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Tiourea

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La tiourea detta anche tiocarbammide è un composto organico solforato simile all’urea in cui al posto dell’ossigeno è presente lo zolfo avente formula (NH2)2C=S

La tiourea è utilizzata nell’ambito delle sintesi organiche e i suoi derivati detti genericamente tiouree sono composti in cui gli atomi di idrogeno sono sostituiti da gruppi R sono analoghi alle ammidi e sono detti tioammidi.

Viene inoltre utilizzata nella preparazione di bagni di sviluppo in fotografia, come acceleratore nel processo di vulcanizzazione e nella produzione di resine.

La tiourea è usata nei bagni di lucidatura dell’argento grazie alla sua capacità di formare complessi solubili con i sali di argento che hanno prodotto l’annerimento.

Viene usata come fonte di zolfo nell’ottenimento del solfuro di cadmio per la produzione di celle fotovoltaiche.

La tiourea è una molecola planare e si trova in due forme tautomeriche

forme tautomeriche

quindi presenta tre gruppi funzionali: amminico, imminico e tiolico.

A temperature intorno a 135°C la tiourea isomerizza a tiocianato di ammonio:

(NH2)2C=S ⇌ NH4SCN

Sintesi

La tiourea può essere sintetizzata in diversi modi tra cui:

  1. Dalla decomposizione termica del tiocianato di ammonio:

NH4SCN → (NH2)2C=S

  1. Dalla reazione tra calciocianammide e idrogenosolfuro di calcio:

2 CaCN2 + Ca(SH)2 + 6 H2O → 2 (NH2)2C=S + 3 Ca(OH)2

  1. Dalla reazione tra calciocianammide e solfuro di idrogeno:

2 CaCN2 +3 H2S → Ca(SH)2 +  (NH2)2C=S

La tiourea viene utilizzata, nella sintesi organica, per la preparazione di tioli. La reazione avviene in ambiente basico e lo zolfo presente nella tiourea agisce da nucleofilo nei confronti dell’alogenuro alchilico con formazione di un tiolo e di urea

(NH2)2C=S + RX → RSH + (NH2)2C=O

La tiourea reagisce tramite una reazione di condensazione con i composti β-dicarbonilici per dare per dare derivati della pirimidina.


Poliidrossialcanoati

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I poliidrossialcanoati (PHAs) sono polimeri naturali sintetizzati da numerosi batteri come riserva energetica e presenti sotto forma di granuli nel citoplasma cellulare.

I poliidrossialcanoati sono poliesteri biologici che vengono prodotti in particolari condizioni quali l’assenza di azoto, fosforo e zolfo e in eccesso di carbonio.

Tali polimeri sono stati studiati per le loro proprietà quali l’elevata biodegradabilità e potendo rappresentare potenziali sostituti di polimeri termoplastici di origine sintetica.

Questa proprietà, unitamente alla possibilità di ottenere i PHAs da fonti rinnovabili presenta notevoli vantaggi questi materiali non vengono accumulati nell’ambiente al contrario dei polimeri sintetici ottenuti a partire dal petrolio e non biodegradabili.

Sono stati isolati oltre 120 poliidrossialcanoati che si presentano sotto forma lineare con formula generale

poliidrossialcanoati

La molteplicità dei poliidrossialcanoati è dovuta al tipo di ramificazione R presente nella molecola che può essere di tipo lineare o ramificato, saturo o insaturo, con sostituenti aromatici oppure alogenati, al numero di gruppi –CH2– e al numero di monomeri presenti e pertanto i PHAs presentano caratteristiche fisiche diverse.

La composizione dei poliidrossialcanoati che vengono caratterizzati tramite gascromatografia  dipende dal tipo di batterio e dalle condizioni di coltura e pertanto vengono classificati come poliidrossialcanoati a catena corta prodotti dal batterio Ralstonia eutropha che hanno un gruppo R di tipo alchilico con unità monomerica dai 3 ai 5 atomi di carbonio, poliidrossialcanoati a catena media prodotti dal batterio Pseudomonas oleovorans  che hanno un gruppo R di tipo alchilico con unità monomerica dai 6 ai 14 atomi di carbonio e poliidrossialcanoati a catena lunga ottenuti da acidi grassi a lunga catena che contengono una unità monomerica costituita da più di 14 atomi di carbonio.

I poliidrossialcanoati presentano comunque caratteristiche comuni. Essi sono:

  • Insolubili in acqua ma solubili in cloroformio e altri solventi alogenati
  • Resistenti alle radiazioni U.V. ma sono scarsamente resistenti agli acidi e alle basi
  • Biocompatibili con possibilità di essere utilizzati in campo medico

Attualmente, la produzione industriale dei poliidrossialcanoati è basata sulla fermentazione di colture microbiche pure su substrati quali zuccheri come il glucosio, o composti contenenti carboidrati come il mais. A causa dei costi elevati di produzione si sta affermando l’uso di colture miste che abbatte la gran parte dei costi di processo, quali la selezione di microrganismi e del loro substrato di crescita.

