CN + NaCl

In questo processo il sale di ammonio quaternario trasferisce lo ione cianuro dalla fase acquosa alla fase organica e, a seguito della reazione, trasferisce lo ione cloruro dalla fase organica a quella acquosa.

Per comprendere il meccanismo della reazione proposto nel 1971 da Starks ci si riferisce a un sale di ammonio quaternario denominato quat che viene simboleggiato come Q+X dove X è in genere lo ione alogenuro che si solubilizza nella fase acquosa dove è presente il reagente M+Y. Nella fase organica è presente R-Y. La coppia ionica Q+Xpuò attraversare l’interfaccia liquido-liquido diffondendosi nella fase organica dove avviene la reazione tra R e X con formazione di R-X che costituisce il prodotto di reazione. Q+ e Y attraversano l’interfaccia liquido-liquido dalla fase organica a quella acquosa combinandosi con M+X con formazione di Q+X e M+Y e così il ciclo può continuare.

Catalizzatori per trasferimento di fase

I fattori che influenzano la reazione sono:

  • Superficie interfacciale
  • Natura dell’anione
  • Dimensioni del catione del sale di ammonio
  • Temperatura
  • Agitazione
  • Tipo di solvente organico

I catalizzatori per trasferimento di fase consentono l’uso di materie prime economiche e disponibili come il carbonato di potassio e l’idrossido di sodio evitando condizioni anidre, solventi costosi e sostanze tossiche quali idruri metallici e alcossidi di metalli alcalini.

Le applicazioni industriali dei catalizzatori per trasferimento di fase vanno dalla sintesi di poliesteri, pesticidi, prodotti farmaceutici e cosmetici.

Cianuro di sodio

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Il cianuro di sodio è un composto inorganico igroscopico di colore bianco e dal leggero odore di mandorle quando è umido.

Ha formula NaCN ed è un solido ionico che si dissocia in acqua in ioni Na+ e ioni cianuro CN in cui il carbonio ibridato sp è legato all’azoto tramite un triplo legame. In acqua dà luogo a un’idrolisi basica infatti il cianuro di sodio deriva dall’acido debole HCN che ha una costante acida dell’ordine di 10-10 pertanto la costante basica relativa all’idrolisi dello ione cianuro è dell’ordine di 10-4.

Ha una  struttura cristallina simile a quella del cloruro di sodio la cui solubilità in acqua è influenzata dalla temperatura: a 10°C ha una solubilità di 48 g/100 mL mentre a 34.7 °C ha una solubilità di 82 g/100 mL.

Il cianuro di sodio può essere ottenuto secondo diverse reazioni:

  • Secondo il processo Castner-Kellner dalla reazione condotta a 600°C tra sodioammide e carbonio:

NaNH2 + C → HCN + H2

CaCN2 + Na2CO3 →2 HCN + CaCO3

HCN + NaOH → NaCN + H2O

Reazioni

Il cianuro di sodio reagisce con i chetoni per dare cianidrine:

cianidrine

Il cianuro di sodio reagisce con gli alogenuri alchilici primari per dare nitrili

nitrile

Il cianuro di sodio in presenza di agenti ossidanti dà luogo alla formazione di cianati:

NaCN + 2 KMnO4 + 2 KOH → 2 K2MnO4 + NaCNO + H2O

NaCN + H2O2 → NaCNO + H2O

NaCN + O3 + H2O → NaCNO + O2

Il cianuro di sodio reagisce con acido solforico per dare solfato acido di sodio e il temibilissimo cianuro di idrogeno:

NaCN + H2SO4 → NaHSO4 + HCN

Il cianuro di idrogeno infatti è tristemente noto con il nome di Zyklon B è un pesticida utilizzato come agente tossico nelle camere a gas di alcuni campi di concentramento e sterminio nazisti.

La tossicità dello ione cianuro è dovuta al fatto che esso può dare luogo alla formazione di composti di coordinazione con molti ioni metallici tra cui oro, argento, rame e ferro.

Lo ione cianuro si complessa lo ione ferro presente nel sito attivo dell’enzima citocromo-c ossidasi interrompendo la catena di trasporto degli elettroni con conseguente blocco dell’attività enzimatica che porta alla cessazione della respirazione cellulare e alla morte della cellula.

Il cianuro di sodio viene usato per l’estrazione mineraria di oro e argento tramite un processo detto processo al cianuro: il minerale finemente suddiviso viene trattato con il cianuro di sodio con ottenimento di un composto di coordinazione solubile.

La reazione per estrarre l’oro è la seguente:

Au(s) + 8 NaCN(s) + O2(g) + 2 H2O(l) → 4 Na[Au(CN)2] (aq) + 4 NaOH(aq)

Mentre quella per l’argento, che in genere si trova sotto forma di solfuro è:

Ag2S(s)+ 4 NaCN(s) + H2O(l) → 2 Na[Ag(CN)2] (aq) + NaHS(aq) + NaOH(aq)

La reazione tra oro e cianuro di sodio viene sfruttata nella galvanostegia per ricoprire un metallo non prezioso con un sottile strato di un metallo più prezioso o più nobile o passivabile tramite l’ elettrodeposizione.

La soluzione contenente sodio dicianoaurato (I) dissociato in acqua in Na+ e Ag(CN)2viene sottoposta a elettrolisi: il polo negativo è costituito dall’oggetto che deve essere ricoperto che costituisce il catodo dove avviene la semireazione di riduzione:

Ag(CN)2(aq) + 1 e → Au(s) + 2 CN(aq)

Al polo positivo ovvero l’anodo, costituito da oro, avviene la semireazione di ossidazione:
Au(s) + 2 CN(aq)→  Ag(CN)2(aq) + 1 e

Dal biossido di carbonio all’etanolo

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Il biossido di carbonio noto come anidride carbonica è un gas che si trova nell’atmosfera e deriva dall’ossidazione di sostanze organiche a seguito della respirazione, decomposizione, fermentazioni naturali o per reazioni di combustione.

A partire dalla Seconda Rivoluzione Industriale, tuttavia le attività umane hanno provocato un lento ma progressivo aumento di questo gas nell’atmosfera che ha determinato, unitamente ad altri gas, il riscaldamento del clima terrestre noto come effetto serra.

Già dal 1992 durante la conferenza dell’ONU sull’ambiente e lo sviluppo che si tenne a Rio de Janeiro si discusse su questa problematica e da allora sono stati sottoscritti trattati che prevedevano la riduzione dell’emissione dei gas serra. Tuttavia forti interessi economici da parte dei paesi che contribuiscono largamente alla produzione di CO2 hanno rallentato se non vanificato le buone intenzioni di quanti hanno a cuore un progresso ecosostenibile.

In campo scientifico la ricerca è indirizzata a cercare metodi di cattura, stoccaggio e riciclo di questo gas che attualmente contribuisce per oltre il 55% all’effetto serra.

Risale a pochi giorni l’annuncio fatto dai ricercatori del Oak Ridge National Laboratory in Tennessee di una scoperta avvenuta in modo casuale che consente di convertire il biossido di carbonio in etanolo con l’ausilio di un solo catalizzatore.

Nel corso dei secoli molte scoperte chimiche sono avvenute per caso come ad esempio la penicillina, la gomma gomma, il cellofan, il post-it, il velcro solo per citarne alcune. Spesso dietro queste scoperte vi sono anni di studio alla ricerca di una sostanza e alla fine se ne è trovata un’altra.

Per queste scoperte casuali è stato addirittura coniato un neologismo ovvero serendipità che secondo quanto riporta il vocabolario Treccani significaLa capacità o fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, specialmente in campo scientifico, mentre si sta cercando altro”.

Non ci resta che sperare che questa scoperta avvenuta per caso possa dare il suo contributo alla diminuzione dell’effetto serra.

Il team di ricercatori stava lavorando sulla possibilità di convertire il biossido di carbonio in etanolo ma dal loro lavoro era emerso che il processo era complesso richiedendo molti stadi e diversi catalizzatori.

Hanno costruito un supporto costituito da “spuntoni” di carbonio alti circa 50 nm sui quali vengono depositate particelle di rame che funge da catalizzatore. Su questo dispositivo viene fatta passare una soluzione contenente biossido di carbonio e a seguito del passaggio di corrente elettrica avviene la conversione in etanolo con una resa che va dal 63 al 70%.

L’etanolo ottenuto tuttavia può essere a sua volta usato come combustibile generando nuovamente anidride carbonica. Quindi il nuovo obiettivo da raggiungere è quello di ottimizzare la reazione e trovare un metodo per ottenere energia dall’etanolo senza che si sviluppi anidride carbonica.

 

Biossido di carbonio

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Il biossido di carbonio, più comunemente noto come anidride carbonica è una molecola gassosa a temperatura ambiente e ha formula CO2.

In essa il carbonio è ibridato sp e si lega, tramite doppio legame ai due atomi di ossigeno; la molecola è lineare e, sebbene l’ossigeno sia più elettronegativo del carbonio, e conseguentemente il legame è polare stante la simmetria di tali legami i dipoli si annullano reciprocamente e quindi la molecola risulta apolare.

Nel biossido di carbonio il carbonio presenta numero di ossidazione +4 che costituisce il suo massimo numero di ossidazione pertanto la molecola non risulta ulteriormente ossidabile e quindi è relativamente inerte e non dà reazioni di combustione.

Viene quindi usato in taluni tipi di estintori ovvero bombole contenenti il biossido di carbonio ad elevata pressione sotto forma gassosa. Azionando l’estintore il biossido di carbonio si trasforma, a contatto con l’atmosfera in neve carbonica con un brusco abbassamento della temperatura a – 78.5°C: l’abbassamento di temperatura e la sottrazione di ossigeno permettono di estinguere la fiamma senza lasciare residui. Infatti l’anidride carbonica allo stato solido sublima passando direttamente dallo stato solido a quello gassoso.

Osservando infatti il diagramma del biossido di carbonio

diagramma-di-fase-co2

Si nota che il punto triplo dell’anidride carbonica coincide con la temperatura di – 56.6 °C e con la pressione di 5.2 atm, superiore cioè a quella standard di 1 atm.

Ciò implica che se a partire da temperature molto basse riscaldiamo l’anidride carbonica solida sotto la pressione esterna costante di 1 atm, la sostanza sublima alla temperatura di – 78.5 °C senza passare attraverso lo stato liquido. Infatti, nel diagramma di fase risulta chiaramente evidente che la retta di equilibrio solido-liquido esiste per valori di pressione esterna superiori a 5.2 atm.

Il fatto che l’anidride carbonica solida sotto la pressione normale di 1 atm, si trovi in equilibrio con i propri vapori alla temperatura di – 78.5 °C, trova una pratica applicazione con l’impiego di questa sostanza come refrigerante per la conservazione degli alimenti. Il noto ghiaccio secco così denominato perché alla pressione di 1 atm sviluppa vapori senza fondere, non è altro che anidride carbonica allo stato solido.

Il comportamento dell’anidride carbonica fu descritto per la prima volta dal chimico fiammingo Jean Baptiste van Helmont intorno al 1640 quando notò che bruciando il carbone in un recipiente chiuso la massa della cenere era minore rispetto a quella del carbonio. Egli quindi ritenne che parte del carbone si fosse trasformato in una sostanza invisibile che chiamò spirito silvestre.

Il biossido di carbonio si trova nell’atmosfera e deriva dall’ossidazione di sostanze organiche a seguito della respirazione, decomposizione, fermentazioni naturali o per reazioni di combustione.

E’ una sostanza di fondamentale importanza nei processi vitali di animali e piante come la fotosintesi clorofilliana e la respirazione che giocano un ruolo importante nel ciclo del carbonio.

Le piante verdi che sono organismi autotrofi sono in grado infatti di convertire il biossido di carbonio e l’acqua in glucosio e ossigeno:

6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6 + 6 O2

Nel processo di respirazione in cui viene assunto ossigeno la reazione avviene in senso inverso.

A pressione atmosferica il biossido di carbonio si solubilizza in acqua per dare un equilibrio con l’acido carbonico e la sua solubilità è influenzata della pressione secondo la legge di Henry.

Il biossido di carbonio gassoso è infatti in equilibrio con quello disciolto in acqua:
CO2(g) ⇌ CO2(aq)

Il biossido di carbonio acquoso in acqua dà luogo all’equilibrio:

CO2(aq) + H2O(l) ⇌ H2CO3(aq)

Questo equilibrio è spostato a sinistra infatti solo circa l’1% di biossido di carbonio acquoso si trova sotto forma di acido carbonico.

L’acido carbonico è un acido diprotico
che si dissocia secondo gli equilibri:

H2CO3(aq) + 6 H2O ⇌ HCO3(aq) + H3O+(aq)

HCO3(aq) + H2O(l) ⇌ CO32-(aq) + H3O+(aq)

Se l’acqua, come quella degli oceani contiene ione carbonato si ha un effetto di ione in comune e l’ultimo equilibrio retrocede verso sinistra secondo il Principio di Le Chatelier con formazione di carbonato acido. Pertanto la reazione netta è:

CO2(aq) + H2O(l) + CO32-(aq) ⇌ 2 HCO3(aq)

L’aumento del biossido di carbonio che si è verificato a partire dalla Seconda Rivoluzione Industriale, oltre a contribuire notevolmente all’effetto serra, provoca la diminuzione di carbonato nelle acque oceaniche con il risultato che il pH sta andando gradualmente a diminuire e si stima sia passato da 8,25 a 8,14 negli ultimi 250 anni.

Questo fenomeno ha un impatto devastante sull’ecosistema marino e porta alla dissoluzione dei gusci calcarei delle conchiglie di molluschi, echinodermi, alghe, coralli e plancton calcareo; in pratica, di tutti gli organismi la cui esistenza è legata alla fissazione di carbonato di calcio.

Il biossido di carbonio, viene prodotto oltre che dalle reazioni di combustione, anche dalla decomposizione termica del carbonato di calcio, di litio, magnesio, stronzio e bario, ad esempio:
CaCO3(s)→ CaO(s) + CO2(g)

Il biossido di carbonio può essere ottenuto per trattamento di un carbonato metallico con un acido minerale:

CaCO3(s) + 2 HCl(aq) → CaCl2(aq) + H2O(l) + CO2(g)

Il biossido di carbonio viene utilizzato allo stato solido come ghiaccio secco e nella pulitura di superfici con il metodo della sabbiatura criogenica. Viene aggiunto ad alcune bevande per provocare effervescenza ed è usato come fluido refrigerante in impianti di refrigerazione e di condizionamento

Pastiglie per la gola

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Con i primi freddi si manifestano le tipiche malattie da raffreddamento come raffreddore, mal di gola, tosse e influenza. Fermo restando che per la loro cura è necessario il parere del medico spesso, almeno nella fase iniziale, si ci affida a pastiglie per la gola che vengono vendute come farmaco da banco e quindi non richiedono prescrizione medica.