Il costo del substrato infatti può incidere fino al 50 % sul costo di produzione e per questo motivo si è pensato di utilizzare materie prime economiche impiegando scarti dell’industria agroalimentare come gli scarti cellulosici derivanti da coltivazioni cerealicole, il melasso, gli oli vegetali, le acque reflue, il metanolo ed i sottoprodotti dell’industria casearia

L’impiego di questi materiali comporta un duplice vantaggio: da un lato il poter utilizzare un substrato a basso costo e rinnovabile, per la produzione dei PHAs, dall’altro la riduzione parziale o totale di scarti industriali che comportano una voce di spesa consistente per il loro smaltimento, andando così a gravare sui costi di produzione.

Reazioni di isomerizzazione

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Le reazioni di isomerizzazione sono reazioni in cui un composto viene trasformato in un suo isomero con la rottura di legami e la formazione di altri legami e conseguente modificazione dello scheletro molecolare.

Nel caso di reazioni biologiche le reazioni di isomerizzazione sono spesso catalizzate da un enzima appartenente alla classe delle isomerasi.

Un esempio di reazione biologica è la trasformazione del glucosio-6-fosfato a fruttosio-6-fosfato che avviene nella prima fase della glicolisi ed avviene grazie alla glucosio-6-fosfato isomerasi

glucosio isomerizzazione

Un’altra reazione che in senso lato può essere definita di isomerizzazione almeno per quanto attiene il prodotto iniziale e quello finale avviene nella seconda fase del ciclo di Krebs in cui il citrato viene dapprima disidratato dall’enzima aconitasi a cis-aconiato che, tramite lo stesso enzima, viene idratato a isocitrato

citrato isomerizzazione

Altro esempio di reazione di isomerizzazione ci viene dato dalla trasformazione del D-ribulosio-5-fosfato a xilulosio-5-fosfato tramite l’enzima ribulosio-5-fosfato-epimerasi.

Tale reazione che avviene nella via dei pentoso fosfati è una reazione di epimerizzazione ovvero una reazione in cui si ottiene un diastereoisomero che presenta una diversa configurazione rispetto al reagente in uno stereocentro

ribulosio isomerizzazione

Le reazioni di isomerizzazione, tuttavia, non avvengono solo nel campo della chimica biologica: ad esempio nell’industria petrolchimica viene attuato il reforming per trasformare un alcano a catena lineare in un suo isomero a catena ramificata onde aumentarne il numero di ottani.

Il processo industriale utilizza il cloruro di alluminio quale catalizzatore e, ad esempio, il n-butano viene trasformato nel suo isomero 2-metilpropano che viene usato come specie di partenza per ottenere il 2,2,4-trimetilpentano che ha numero di ottani pari a 100.

butano isomerizzazione

Anche gli alcheni possono dare reazioni di isomerizzazione come, ad esempio, lo Z-stilbene o cis-stilbene, isomerizza in presenza di luce e tracce di iodio a E-stilbene o trans-stilbene

stilbene isomerizzazione

Un altro esempio di reazione di isomerizzazione è la trasformazione dell’acido maleico ad acido fumarico

maleico isomerizzazione

Tale reazione viene catalizzata da acidi minerali o da tiourea: l’interconversione tra i due isomeri non avviene spontaneamente in quanto la rotazione intorno al doppio legame non è energeticamente favorita pertanto avviene in presenza di luce e tracce di bromo tramite un meccanismo radicalico.

Triioduro di azoto

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Il triioduro di azoto noto come nitruro di iodio ha formula NI3 ed è un potente esplosivo molto sensibile agli urti o allo sfregamento. La sua produzione o detenzione in Italia è vietata state la pericolosità della specie per la sua elevata sensibilità.

Può essere sintetizzato alla temperatura di – 30°C a partire da nitruro di boro e fluoruro di iodio in presenza di triclorfluorometano secondo la reazione:

BN + 3 IF → NI3 + BF3

Il primo metodo sintetico messo a punto dal chimico francese Bernard Courtois nel 1812  consiste nell’aggiungere cristalli di iodio ad ammoniaca concentrata, far reagire per qualche minuto e filtrare il triioduro di azoto di colore scuro che si è ottenuto dalla reazione:

3 I2 + NH3 → NI3 + 3 HI

Una volta sintetizzato il triioduro di azoto si presenta sotto forma di due addotti secondo le caratterizzazioni effettuate tramite diffrazione di raggi X, spettroscopia I.R. e U.V. ovvero come NI3∙ NH3 e NI3∙ 3 NH3.

Fin quando esso viene mantenuto in presenza della soluzione ammoniacale è stabile ma, una volta asciutto è altamente esplosivo. Nel suo stato solido la struttura del triioduro di azoto è costituita da catene del tipo –NI2-I- NI2-I- NI2-I- in cui le molecole di ammoniaca si trovano tra le catene.

Il triioduro di azoto ha una struttura piramidale e, a causa della dimensione degli atomi di iodio che sono costretti più vicini gli uni agli altri di quanto permettano i loro raggi atomici, presenta una elevata tensione di Van der Waals detta anche tensione sterica, è altamente instabile.

La decomposizione del triioduro di azoto è favorita sia dal punto di vista cinetico in quanto ha una bassa energia di attivazione che da un punto di vista termodinamico.