Esistono moltissime marche di pastiglie per la gola e spesso ciascuna casa farmaceutica ne produce svariati tipi di gusti e colorazioni diversi.

Tuttavia la maggior parte delle pastiglie per la gola contengono uno o più di questi principi attivi diclorobenzil alcol, amilmetacresolo e esilresorcinolo. Nella maggior parte dei casi l’amilmetacresolo e il diclorobenzil alcol sono usati insieme mentre l’esilresorcinolo è usato da solo.

Il diclorobenzil alcool il cui nome I.U.P.A.C. è 2,4-diclorofenilmetanolo

diclorobenzil alcool

è un blando antisettico

L’amilmetacresolo il cui nome I.U.P.A.C. è 5-metil,2-pentilfenolo è un derivato del metacresolo (3-metilfenolo)

amilmetacresolo

con un gruppo pentilico legato al secondo carbonio ed è anch’esso dotato di proprietà antisettiche.

L’esilresorcinolo il cui nome I.U.P.A.C.  è 4-esilbenzene-1,3-diolo

resorcinolo

ha proprietà anestetiche e antielmintiche oltre che proprietà antisettiche.

Tuttavia secondo recenti studi sembra che queste molecole siano attive solo nei confronti del 20% dei batteri che causano il mal di gola. Si ritiene tuttavia che nella gran parte dei casi il mal di gola sia causato da virus che vengono debellati solo in piccola parte.

Tuttavia l’effetto di queste pastiglie che alleviano i sintomi del mal di gola è dovuto alla loro interazione con i canali del sodio regolati dal voltaggio che aiutano a trasmettere segnali nervosi al cervello. Tali principi attivi bloccano questi canali inducendo un effetto anestetico e impedendo che il segnale di dolore giunga al cervello.

Nelle pastiglie per la gola può essere contenuta anche benzocaina ovvero l’estere dell’acido 4-amminobenzoico e dell’etanolo per la sua azione anestetica o il destrometorfano cheè un antitussivo e proprietà blandamente sedative o la fenilefrina che è tipicamente un decongestionante nasale.

Ogni casa farmaceutica utilizza anche altre sostanze chimiche per dare un certo aroma e un certo colore alle pastiglie tra cui il mentolo che ha anche proprietà espettoranti e decongestionanti e induce una sensazione di freschezza.

Se si legge il foglietto illustrativo di note marche di pastiglie per la gola si trova che esse hanno azioni antisettiche quindi combattono i batteri mentre nella maggior parte dei casi sono i virus ad essere responsabili del mal di gola e garantiscono “un rapido sollievo” che come si è visto è dovuto all’azione anestetica delle molecole presenti.

Quindi le caramelle fatte in casa a base di miele, succo di limone, zucchero e infusi di erbe, effetto anestetico a parte, non sono meno efficaci anche se non “abbattono rapidamente il mal di gola”.


Colorante fluorescente per batterie

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Gli scienziati dell’Università di Buffalo negli U.S.A. hanno scoperto che un materiale chiamato BODIPY (abbreviazione di boro-dipirrometene) già noto per essere un materiale fluorescente che in presenza di luce nera si colora di giallo può essere utilizzato per lo stoccaggio dell’energia in batterie ricaricabili a base liquida che potrebbero in futuro alimentare automobili e case.

Secondo questa ricerca il BODIPY riesce a accumulare elettroni e partecipare al loro trasferimento. Un prototipo di questa batteria ha mostrato efficienza e durevolezza dopo che la batteria è stata scaricata e ricaricata per 100 volte

Il BODIPY è quindi una specie che lascia spazio a nuovi progetti nell’ambito delle batterie di flusso redox in cui l’energia viene accumulata in due soluzioni contenenti elettroliti separati da una membrana.

In fase di scarica gli elettroni passano da una semicella all’altra generando una corrente elettrica che può alimentare un utilizzatore. In fase di carica si utilizza energia sotto forma di energia solare, eolica o una qualunque altra forma per forzare gli elettroni a muoversi in senso inverso con conseguente ripristino della situazione iniziale.

L’efficienza di una batteria di flusso è quindi determinata dalle caratteristiche delle soluzioni contenute in ciascuna semicella.

Gli scienziati, nell’ambito della loro ricerca, hanno utilizzato in entrambe le semicelle la stessa soluzione contenente il BODIPY rilevando che esso è in grado sia di cedere elettroni che di riceverli senza subire alterazioni dopo numerose fasi di carica e scarica e hanno stimato che si possa avere una d.d.p. di 2.3 V.

Hanno inoltre ipotizzato che i derivati del boro-dipirrometene variamente sostituito possano costituire altri soluti adatti a questo scopo

Denaturazione delle proteine

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Quando una proteina è soggetta a variazioni di temperatura o di pH o si trova a contatto con determinate sostanze chimiche si può verificare una alterazione della struttura terziaria e secondaria.

Poiché le reazioni di denaturazione non sono così forti da provocare la rottura dei legami peptidici la struttura primaria, ovvero la sequenza di amminoacidi rimane inalterata mentre viene alterato il livello di organizzazione tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena o tra gli amminoacidi di catene diverse dovuto alla formazione di legami a idrogeno che determinano le strutture ad α-elica o β-foglietto.

Possono essere inoltre distrutti i quattro tipi di forze che possono concorrere a stabilizzare la struttura terziaria delle proteine ovvero le interazioni idrofobe o idrofile, le attrazioni ioniche, i legami a idrogeno e i ponti disolfuro.

Vi sono molti reagenti e condizioni che denaturano una proteina e si può spesso osservare un fenomeno di precipitazione o di coagulazione. Quando una proteina è denaturata perde la sua funzione biologica come avviene, ad esempio, nel caso degli enzimi che non riescono più a legarsi al sito attivo.

A volte è possibile che una volta rimosso l’agente denaturante la proteina, della quale non è stata cambiata la struttura primaria ritorni allo stato di partenza ma spesso il processo è irreversibile come, ad esempio, la cottura di un uovo in cui viene denaturata l’albumina in esso contenuta.

I fattori che determinano la denaturazione di una proteina sono:

  • Calore

Il calore distrugge i legami a idrogeno e le interazioni idrofobiche in quanto esso aumenta l’energia cinetica e la vibrazione delle molecole porta a una rottura di tali legami. Molti cibi vengono cotti al fine di denaturare le proteine rendendo possibile il loro metabolismo ad opera di enzimi. Le apparecchiature mediche vengono sterilizzate per riscaldamento al fine di denaturare le proteine contenute nei batteri.

  • Acidi e basi

I ponti salini presenti nelle proteine dovuti alla combinazione di legami a idrogeno e interazioni elettrostatiche tra l’anione carbossilato RCOO e lo ione ammonio RNH3+ contribuiscono alla struttura di una proteina. La presenza di acidi o di basi rompe i ponti salini con conseguente denaturazione. Questa reazione si verifica, ad esempio, durante da digestione quando i succi gastrici che hanno un basso valore di pH provocano la coagulazione del latte.

  • Alcol

Le proteine possono essere denaturate in presenza di alcuni tipi di alcol che rompono i legami a idrogeno. In particolare l’etanolo è un ottimo denaturante: una soluzione alcolica al 70% viene usata per disinfettare la pelle infatti è in grado di penetrare la parete cellulare batterica denaturandola

  • Sali di metalli pesanti

I sali di metalli pesanti denaturano le proteine agendo nello stesso modo degli acidi e delle basi. Sali contenti metalli pesanti come Hg2+, Pb2+, Ag+, Tl+e Cd2+ distruggono i ponti salini presenti nelle proteine in quanto reagiscono con i gruppi funzionali carichi negativamente formando legami covalenti. Gli ioni metallici precipitanti sono caratterizzati da un elevato rapporto carica / raggio atomico come Al3+ .

Ad esempio il nitrato di argento è dotato di attività antisettica, germicida ed astringente in quanto lo ione argento è in grado di denaturare e precipitare le proteine.  Il meccanismo di precipitazione si basa sull’interazione degli ioni Ag+ con i gruppi polari presenti negli amminoacidi che costituiscono il biopolimero proteico.

I gruppi funzionali degli amminoacidi che sono coinvolti principalmente sono il gruppo tiolico -SH, il gruppo amminico e il gruppo carbossilico.

Lo ione mercurio, contenuto in noti prodotti, esplica la sua azione grazie alla capacità di interagire con i gruppi tiolici della cisteina presente nelle proteine. Come risultato si ha la formazione di addotti chiamati mercaptidi che provocano l’inattivazione di enzimi e quindi interferiscono con le funzionalità cellulari.

 

Proteine contenute nel bianco d’uovo

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Le uova e in particolare gli albumi vengono consigliati sia nelle diete dimagranti a causa dell loro basso valore calorico sia per aumentare la massa muscolare a causa del loro alto valore biologico e della facilità di assimilazione. La grande industria si è quindi attrezzata a mettere in commercio bianchi d’uovo in polvere o liquidi in confezioni da chilo che equivalgono a 32 albumi.

Si è quindi trovata un’allocazione per gli albumi che spesso in pasticceria costituivano un prodotto “di scarto” e che venivano utilizzati per ottenere meringhe.

Fermo restando che spesso improvvisati allenatori o gestori di palestre consigliano diete inappropriate con quantità spropositate di uova bisogna ammettere che essi sono una fonte proteica inesauribile e a basso costo.

L’albume dell’uovo contiene alti livelli di proteine ed è una delle principali fonti di sostanze benefiche per la salute umana. Le proprietà e le funzioni fisico-chimiche delle principali proteine contenute negli albumi sono stati ampiamente studiate nel campo della scienza dell’alimentazione, nella biochimica alimentare e nelle trasformazioni alimentari.

Nell’albume sono contenute, oltre all’acqua, a una piccola percentuale di grassi e di minerali, soprattutto proteine:

  • Ovalbumina, glicofosfoproteina, che costituisce il 55% delle proteine presenti nell’albume e contiene 385 amminoacidi che ha una struttura tridimensionale analoga a quella delle serpine ma, a loro differenza, non è un inibitore della serin proteasi enzimi appartenenti alla classe delle proteasi che catalizzano l’idrolisi dei legami peptidici presenti in una proteina. Si denatura facilmente per azione meccanica ma resiste fino alla temperatura di 84°C prima di denaturarsi
  • Conalbumina o ovotransferrina che costituisce circa il 13% delle proteine contenute nell’albume. Denatura alla temperatura di 61°C ed è la prima a coagularsi quando si scalda un uovo. Ha la proprietà di fissare il ferro e altri ioni metallici formando un complesso.
  • Ovomucoide, glicoproteina, che costituisce il 10% delle proteine presenti nell’albume che denatura, al pH tipico dell’uovo a 79°C
  • Ovomucina che costituisce il 2% delle proteine presenti nell’albume e contribuisce alla natura gelatinosa dell’albume insolubile in acqua ma solubile in soluzioni saline. Contrariamente alle altre proteine che hanno natura globulare l’ovomucina ha struttura fibrosa
  • Lisozima che costituisce il 3.5% delle proteine presenti nell’albume e contiene 129 amminoacidi. Appartiene alla famiglia di enzimi glicoside idrolasi che catalizzano l’idrolisi di un legame glicosidico e quindi partecipa alla trasformazione di zuccheri complessi come i polisaccaridi in monosaccaridi
  • Avidina che costituisce lo 0.05% delle proteine presenti nell’albume è una glicoproteina tetrametrica che lega specificamente la biotina e protegge il bianco di uovo dalle invasioni batteriche
  • Ovoglobuline sono globuline contenute nell’albume dotate di elevata viscosità che aiutano la formazione della schiuma essendo dotate di proprietà schiumogene. Denaturano a caldo e sono insolubili in acqua mentre lo sono in soluzioni saline. Sono classificate come G1, G2 e G3 sulla base delle rispettive mobilità elettroforetiche.
  • Ovoinibitore che costituisce lo 0.1% delle proteine presenti nell’albume inibisce enzimi proteolitici come tripsina e chimotripsina eliminabile con la cottura

La maggior parte delle proteine contenute nell’albume dell’uovo costituiscono degli allergeni.

Non si può infatti parlare di intolleranza in quanto i disturbi dovuti all’errata identificazione delle proteine da parte del sistema immunitario che le identifica come dannose.

Quando l’organismo entra in contatto con queste sostanze gli anticorpi le segnalano al sistema immunitario che per difendersi rilascia istamina e altre sostanze che causano sintomatologia allergica con disturbi quali asma, senso di costrizione, crampi, nausea, vomito, rinite allergica, infiammazioni cutanee e orticaria.

Nitruri

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I nitruri costituiscono una classe di composti prevalentemente binari o ternari in cui è presente l’azoto con numero di ossidazione -3 che hanno un’ampia gamma di proprietà e di applicazioni.

Gli elementi a cui si lega l’azoto per formare nitruri sono non metalli come zolfo, boro e fosforo, metalli alcalini come il litio, metalli alcalino terrosi, metalli di transizione e lantanoidi.

I processi di nitrurazione si svilupparono agli inizi del 1900 e vengono ancora studiati per il vasto campo di applicazioni in cui un nitruro può essere utilizzato che spazia dal campo delle costruzioni aeree a quello della componentistica per autoveicoli. I nitruri trovano inoltre applicazione nel campo dei semiconduttori in  cui il metallo presente è gallio, indio e alluminio.

Questi composti presentano un alto punto di fusione e una banda proibita (band gap) ovvero un intervallo di energia interdetto agli elettroni che va da 0.7 eV per il nitruro di indio a 6.2 eV per il nitruro di alluminio. I nitruri sono spesso materiali refrattari a causa dell’elevata energia reticolare che è dovuta alla forte attrazione di N3- con l’altro elemento come nel caso del nitruro di titanio e del nitruro di silicio mentre il nitruro di boro che ha una struttura a strati è un ottimo lubrificante

Nei nitruri l’azoto è legato a un elemento che presenta una elettronegatività più bassa come boro o silicio o con metalli- analogamente ai carburi, i nitruri possono essere classificati in tre categorie: ionici, interstiziali e covalenti a seconda del tipo di legame esistente tra l’azoto e gli elementi ad esso legati.