Infatti la reazione di decomposizione che avviene con formazione di azoto e iodio:

2 NI3 → N2 + 3 I2

presenta un aumento di entropia in quanto da 2 moli di reagenti si ottengono 1 + 3 = 4 moli di prodotti pertanto ΔS > 0. Inoltre poiché la reazione è altamente esotermica ovvero la variazione di entalpia ΔH è minore di zero si ha che la variazione dell’energia libera di Gibbs data dall’espressione ΔG = ΔH – TΔS è inferiore a zero.

La decomposizione dell’addotto triioduro di azoto-ammoniaca:

8 NI3∙ NH3 → 5 N2 + 6 NH4I + 9 I2

fu proposta successivamente ed è coerente sia con un aumento di entropia sia con la formazione di vapori viola di iodio che si formano a seguito della decomposizione. Questa avviene in modo esplosivo con emissione di un rumore simile a quello provocato dalla polvere da sparo.

Purtroppo se si naviga in Internet vi sono molti siti che mostrano la spettacolarità della reazione inducendo a realizzarla visto che i composti di partenza sono facilmente reperibili. Sarebbe tuttavia opportuno sottolineare quantomeno la pericolosità della reazione se condotta da persone inesperte.

Salinità dell’acqua di mare

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La composizione dell’acqua di mare è molto complessa ed influenzata da molteplici fattori tra cui le correnti, l’intensità di evaporazione, l’apporto di fiumi, precipitazioni e gli organismi in essa presenti.

L’acqua di mare è una soluzione acquosa in cui sono presenti sali, gas disciolti, sostanze organiche e particelle non solubili.

Uno dei parametri più importanti per classificare l’acqua di mare è la salinità che è la misura dei sali presenti; la misurazione della salinità, tuttavia, è molto complessa in quanto i sali solubili non solo danno luogo a dissociazione, ma possono reagire con l’acqua per formare ioni complessi e alcuni ioni derivano dall’equilibrio di gas disciolti come il biossido di carbonio che dà luogo alla formazione di acido carbonico, ioni idrogenocarbonato e ioni carbonato. Oltre allo ione sodio e allo ione cloruro nell’acqua di mare sono contenuti, tra gli altri, ioni magnesio, calcio, potassio e solfato.

La salinità viene normalmente espressa in parte per mille (ppt) e indicata come ‰: ad esempio se in 1000 g di acqua di mare vi sono 35 g di sali la salinità espressa in ppt è data da:

‰ = 35 ∙ 100/1000 = 3.5

Vi sono vari metodi per determinare la salinità di un’acqua di cui alcuni semplici ma imprecisi e altri più complessi che forniscono, tuttavia, un maggior livello di precisione a accuratezza.

Tenendo conto che alcune grandezze come la densità, l’indice di rifrazione, la conduttività elettrica, la velocità del suono e la tensione superficiale aumentano quando aumenta la salinità, mentre la temperatura di congelamento, la compressibilità, la solubilità dei gas che non reagiscono e il calore specifico diminuiscono all’aumentare della salinità vi sono molti metodi che possono essere sfruttati per la sua determinazione.

L’acqua pura è un cattivo conduttore di elettricità, ma in presenza di ioni disciolti in essa la conducibilità aumenta in modo proporzionale alla quantità degli ioni. La conducibilità elettrica di una soluzione viene misurata mediante un conduttimetro, collegato alla cella conduttimetrica che è costituita da due elettrodi di platino immersi nella soluzione in analisi.

Poiché le misure conduttimetriche sono influenzate dalla temperatura il campione da analizzare deve avere una temperatura di circa 20°C così come il campione standard avente generalmente una salinità del 35‰.

All’aumentare della temperatura, infatti, aumenta la conduttività e per ogni grado centigrado di aumento i valori della conduttività aumentano tra il 2 e il 4% sia a causa della maggiore mobilità ionica che della maggiore solubilità da parte di sali poco solubili.

Altri metodi per la determinazione della salinità consistono nella misurazione della densità o dell’indice di rifrazione sebbene essi diano solo informazioni sulla concentrazione degli ioni totale e non sulla concentrazione di uno ione specifico come Na+ o Cl.

Per la determinazione di un determinato ione ci si può avvalere di elettrodi a membrana detti anche ionoselettivi (ISE) il cui funzionamento si basa sulle proprietà di alcuni materiali di scambiare ioni.

Queste specie sono utilizzate sotto forma di membrana sottile e la loro selettività dipende dal tipo e dal numero di ioni scambiati. Negli elettrodi ionoselettivi quando la membrana è posta in soluzione, sulle due facce si formano dei doppi strati elettrici a causa dello scambio ionico e ciò comporta la formazione di potenziali dipendenti dalle specie chimiche che vengono scambiate.

Un metodo poco pratico per determinazioni in loco ma molto accurato consiste nella determinazione della concentrazione dello ione cloruro tramite titolazione al fine di determinare la clorinità.

La clorinità viene determinata con il metodo di Mohr tramite una titolazione argentometrica per precipitazione con nitrato di argento in presenza di cromato di potassio.