Nitruri ionici:

il litio è l’unico metallo alcalino che forma un nitruro, mentre tutti i metalli alcalino terrosi sono in grado di formare nitruri. Questi composti possono essere considerati come costituiti dal catione metallico e dall’anione N3- e sono pertanto di tipo ionico. Essi danno luogo a idrolisi per dare ammoniaca e l’idrossido del metallo come, ad esempio, il nitruro di calcio:

Ca3N2 + 6 H2O → 2 NH3 + 3 Ca(OH)2

Questo tipo di nitruri mostrano stabilità diverse: il nitruro di magnesio si decompone a 270°C mentre quello di boro fonde a 2200 °C senza decomporsi. Esempi di nitruri ionici binari sono Li3N, Mg3N2 e LaN mentre esempi di nitruri ionici ternari sono LiMgN, Li5TiN3 e Li2CeN2.

Nitruri interstiziali:

i metalli di transizione formano nitruri interstiziali in cui l’azoto occupa gli interstizi nel reticolo cristallino dei metalli. Sono generalmente binari e dotati di elevati punti di fusione, alta conducibilità e relativa inerzia chimica; non danno abitualmente reazione di idrolisi ma possono reagire con gli acidi come nel caso del nitruro di vanadio con produzione di ammoniaca e idrogeno gassoso:

2 VN + 3 H2SO4 → V2(SO4)3 + N2 + 3 H2

Nitruri covalenti:

sono sia binari che ternari ed in genere sono costituiti da un non metallo come B, C, Si e P o da metalli di transizione, lantanoidi e metalli alcalino terrosi. I nitruri covalenti esibiscono comunque un parziale carattere ionico, ad esempio Si3N4 ha circa il 30% di carattere ionico e il 70 % di carattere covalente.

I nitruri covalenti hanno elevata stabilità chimica e un’alta band gap; esempi di nitruri covalenti binari sono BN, GaN e Ge3N4 mentre esempi di nitruri covalenti ternari sono BeSiN2, CaGeN2 Mn2PN3.

Agar agar

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L’agar agar è un polisaccaride dalle proprietà gelificanti scoperto nel 1658 in Giappone da Tarazaemon Minoya ed usato sin dal XVII secolo nei paesi orientali.

Allo stato naturale è contenuto nelle pareti cellulari di alcuni tipi di alghe rosse del genere Gracilaria, Gelidium e Pterocladiacome probabilmente sotto forma di sale di calcio o di una miscela di sali di calcio e di magnesio.

Il contenuto di agar-agar nelle alghe caria a seconda delle condizioni dell’acqua di mare: concentrazione di CO2, temperatura dell’acqua, intensità della radiazione costituiscono infatti alcuni fattori che possono influenzare notevolmente il suo contenuto.

L’agar agar è formato da una miscela complessa di polisaccaridi costituita da varie frazioni di polimeri in prevalenza da agarosio

agarosio

polimero lineare neutro costituito da unità di D-galattosio e di 3.6-anidro-L-galattosio legate alternativamente con legami glicosidici con azione gelificante e di agaropectina che ha la stessa struttura dell’agarosio ma se ne differenzia per l’esterificazione di alcuni gruppi alcolici con acido solforico, D-glucuronico o piruvico che costituisce la frazione non gelificante

La composizione percentuale dei due principali polimeri è variabile ma prevalentemente l’agarosio costituisce circa i due terzi.

L’agar agar è insolubile in acqua fredda ma si rigonfia assorbendo fino a venti volte il suo peso in acqua mentre si solubilizza in acqua a temperature comprese tra 95 e 100°C.

La parte gelificante dell’agar agar ha una struttura a doppia elica; le doppie eliche si aggregano per formate una struttura tridimensionale in cui si posizionano le molecole di acqua formando un gel termoreversibile ovvero si può riutilizzare riscaldandolo una volta addensato.

L’agar agar forma un idrocolloide ovvero una specie colloidale formata da acqua quale fase disperdente che si forma in soluzioni molto diluite contenenti una frazione tra 0.5 e 1.0% di fase dispersa. Il gel è duro e fragile e la sua resistenza è influenzata dal pH e dalla presenza di zuccheri.

La viscosità di una soluzione di agar a temperature superiori al suo punto di gelificazione è relativamente costante a valori di  pH compresi tra 4.5 e 9.0.

La proprietà gelificante dell’agar agar viene sfruttata da parte dell’industria alimentare dove viene riportato con la sigla E406 per la preparazione di prodotti dolciari quali gelati, budini, caramelle e confetture ma anche in preparazioni salate come aspic e come addensante di zuppe e minestre costituendo l’alternativa vegetale della colla di pesce.

L’agar agar viene usato come substrato per preparare colture batteriche in microbiologia, come lassativo ma anche per ridurre i livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue e contrastare il diabete.

Viene utilizzato insieme ad opportune resine insieme all’acqua quale materiale per impronte dentarie, nella preparazione di adesivi, come appretto per la carta e per la seta e in fotografia per la preparazione di emulsioni.

Allergia al pesce

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Le allergie sono in progressivo e costante aumento nei paesi industrializzati e colpisce circa il 6-10% della popolazione adulta e il 20-25% dei bambini.

Negli ultimi anni si assiste a un rapido incremento delle allergie alimentari dovute a una reazione patologica del sistema immunitario nei confronti di un particolare alimento ed in particolare ad un allergene in esso contenuto. L’ingestione di un determinato allergene ovvero di una proteina contenuta nell’alimento provoca una catena di reazioni del sistema immunitario con produzione di anticorpi che determinano il rilascio di sostanze chimiche tra cui l’istamina con conseguente disturbi quali prurito, disturbi digestivi e compromissione respiratoria fino a giungere in casi estremi a shock anafilattici.

La maggior parte dei casi di allergia al pesce sono quindi IgE-mediati e seguono all’ingestione, al contatto o all’inalazione di vapori alla cottura.

Il pesce ha un ruolo importante nella nutrizione umana e costituisce una risorsa proteica: le proteine possono variare da un contenuto da 10 a 35  per 100 g di parte edibile ma sono proprio queste proteine che possono rappresentare un potente allergene alimentare.

Con la locuzione allergie al pesce si intendono quelle reazioni imputabili ai crostacei e ai molluschi o ai pesci che vengono a loro volta suddivisi in pesci ossei e pesci cartilaginei. I pesci ossei rappresentano la maggior parte dei pesci che, a differenza dei pesci cartilaginei che hanno uno scheletro interno cartilagineo, hanno uno scheletro osseo che si viene a formare per ossificazione dello scheletro embrionale cartilagineo.

Nei crostacei come gamberi, mazzancolle, aragoste, granchi e nei molluschi come cozze, vongole, telline, cannolicchi, ostriche, fasolari, seppie, calamari e polpi la proteina che sembra essere il maggiore allergene è la tropomiosina costituite da due subunità ripiegate ad α-elica di tipo filamentoso che ha forma di bastoncino. La tropomiosina insieme alla miosina e alla actina  contribuisce alla contrazione muscolare, al trasporto di mRNA ed al supporto meccanico della cellula. Oltre alla tropomiosina altri allergeni contenuti nei crostacei e molluschi sono la miosina a lunga catena e l’aginina chinasi, enzima appartenente al gruppo delle chinasi che fosforilano altre proteine.

Nei pesci il primo allergene identificato nel merluzzo è la parvalbumina, proteina contenuta nei muscoli che ha un basso peso molecolare appartenente alla famiglia delle albumine e in grado di legare il calcio, solubile in acqua, resistente al calore e agli agenti denaturanti. Altri allergeni contenuti nel pesce sono il collagene e la gelatina contenuta nella pelle.

La diagnosi di allergia non è semplice in quanto un paziente può essere allergico a un tipo di pesce e non ad altri quindi il medico può prevedere specifici test di provocazione orale o in doppio cieco che tuttavia sono di difficile esecuzione e vengono praticati in pochi centri specializzati. Il  test, che viene effettuato anche se si sospettano altri tipi di allergia oltre a quella al pesce,  consiste nella somministrazione orale gli alimenti sospetti, ma anche dei placebo, uno per volta e sotto forma di capsule o gocce. Il test viene effettuato in day hospital in quanto si potrebbero scatenare reazioni violente ed è quindi necessario un ambiente protetto ed è anche piuttosto lungo in quanto tra una somministrazione e l’altra devono passare circa sei ore.

Una considerazione va fatta: l’allergia al pesce secondo alcuni potrebbe essere imputata, tra l’altro, all’inquinamento del mare. Dovrebbe essere quindi giunto il tempo che l’uomo non continui a devastare l’ambiente per la sua salute e quella dei suoi figli.

Collagene

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I collageni sono un gruppo di glicoproteine naturali che si trovano nel tessuto connettivo degli animali. Il collagene associato in fibrille si trova nei tessuti fibrosi come tendini, legamenti e nella pelle ma si rinviene anche nella cornea, nella cartilagine, vasi sanguigni e nel disco intervertebrale.

La determinazione della struttura del collagene ha impegnato gli scienziati in decenni di ricerca e fu solo nel 1955 che ad esso è stata attribuita una struttura a tripla elica destrorsa costituita da due catene identiche (α1) e da una terza catena che differisce dalle prime due (α2). Le fibre di collagene sono organizzazioni sovramolecolari di molecole di tropocollagene che si associano in modo diverso tra loro per generare diversi gradi di resistenza. Il tropocollagene è l’unità funzionale del collagene costituito da tre filamenti sinistrorsi che, unendosi tra loro formano la tripla elica destrorsa.

struttura

La composizione degli amminoacidi presenti nel collagene è atipica per le proteine ed in particolare per il contenuto elevato di idrossiprolina.

La sequenza di amminoacidi più comune nel collagene è Glicina-Prolina-X e Glicina-Idrossiprolina-X dove X è un amminoacido diverso dalla glicina, prolina o idrossiprolina. Poiché la glicina è l’amminoacido più piccolo e privo di catene laterali essa ha un ruolo caratteristico in quanto si trova in ogni terza posizione per consentire l’assemblaggio della tripla elica in cui questo amminoacido si trova all’interno dove non c’è spazio per un gruppo laterale e per lo stesso motivo la prolina e l’idrossiprolina puntano verso l’esterno.

La biosintesi del collagene avviene sia all’interno che all’esterno della cellula ed è enzimaticamente coadiuvata. Nella fase iniziale l’m-RNA di circa 34 geni viene trascritto e successivamente tradotto a livello di ribosomi; nella catena nascente di procollagene alcuni residui di prolina e lisina vengono idrossilati da due specifici enzimi per formare idrossiprolina e idrossilisina con produzione di catena α di procollagene.

Tre di queste catene si avvolgono a formare una tripla elica, stabilizzata da legame a idrogeno intracatena. Questa catena passa all’apparato del Golgi dove i filamenti idrossilati subiscono una glicosazione, ovvero l’aggiunta di zuccheri alla catena peptidica a livello dell’idrossilisina. La molecola viene quindi secreta all’esterno dove subisce l’azione del procollagene peptidasi, enzima necessario per il processamento extracellulare del collagene che è in grado di rimuovere i residui N-terminali e C-terminali con formazione del tropocollagene. Le molecole di tropocollagene tra le quali si instaurano legami covalenti tendono a disporsi in file parallele formando fibrille.

Nel corso degli anni e con l’avanzare dell’età la produzione di collagene diminuisce e, poiché esso fornisce compattezza e sostegno ai vari organi, l’assottigliamento del suo strato determina l’aspetto rugoso e cadente della pelle del viso. Per contrastare l’assottigliamento del derma e la conseguente atonia, già da molti anni, medici specialisti praticano iniezioni di collagene usato come filler per dare supporto a quello naturale residuo presente nella pelle e di sostituirsi in parte ad esso in modo che la pelle riacquisti un aspetto e una consistenza più giovane.

Chi decide di sottoporsi a questo trattamento deve sapere che, sebbene il risultato sia ben visibile da subito, la sua durata, variabile da soggetto a soggetto, ha una durata limitata a 3-4 mesi.


Idrossidi anfoteri

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Una sostanza si definisce anfotera dal greco ἀμφότεροι che significa “entrambi” se presenta una natura duplice ovvero può agire sia da acido che da base. Molti metalli tra cui berillio, zinco, alluminio, gallio, piombo (II), stagno(II) e stagno (IV), gallio e cromo (III) formano idrossidi anfoteri.

Gli idrossidi anfoteri si presentano spesso allo stato solido sotto forma di polvere di colore bianco e scarsamente solubili in acqua mentre sono solubili in ambiente acido e in ambiente basico.

Un esempio di idrossido anfotero è costituito dall’idrossido di berillio Be(OH)2 che è scarsamente solubile in acqua.

In ambiente acido l’idrossido di berillio si comporta da base e dà una reazione di neutralizzazione con formazione di sale e acqua:

Be(OH)2(s) + 2 HCl(aq) → BeCl2(aq) + 2 H2O(l)

Il cloruro di berillio, a basse concentrazioni, è solubile in acqua. Se alla soluzione di cloruro di berillio viene aggiunta una base si forma un precipitato bianco di idrossido di berillio secondo la reazione netta:

Be2+(aq) + 2 OH(aq)→ Be(OH)2(s)

In ambiente basico l’idrossido di berillio si comporta da acido e dà luogo alla formazione del complesso tetraidrossoberillato solubile in acqua:

Be(OH)2(s) + 2 OH (aq) → Be(OH)42- (aq)

Un analogo esempio viene fornito dall’idrossido di zinco anch’esso poco solubile in acqua che viene solubilizzato sia in ambiente acido che basico secondo le reazioni:

Zn(OH)2(s) + 2 HCl(aq) → ZnCl2(aq) + 2 H2O(l)

Zn(OH)2(s) + 2 OH (aq) → Zn(OH)42- (aq)

L’esempio tipico di un idrossido anfotero è quello dell’idrossido di alluminio che è scarsamente solubile in acqua ma in ambiente acido dà luogo alla formazione di un sale solubile:

Al(OH)3(s) + 3 HCl(aq) → AlCl3(aq) + 3 H2O(l)

In presenza di una base forte come NaOH dà luogo alla formazione del tetraidrossoalluminato solubile in acqua secondo la reazione netta:

Al(OH)3(s) + OH (aq) → Al(OH)4 (aq)

La solubilità del tetraidrossoalluminato viene sfruttata per ottenere ossido di alluminio dalla bauxite secondo il processo Bayer che, sebbene proposto dal chimico Karl Bayer nel 1887, è ancora oggi quello maggiormente usato.

La bauxite contiene infatti, oltre all’ossido di alluminio, l’ossido di ferro (III) e l’ossido di silicio e altre impurezze che devono essere eliminate.

In questo processo la bauxite viene lavata con una soluzione di NaOH concentrato in una fase detta di digestione.

La concentrazione di NaOH, la temperatura che è compresa tra 140 e 240°C e la pressione dipendono dal tipo di bauxite e dalla presenza delle specie mineralogiche in essa contenute.