Il metodo sfrutta la maggiore solubilità del cromato di argento rispetto al cloruro di argento. La soluzione a cui viene aggiunto cromato di potassio quale indicatore viene titolata con nitrato di argento con formazione di un precipitato di cloruro di argento. Raggiunto il punto equivalente l’ulteriore aggiunta di titolante fa precipitare il cromato di argento dal tipico colore rosso che consente di individuare il punto finale della titolazione.

Il valore della salinità, nota la clorinità, viene ottenuto dalla formula di Knudsen:
S = 1.80655 ∙ Cl

dove la salinità e la clorinità sono espresse in ‰.

Iodio

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Lo iodio è un alogeno appartenente al Gruppo 17 e al 5° Periodo avente configurazione elettronica [Kr] 4d10, 5s2, 5p5.

In condizioni standard si presenta come un solido lucente dal colore dal colore nero-bluastro che a una temperatura inferiore a quella di fusione tende a sublimare passando direttamente dallo stato solido a quello aeriforme dove assume colorazione viola scuro.

Fu isolato per la prima volta nel 1811 dal chimico francese Bernard Courtois quando notò dei vapori viola dopo aver riscaldato delle alghe marine con acido solforico.

Il vapore, dopo essere condensato, si presentava come una sostanza cristallina di colore nero a cui lo scopritore, comprendendo che si trattava di un nuovo elemento, diede il nome di sostanza X. Fu solo dopo due anni che Sir Humphry Davy, dopo aver osservato l’esperimento, notò che la sostanza X era un elemento analogo al cloro e gli attribuì il nome di iodio dal greco ιωδης che significa viola.

Lo iodio che è l’elemento più pesante e meno reattivo degli alogeni si presenta in forma molecolare I2; ad alta temperatura la molecola di iodio si dissocia in due atomi di iodio.

Lo iodio forma una molecola apolare ed è quindi scarsamente solubile in acqua mentre è solubile in esano e tetracloruro di carbonio. Non dà reazione con l’ossigeno e con l’azoto mentre reagisce con l’ozono per dare un composto giallo instabile avente formula I4O9

Ha numeri di ossidazione -1. +1, +3, +4, +5, +6, +7 con cui forma numerosi composti tra cui lo ioduro di idrogeno HI dove lo iodio ha numero di ossidazione -1, l’acido ipoiodoso HIO dove ha numero di ossidazione +1, l’acido iodico HIO3 dove ha numero di ossidazione +5 e l’acido periodico HIO4 dove ha numero di ossidazione +7.

Lo iodio reagisce con l’acqua per dare l’acido ipoiodoso:
I2 + H2O ⇌ HIO + HI

Stante il basso valore della costante di equilibrio di questa reazione che è dell’ordine di 10-13 l’equilibrio è spostato a sinistra e la quantità di acido ipoiodoso che si ottiene è molto bassa.

L’acido ipoiodoso tende a dare una reazione di disproporzione per dare acido iodico e iodio:

5 HIO → HIO3 + 2 I2 + 2 H2O

Lo iodio reagisce con gli alogeni dando luogo a prodotti di reazione diversi a seconda delle condizioni di reazione.

Reagisce con il fluoro per dare pentafuororo di iodio se la reazione avviene a temperatura ambiente:

I2 + 5 F2 → 2 IF5

Mentre a 250°C il prodotto di reazione è l’eptafluoruro di iodio:

I2 + 7 F2 → 2 IF7

Alla temperatura di  -45°C e in presenza di triclorofluorometano dà luogo alla formazione di trifluoruro di iodio solido di colore giallo:

I2 +3 F2 → 2 IF3

In presenza di bromo forma il bromuro di iodio, specie instabile caratterizzata da una bassa temperatura di fusione:

I2 + Br2 → 2 IBr

Lo iodio reagisce con il cloro a – 80°C per dare il tricloruro di iodio:

I2 +3 Cl2 → 2 ICl3

Mentre in presenza di acqua forma l’acido iodico:

I2 + 6 H2O + 5 Cl2 → 2 HIO3 + 10 HCl

Lo iodio reagisce a caldo con l’acido nitrico per dare acido iodico che cristallizza:

3 I2 + 10 HNO3 → 6 HIO3 + 10 NO + 2 H2O

In ambiente basico lo iodio viene parzialmente convertito in iodato:

3 I2 + 6 OH → IO3 + 5 I + 3 H2O

Lo iodio può essere contenuto in alcuni composti organici ed in particolare negli alogenuri alchilici: gli ioduri alchilici primari non ingombrati costituiscono i tipici agenti alchilanti nelle reazioni organiche.

Lo iodio forma un nitruro ovvero il triioduro di azoto NI3 che è un potente esplosivo.

Lo iodio è presente nella forma isotopica 127I ma possono essere ottenuti isotopi radioattivi dello iodio e in particolare 131I che viene usato in campo medico ed in particolare nel trattamento dell’ipertiroidismo e in alcuni tipi di cancro della tiroide.

Uno dei preparati più noti contenenti iodio è la tintura di iodio, soluzione di acqua ed etanolo al 7% m/V di iodio contenente ioduro di potassio dalle note proprietà disinfettanti e sterilizzanti.