In tali condizioni mentre l’ossido anfotero di alluminio si trasforma in tetraidrossoalluminato solubile gli altri componenti rimangono indisciolti costituendo una miscela di impurità solide chiamata fango rosso che viene filtrata e scartata ad eccezione del silicato di sodio formatosi che è solubile.

Nel secondo stadio il tetraidrossoalluminato viene trattato con CO2 che, essendo un ossido acido, abbassa il pH fino a 6 e in tali condizioni mentre il silicato di sodio rimane in soluzione si verifica la precipitazione dell’idrossido di alluminio:

Al(OH)4 (aq) + CO2(g) → Al(OH)3(s) + HCO3(aq)

L’idrossido di alluminio viene filtrato, lavato e scaldato per dare ossido di alluminio:

2 Al(OH)3(s) → Al2O3(s) + 3 H2O(l)

L’ossido di alluminio ottenuto viene sottoposto a elettrolisi per la produzione dell’alluminio.

Acido polilattico

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L’acido polilattico (PLA) è un poliestere alifatico costituito da acido lattico (acido 2-idrossipropionico) derivante da fonti di origine vegetale come mais, grano o barbabietola.

E’ un materiale termoplastico biodegradabile ovvero si decompone grazie a un’attività biologica e ai mutamenti della sua struttura chimica e compostabile ovvero se esposto a determinate condizioni si decompone non lasciando alcun residuo visibile o tossico.

E’inoltre biocompatibile biocompatibile in contatto con tessuti viventi ed è quindi adatto per applicazioni biomedicali come impianti, suture e capsule per i farmaci.

Fu sintetizzato per la prima volta dal chimico francese Théophile-Jules Pelouze nel 1845 per policondensazione dell’acido lattico ma si otteneva un polimero fragile, con basso peso molecolare e scarse proprietà meccaniche. Fu solo nel 1932 che Carothers propose una via sintetica per dimerizzazione dell’acido lattico in lattide e successiva polimerizzazione dovuta all’apertura dell’anello. 

polimerizzazione

Nel 1954 la DuPont non migliorò le tecniche di purificazione del lattide e il processo, che è stato poi perfezionato, fu brevettato dalla Cargill Dow.

Nella prima parte della sintesi l’acido lattico viene riscaldato sotto vuoto per favorire l’allontanamento dell’acqua che si forma a seguito della condensazione delle due unità monomeriche. Nella seconda parte della sintesi, in presenza del catalizzatore 2-etilesanoato di stagno (II) noto come ottanoato stannoso

stagno-ottanoato

si verifica l’apertura dell’anello e la polimerizzazione.

Attualmente l’acido lattico viene ottenuto a livello industriale per fermentazione di zuccheri e carboidrati tramite fermentazione operata dai batteri lattici.

Stante la sua biocompatibilità l’acido polilattico è usato nella medicina estetica per ridurre la profondità delle rughe ed aumentare i volumi sottocutanei.

Sebbene venga spesso denominato filler l’azione dell’acido polilattico è quella di stimolare la formazione di neocollagene. Per questo motivo, contrariamente ai filler veri e propri utilizzati nel campo della medicina estetica, come acido ialuronico e collagene, gli effetti non sono immediatamente visibili ma sono graduali ed evidenti solo nei mesi successivi e di maggior durata rispetto agli altri filler.

Storicamente gli usi dell’acido polilattico sono stati essenzialmente limitati al settore biomedico ma nell’ultimo decennio, grazie ad altri metodi di polimerizzazione che ne consentono una produzione a costi più limitati, il PLA viene usato, sotto forma di fibre o schiume al posto delle tradizionali materie plastiche che hanno lo svantaggio di essere persistenti nell’ambiente.

L’uso del PLA si è quindi esteso, a seconda della sua densità, ad articoli monouso come piatti, posate, bicchieri, flaconi, bottiglie e buste di plastica; in fibre viene utilizzato come materiale di riempimento per cuscini, materassi e piumoni ma anche in tessuti e nell’abbigliamento sportivo mentre in schiuma viene usato come riempitivo strutturale.

Glicole etilenico

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Il glicole etilenico il cui nome I.U.P.A.C. è 1,2-etandiolo è un diolo vicinale in quanto presenta i due gruppi ossidrili legati a due atomi di carbonio a loro volta direttamente legati tra di loro.

E’ un liquido incolore, dal sapore dolciastro, inodore, igroscopico dotato di bassa volatilità e bassa viscosità, miscibile in acqua in tutte le proporzioni e in molte sostanze organiche come metanolo, fenolo e acetone.

La reattività del glicole etilenico è dovuta alla presenza di due gruppi funzionali –OH tipici degli alcoli pertanto la chimica dell’1,2-etandiolo è quella tipica degli alcoli che possono essere convertiti, tra l’altro, ad aldeidi, alogenuri alchilici, acidi carbossilici,eteri e tioli.

Il glicole etilenico può essere quindi utilizzato quale intermedio di un’ampia gamma di reazioni ed in modo particolare per la produzione di resine e fibre a base di poliesteri tra cui il polietilentereftalato sebbene il suo uso più noto è quello di antigelo infatti una miscela costituita dal 60% di glicole etilenico e dal 40% di acqua cristallizza alla temperatura di circa – 45°C.

Il glicole etilenico viene utilizzato anche quale solvente nell’industria delle vernici e della plastica, nel liquido per freni idraulici, nell’inchiostro per penne a sfera e come componente dei lucidi per scarpe.

Sintesi

Il glicole etilenico può essere ottenuto per ossidazione dell’etene in presenza di un catalizzatore di ossido di argento che porta alla formazione dell’ossido di etilene, anche detto ossirano, etere ciclico avente formula C2H4O.

La successiva idratazione dell’ossido di etilene porta alla formazione del glicole etilenico:

sintesi-glicole-etilenico

La reazione di idratazione può avvenire in condizioni sia acide che basiche o neutre. Abitualmente a livello industriale la reazione, che avviene in modo esotermico, viene realizzata in condizioni neutre o in condizioni acide in cui viene utilizzato acido solforico allo 0.5% , alla temperatura di 50-70°C e sotto pressione.

Oltre al glicole etilenico si formano anche omologhi superiori in quanto l’ossido di etilene reagisce più velocemente con i dioli formatisi che non con l’acqua. Questa reazione collaterale può essere minimizzata con la presenza di un grande eccesso di acqua ed in questo modo si ottengono rese che arrivano al 93%.

Dopo essere stato allontanato dal reattore il prodotto viene distillato a bassa pressione per allontanare l’acqua e successivamente avviene la purificazione del glicole etilenico distillandolo sotto vuoto. Questo metodo presenta alcuni svantaggi tra i quali la necessità di disporre di impianti costituiti da materiali resistenti alla corrosione e l’allontanamento dell’acido dal prodotto.

Il glicole etilenico è nocivo per ingestione e può provocare danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta.

Flocculanti

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La flocculazione è un processo che avviene dopo la coagulazione in cui le particelle presenti in un sistema colloidale danno luogo alla formazione di aggregati.

Questo processo viene utilizzato in svariati campi e principalmente nel trattamento di purificazione delle acque, in campo farmaceutico per stabilizzare le sospensioni e nel campo dell’industria enologica per conferire limpidezza al vino.

Vengono quindi utilizzati agenti flocculanti che hanno la funzione di aggregare le particelle sospese in modo da rendere più efficienti le operazioni di sedimentazione, chiarificazione, filtrazione e centrifugazione.

I flocculanti sono sostanze a diverso peso molecolare di tipo anionico, cationico e polimerico a seconda della carica delle particelle superficiali che devono essere destabilizzate e generalmente sono efficienti in un determinato intervallo di pH.

La velocità di flocculazione è influenzata da diversi fattori: ad esempio l’agitazione o il riscaldamento della soluzione provocano un aumento dell’energia cinetica delle particelle sospese con conseguente maggiore velocità di aggregazione con il flocculante.

Un altro fattore è costituito dal volume della soluzione: un volume maggiore di soluzione implica una quantità maggiore di flocculante ed inoltre la quantità di flocculante necessaria è influenzata dalla sua carica e dalla sua dimensione.

Una particella dispersa in un liquido può presentare delle cariche elettrostatiche superficiali che generando un campo elettrico attrae ioni di segno opposto nello spazio che la circonda.

Ad esempio lo ioduro di argento AgI, assorbe, sulla sua superficie, lo ione presente in eccesso dando due tipi di aggregati:

  • [AgI]Icircondato da un controione positivo presente in soluzione come ad esempio K+
  • [AgI]Agcircondato da un controione negativo come ad esempio I

Il doppio strato elettrico genera un potenziale detto potenziale zeta o potenziale elettrocinetico ζ il cui valore è correlato alla natura e alla struttura del doppio strato elettrico all’interfaccia particelle-liquido.

Un flocculante anionico come un sale o un idrossido metallico agisce con le cariche positive (potenziale zeta positivo) mentre un flocculante cationico agisce con le cariche negative (potenziale zeta negativo).

I flocculanti maggiormente usati sono:

silicato di sodio spesso detto silice attivata Na2SiO3

bentonite (Al2O3-4 SiO2– 4 H2O)

solfato di alluminio Al2(SO4)3

allume, sale doppio di alluminio e potassio, KAl(SO4)2

derivati dell’amido, polisaccaridi, alginati

polimeri come la poliacrilammide derivante dalla polimerizzazione dell’acrilammide CH2=CH-CONH2

Meccanismo di azione

I flocculanti ionici come il solfato di alluminio si solubilizza dando ioni Al3+ e SO42-. Le particelle colloidali contenute nella soluzione in cui sono presenti cariche superficiali si legano ai controioni e diventano sufficientemente pesanti da precipitare.

I flocculanti polimerici come la poliacrilammide, invece, sono caratterizzati dalla presenza di una lunga catena e da elementi elettronegativi come in particolare l’ossigeno che forma legami covalenti polari.

poliacrilammide

Le dimensioni della macromolecola, unitamente alla presenza di atomi che hanno una parziale carica fa sì che le particelle colloidali si aggregano ad essa e precipitino rapidamente.

Sono comunque allo studio altri tipi di flocculanti come i bioflocculanti che potrebbero costituire una valida alternativa ai flocculanti tradizionali.

Ammine biogene

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Le ammine biogene svolgono un ruolo importante in molte funzioni fisiologiche umane come la regolazione della temperatura corporea, il pH dello stomaco e l’attività cerebrale.

Esse derivano dalla decarbossilazione degli amminoacidi ovvero da una reazione di eliminazione a seguito della quale viene allontanata anidride carbonica e costituisce una delle più importanti reazioni metaboliche.

Esse costituiscono una fonte di azoto e sono i precursori della sintesi di ormoni, alcaloidi, acidi nucleici sebbene alimenti che contengono elevate quantità di queste sostanze possono avere effetti tossici.

L’eliminazione dell’anidride carbonica avviene grazie a una classe di enzimi noti come decarbossilasi che utilizzano il piridossalfosfato come coenzima.

Dalla decarbossilazione degli amminoacidi si ottengono ammine che spesso rivestono un importante ruolo nel campo biochimico o che hanno attività fisiologiche e sono pertanto dette ammine biogene.

decarbossilazione

Ad esempio dalla decarbossilazione della lisina, ad opera dell’enzima lisina decarbossilasi, si ottiene la cadaverina sostanza dall’odore nauseabondo presente nei processi di putrefazione e anche in piccola quantità negli esseri viventi essendo responsabile dell’odore delle urine.

Dalla decarbossilazione della ornitina si ottiene la putrescina che, come la cadaverina ha un odore fetido e deriva dalla putrefazione di alcuni alimenti.

Un altro esempio è fornito dalla decarbossilazione dell’istidina ad opera della istidina decarbossilasi da cui si ottiene l’istamina che è uno dei mediatori chimici dell’infiammazione ed è anche un neurotrasmettitore.

Dal triptofano si ottiene per decarbossilazione la serotonina neurotrasmettitore noto con il nome di ormone del buonumore che interagisce con recettori specifici dando effetti diversi: nel sistema nervoso centrale svolge un ruolo nella regolazione dell’umore, del sonno e del senso di fame.

Dalla decarbossilazione dell’arginina, ad opera dell’arginina-decarbossilasi, si ottiene l’agmatina  che è un regolatore biologico e agisce come un neuromodulatore.

Dalla fenilalanina si ottiene, per decarbossilazione, la feniletilammina, soprannominata “love-drug” in quanto è un neurotrasmettitore rilasciato nel cervello quando si sperimentano sentimenti di gioia e amore in grado di generare sensazioni come quelle che ha una persona innamorata e si ritiene che sia responsabile degli effetti afrodisiaci che sembra avere il cioccolato.

Dalla tirosina si ottiene, ad opera della tirosina decarbossilasi, la tirammina che è in grado di stimolare il rilascio di noradrenalina causando vasocostrizione con aumento della pressione sanguigna e dei battiti cardiaci.

Le ammine biogene sono spesso presenti nei cibi deperibili, fermentati e ad alto contenuto proteico come pesce, carne, salumi, succhi di frutta, vino, cacao, formaggi e latticini e la loro quantità nel cibo è un indicatore del grado di freschezza e della qualità di conservazione.

Basse concentrazioni di ammine biogene sono una caratteristica naturale di un numero di prodotti alimentari in cui sono presenti come prodotti o intermedi naturali del metabolismo.

L’eccessiva presenza di ammine biogene può provocare emicrania, tachicardia, nausea fino a casi estremi di emorragia cerebrale, shock anafilattico e morte. Alcune ammine biogene hanno un effetto ipo e ipertensivo: infatti le ammine aromatiche mostrano un effetto vasocostrittore mentre altre hanno un effetto vasodilatatore.

Le ammine biogene più pericolose per la salute dell’uomo sono l’istamina e la tiramina mentre la feniletiammina, la serotonina, la putrescina e la cadaverina sembra che agiscano da potenziatori delle prime ostacolando i meccanismi enzimatici di detossificazione dell’organismo.

L’istamina e la tiramina sono responsabili rispettivamente della sindrome sgombroide e della sindrome del formaggio.

La sindrome sgombroide, spesso confusa come allergia alimentare, è dovuta all’ingestione di pesce alterato. Questa sindrome che si verifica dopo l’ingestione di pesci a carne rossa che sono ricchi di istidina, che si trasforma in istamina e si trova nel tessuto dei pesci mal conservati o lavorati e si manifesta con eritema, cefalea, crampi addominali, nausea, diarrea e tachicardia.

La sindrome del formaggio si manifesta con una crisi ipertensiva che si verifica in soggetti in terapia con  farmaci antidepressivi inibitori della monoamino ossidasi quando ingeriscono alcuni formaggi piccanti.

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