Queste proprietà sono dovute sia al potere ossidante dello iodio sia alla sua capacità di formare complessi con le proteine provocandone la denaturazione. Lo iodio inoltre forma un complesso di colore con gli amidi e tale proprietà è sfruttata nelle titolazioni iodometriche dove si utilizza quale indicatore la salda d’amido.

Lo iodio è un micronutriente essenziale che si trova prevalentemente nella tiroide che produce gli ormoni tiroxina e  triiodotironina che contengono lo iodio all’interno delle loro strutture. Questi ormoni noti come T4 e T3 rispettivamente stimolano i processi anabolici ovvero i processi di crescita, sviluppo e movimento dell’organismo.

Gli ormoni tiroidei sono fondamentali per lo sviluppo cerebrale e somatico del bambino e dell’attività metabolica dell’adulto influenzando la funzione di ogni organo e tessuto ed infatti non c’è organo o apparato che non sia influenzato dalla tiroide.

La fonte principale di iodio è l’alimentazione e gli alimenti più ricchi di iodio sono i pesci di mare, i molluschi e il sale marino; lo iodio poi è contenuto in quantità variabile nei cereali, carne, frutta, verdura, latte e uova.

In caso di assunzione insufficiente di iodio la tiroide produce una quantità minore di ormoni tiroidei e ciò comporta disturbi dovuti a carenza iodica tra cui il gozzo ovvero l’ingrossamento della tiroide. La carenza di iodio può portare a letargia, depressione, scarsa concentrazione, aumento di peso, intolleranza al freddo ma le conseguenze più gravi della carenza di iodio sono rappresentate dai danni a carico del sistema nervoso centrale e periferico.

Allotropia

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Alcuni elementi appartenenti prevalentemente dei Gruppi 13, 14, 15 e 16 della Tavola Periodica possono presentarsi in forme diverse che differiscono tra loro per le proprietà fisiche e chimiche oltre che per la forma cristallina pur presentando lo stesso stato di aggregazione.

Il boro è l’unico elemento del gruppo 13 che si presenta in diverse forme allotropiche: oltre al boro amorfo di colore marrone vi è il boro cristallino che è caratterizzato da durezza e bassa conducibilità. Tra gli allotropi del boro conosciuti solo tre sono stati caratterizzati: boro α-romboedrico di colore rosso, boro β-romoedrico di colore nero che è quello termodinamicamente più stabile e il boro β-tetragonale. Tali forme allotropiche sono di tipo polimerico e differiscono dal modo in cui viene condensato l’icosaedro B12

In figura viene riportato l’icosaedro B12 e uno strato del reticolo del boro α-romboedrico

allotropi boro

Per quanto attiene gli elementi del gruppo 14 solo il carbonio e lo stagno presentano il fenomeno dell’allotropia.

Per il carbonio, oltre allo stato amorfo,  erano state dapprima individuate due forme allotropiche costituite dal diamante e dalla grafite.

Nel diamante ciascun atomo di carbonio è legato tramite un legame covalente a quattro altri atomi di carbonio contigui ibridati sp3 tramite legami σ formando una struttura tetraedrica.  Il diamante è un solido rigido, trasparente, elettricamente isolante ed è la sostanza più dura che si conosca infatti occupa il primo posto nella scala di Mohs.

La grafite è un solido grigio scuro, tenero e untuoso al tatto buon conduttore di elettricità e di calore. Nella grafite che è la forma termodinamicamente più stabile gli atomi di carbonio formano un reticolo esagonale a strati con legami σ e legami π all’interno di ogni strato mentre gli strati sono tenuti insieme da forze di Van der Waals.

Fu solo nel 1985 che furono ottenute molecole contenenti 60 atomi di carbonio che sostituiscono i vertici di un icosaedro tronco costituito da dodici pentagoni e venti esagono. Tale molecola denominata fullurene ha una forma simile a una sfera cava detta buckyball simile a un pallone da calcio.

Nel 1991 fu ottenuta un’altra forma allotropica del carbonio costituita dai nanotubi di carbonio in cui le pareti del tubo sono costituite da atomi di carbonio legati tra loro in modo da formare una rete a maglie esagonali simile a quella della grafite e avvolta in modo da originare una struttura tubolare detta buckytube.

Nel 2004 fu scoperto il grafene il cui spessore corrisponde a quello di un atomo in cui il carbonio è ibridato sp2 e gli atomi sono disposti secondo un reticolo cristallino a nido d’ape.

allotropi carbonio

Lo stagno si presenta sotto due forme allotropiche ovvero lo stagno grigio detto stagno α con una struttura cubica stabile al di sotto dei 13°C e lo stagno bianco detto stagno β con una struttura tetragonale stabile oltre i 13°C.

allotropi stagno

Gli elementi del gruppo 15 che danno luogo a allotropia sono fosforo e arsenico.

Il fosforo esiste in diverse forme allotropiche ma le due più conosciute sono il fosforo bianco costituito da tetraedri P4 uniti tra loro da forze di Van der Waals. Il fosforo bianco è infiammabile e piroforico e tossico per inalazione. Il fosforo bianco a contatto con l’ossigeno presente nell’aria dà luogo alla formazione di anidride fosforica secondo la reazione esotermica:

P4 +5 O2 →  2 P2O5

L’anidride fosforica esiste in forma dimerica P4O10  prodotta è un forte disidratante e reagisce in modo violento ed esotermico con l’acqua con formazione di acido fosforico:

P4O10 +6 H2O → 4 H3PO4

La reazione viene sfruttata nelle bombe incendiarie atte a illuminare sebbene possa essere usato come arma non convenzionale in quanto, a seguito di essa, di ha la distruzione dei tessuti molli.

L’altro stato allotropico più conosciuto del fosforo è il fosforo rosso che si forma riscaldando il fosforo bianco a 300°C in assenza di aria. Si presenta amorfo e, solo per successivo riscaldamento, dà luogo a cristallizzazione.

A rigore il fosforo rosso non dovrebbe essere considerato un allotropo del fosforo ma una fase intermedia tra fosforo bianco e fosforo viola detto fosforo di Hittorf che si ottiene riscaldando a lungo il fosforo rosso a 550°C.

Riscaldando il fosforo bianco si può ottenere ad alte pressioni e in presenza di catalizzatori il fosforo nero che presenta una struttura analoga a quella della grafite e ha grandi potenzialità nel campo dei dispositivi nanoelettronici potendo essere ridotto in lamine sottili.

In figura vengono riportare le strutture del fosforo bianco, nero e rosso

allotropi fosforo

Delle sei forme allotropiche dell’arsenico, appartenente allo stesso gruppo del fosforo, tre sono amorfe. La altre tre forme sono α-As o arsenico grigio che rappresenta la forma più stabile, arsenico giallo presente come As4 con la stessa struttura del fosforo bianco e arsenico nero con la stessa struttura del fosforo rosso

Gli elementi del Gruppo 16 che presentano forme allotropiche sono ossigeno, zolfo e selenio.

L’ossigeno si presenta come molecola biatomica O2 e come O3 detto ozono la cui struttura può essere rappresentata da forme limite di risonanza:

ozono

Esso  è presente negli alti strati dell’atmosfera ed in particolare nell’ozonosfera e si forma dalla reazione:

3 O2 → 2 O3

e viene prodotto dalle scariche elettriche dei fulmini. L’assottigliamento dello strato di ozono che costituisce uno schermo nei confronti di radiazioni U.V. nocive per la sua vita sulla terra è dovuto alla sua distruzione da carte di composti alogenati noti come fluoroclorocarburi.

Lo zolfo è l’elemento secondo solo al carbonio per numero di allotropi essendo stata dimostrata l’esistenza di almeno 22 forme allotropiche.

La forma allotropica più semplice è la molecola biatomica S2 analoga alla molecola di ossigeno O2, ma al contrario di quest’ultima non si trova in natura a pressione atmosferica e a temperatura ambiente ma viene ottenuto nel vapore generato dallo zolfo a temperature superiori a 700°C. E’stato infatti rilevato dal telescopio Hubble Space nelle eruzioni vulcaniche avvenute nel satellite di Giove Io.

Tra gli altri allotropi dello zolfo vi è la forma α, rombica stabile fino a 95.5 °C in cui lo zolfo si presenta sotto forma di cristalli con abito bipiramidale e in aggregati granulari e la forma β monoclina stabile da 95.5 °C a 119°C ( temperatura di fusione).

Nelle vicinanze del punto di fusione lo zolfo liquido è ancora giallo e fluido e contiene essenzialmente molecole di cicloottazolfo S8 costituito da un gruppo di otto atomi disposti ad anello.

allotropi zolfo

Nelle vicinanze del punto di fusione lo zolfo liquido è ancora giallo e fluido e contiene essenzialmente molecole S8. Al di sopra di 159°C il suo colore diventa progressivamente più scuro e la sua viscosità aumenta fino a raggiungere un massimo intorno ai 200°C.

Il fenomeno viene spiegato con una crescente rottura degli anelli S8 e con la contemporanea formazione di lunghe molecole a catena lineare che arrivano a contenere decine di migliaia di atomi. Al di sopra dei 200°C la viscosità comincia a diminuire fino al punto di ebollizione (446.6°C) perché le lunghe catene si rompono.

Dello zolfo esistono anche altre forme allotropiche cristalline nonché forme amorfe e fibrose; quest’ultima detta anche zolfo plastico, si ottiene raffreddando rapidamente in acqua lo zolfo fuso e contiene lunghe catene lineari che si avvolgono a elica.

L’ultimo elemento del Gruppo 16 che presenta allotropi è il selenio che può presentarsi in diverse forme: selenio grigio trigonale che contiene catene elicoidali polimeriche di Sen e che è il più stabile da un punto di vista termodinamico, tre forme monocline di colore rosso scuro dette α, β e γ, selenio amorfo rosso e selenio nero vetroso

Fosforene

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Dal 2004 anno in cui fu ottenuto per la prima volta il grafene si sono sviluppate le ricerche sui materiali bidimensionali detti 2D tra cui il nitruro di boro con caratteristiche isolanti e i calcogenuri dei metalli di transizione come il disolfuro di molibdeno MoS2 e il diseleniuro di tungsteno WSe2 che si comportano da semiconduttori per le loro molteplicità di impiego.

Impilando cristalli 2D diversi che si legano tra loro dando luogo alla formazione di eterostrutture di Van der Waals si possono ottenere materiali con proprietà ottiche, elettroniche e magnetiche che si differenziano rispetto a quelle dei materiali dei singoli strati.

Lo studio di questi materiali che hanno proprietà innovative è quindi finalizzato alla progettazione di nuovi dispositivi di piccolissime dimensioni e dotati di enormi potenzialità.

Nel 2014 è entrato a far parte dei materiali 2D il fosforene ottenuto dal fosforo nero e formato da un solo strato di atomi di fosforo.

Il fosforo nero, che costituisce uno degli stati allotropici del fosforo non è mai stato studiato a fondo, e su di esso, nonostante sia la forma termodinamicamente stabile del fosforo, non sono mai state condotte ricerche approfondite.

Il fosforo nero viene ottenuto per riscaldamento del fosforo bianco ad altissime pressioni e presenta in apparenza proprietà e struttura simili a quelle della grafite essendo anch’esso di colore scuro, friabile, conduttore di elettricità. Il fosforo nero ha una struttura ortorombica costituita da anelli a sei membri in cui ogni atomo è legato ad altri tre.

La più importante somiglianza del fosforo nero con la grafite è la possibilità di poter essere ottenuto in monostrati dotati di eccellenti proprietà di trasporto di cariche ed elevata conduttività termica. Esso tuttavia tende ad ossidarsi a contatto con l’acqua in presenza di ossigeno e ciò costituisce un limite per il suo utilizzo.

L’elevato assorbimento ottico del materiale denominato in analogia con il grafene, fosforene, lo rendono di particolare interesse nel campo delle applicazioni optoelettroniche che studiano i dispositivi elettronici che interagiscono con le radiazioni elettromagnetiche.

Al contrario del grafene che è strutturalmente piatto ed è capace di condurre elettricità essendo privo della banda energetica proibita tipica dei semiconduttori, il fosforene che ha una fisionomia ondulata dove ventri si alternano a creste formate da atomi di fosforo, intercalati in un continuo saliscendi ha una banda energetica proibita determinata e quindi può condurre elettricità solo quando gli elettroni assorbono una determinata energia e questa caratteristica consente un controllo sul comportamento elettrico del materiale.

Diversamente dal grafene, il fosforene, contrariamente ad altri materiali 2D, è anisotropo e tale proprietà incide sulle proprietà ottiche, elettriche, termiche e meccaniche dei dispositivi in cui viene utilizzato.

Quello che rende il fosforene particolarmente interessante è che la sua banda proibita che va da 0.3 a 2.0 eV copre un intervallo che non hanno tutti gli altri materiali 2D in quanto il grafene ha una banda proibita pari a zero mentre il calcogenuri dei metalli di transizione hanno una banda proibita che va da 1.5 a 2.5 eV.

La banda proibita del fosforene corrisponde all’intervallo di lunghezza d’onda tra 0.6 e 4.0 μ che copre l’intervallo che è a cavallo tra luce visibile e infrorosso quindi può essere usato nei sensori a infrarosso.

La banda proibita del fosforene inoltre può essere variata sia aumentando il numero di monostrati impilati che dopando il fosforene con arsenico consentendo al materiale di essere particolarmente sensibile alla presenza di gas.

La ricerca ora si rivolge sia a metodi nuovi per l’ottenimento del fosforo nero, sia a materiali che possano passivarlo al fine di renderlo più stabile.


Fluoro

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Il fluoro è un alogeno appartenente al Gruppo 17 e al 2° Periodo avente configurazione elettronica [He]2s2,2p5.

Il fluoro è contenuto in una varietà di minerali tra cui la fluoroapatite Ca5(PO4)3F, la bararite (NH4)2SiF6 e la fuorite CaF2 che è il minerale più importante e più comune contenente il fluoro.

Il fluoro è l’elemento più reattivo ed elettronegativo, si presenta quando è combinato con il numero di ossidazione -1, ha una elevatissima energia di ionizzazione e, salvo rarissime eccezioni, non si trova allo stato elementare ma sotto forma di molecola biatomica F2 di colore giallo, altamente corrosivo ed infiammabile che reagisce con molti composti sia organici che inorganici.

Nel XIX secolo molti chimici tra cui Gay Lussac, Louis Jacques Thenard, Humphry Davy, Carl Wilhelm Scheele e Joseph Priestley effettuarono esperimenti sulla fluorite ottenendo nella gran parte dei casi acido fluoridrico.

Nel 1809 il fisico francese Andre-Marie Ampere intuì che l’acido fluoridrico era costituito da idrogeno e da un elemento sconosciuto. Fu solo nel 1886 che il chimico francese Ferdinand Frederick Henri Moissan riuscì ad ottenere per la prima volta il fluoro dopo aver interrotto quattro volte le sue ricerche per le gravi intossicazioni dovute all’elemento che stava cercando. Egli riuscì ad ottenere il fluoro partendo dal fluoruro di calcio: dopo aver trattato il fluoruro di calcio con acido solforico ottenne acido fluoridrico secondo la reazione:

CaF2 + H2SO4 → CaSO4 + 2 HF

L’acido fluoridrico acquoso ottenuto dalla reazione fu distillato per ottenere acido fluoridrico anidro che fu trattato con fluoruro di potassio che trasforma HF in bifluoruro di potassio KHF2 sale di potassio dello ione bifluoruro. L’elettrolisi del bifluoruro di potassio dà luogo alla formazione di F2 che si sviluppa all’anodo mentre H2 si sviluppa al catodo:

2 KHF2 → H2 + F2 + 2 KF

Per tale scoperta Moissan ottenne nel 1906 il Premio Nobel per la Chimica.

Solo nel 1986 il chimico tedesco Karl Otto Christe ha ottenuto per la prima volta il fluoro senza avvalersi di tecniche elettrochimiche usando una soluzione di acido fluoridrico, potassio esafluoromanganato (IV) e pentafluoruro di antimonio:

2 K2MnF6 + 4 SbF5→ 4 KSbF6 + 2 MnF3 + F2

La bassa energia di legame tra i due atomi di fluoro rendono la molecola di F2 poco stabile con conseguente elevata reattività: il fluoro forma infatti composti con quasi tutti gli elementi compresi i gas nobili con cui forma una varietà di composti tra cui l’esafluoroplatinato di xeno, composto chimico che si presenta come un solido color giallo arancio e avente formula XePtF6 che fu il primo composto in cui è presente un gas nobile ottenuto per la prima volta nel 1962 dal chimico Neil Berlett.

Stante l’alta reattività del fluoro molte reazioni in cui esso è coinvolto sono improvvise ed esplosive: molte sostanze scarsamente reattive come acciaio ridotto in polvere, frammenti di vetro e fibre di amianto reagiscono rapidamente con il fluoro.

Il fluoro reagisce violentemente con l’idrogeno secondo la reazione esotermica:

F2 + H2 → 2 HF  ΔH = – 537 kJ

La reazione avviene anche a basse temperature e in assenza di luce.

Il fluoro reagisce con l’acqua per dare ossigeno molecolare e ozono:

2 F2(g) + 2 H2O(l) → O2(g) + 4 HF(aq)

3 F2(g) + 3 H2O(l) → O3(g) + 6 HF(aq)

Il fluoro reagisce con i metalli e, in particolare, con i metalli alcalini in modo esplosivo per dare fluoruri:

2 Me(s) + F2(g) → 2 MeF(s)

I metalli alcalino-terrosi reagiscono in modo meno violento con il fluoro mentre altri metalli come l’alluminio, il rame e il ferro devono essere ridotti in polvere in quanto a contatto con il fluoro si passivano formando uno strato sottile di fluoruro metallico che impedisce una ulteriore fluorurazione.

Stante l’elevato valore del potenziale normale di riduzione del fluoro relativo alla semireazione:

F2(g) + 2 e→ 2 F(aq) per la quale E° = + 2.87 V

il fluoro è un ottimo agente ossidante; ad esempio quando viene fatto gorgogliare in una soluzione di clorato di potassio lo ossida a perclorato:

F2 + 2 KClO3 + H2O → 2 HF + KClO4

Il fluoro reagisce con gli altri alogeni in diverse condizioni per dare i composti interalogeni.

Il fluoro reagisce con soluzioni basiche diluite per dare il fluoruro di ossigeno:

2 F2(g) + 2 OH(aq) → OF2(g) + 2 F(aq) + H2O(l)

Il fluoro forma moltissimi composti tra cui i fluoruri tra cui l’esafluoruro di uranio UF6 utilizzato nei processi di arricchimento dell’uranio per l’ottenimento di combustibili nucleari e di arricchimento dell’uranio.

E’ presente negli organofluoruri composti in organici in cui è presente il fluoro al posto di uno o più atomi di idrogeno con conseguente alterazione delle proprietà delle molecole a cui conferisce elevata inerzia chimica.

Il tetrafluoroetene, composto fluorurato organico viene usato per ottenere il politetrafluoroetilene noto con il nome di teflon.

I fluoroclorocarburi tra cui il freon veniva utilizzato negli impianti di aria condizionata e nella refrigerazione anche se ora sono stati vietati in quanto si ritiene che possano contribuire all’assottigliamento dello strato di ozono.

Composti contenenti fluoro come il fluoruro di stagno (II), fluoruro di sodio, monofluorofosfato di sodio e fluoro amminico vengono usati nei dentifrici e nei collutori per la prevenzione della carie.

Tiopental sodico

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Il tiopental sodico noto con il nome di Pentothal è un anestetico usato per via endovenosa noto ai lettori di fumetti come Diabolik e degli amanti dei videogiochi come Hitman per le sue presunte doti di siero della verità che consentiva ai protagonisti di ottenere informazioni preziose.

E’ inoltre tristemente noto per il suo utilizzo insieme ad altre sostanze per praticale l’iniezione letale ai condannati a morte negli Stati Uniti.

Il tiopental sodico è un tiobarbiturato che si presenta come una polvere giallastra igroscopica fu sintetizzato negli anni ’30 dello scorso secolo da Ernest H. Volwiler e Donalee L. Tabern nell’ambito delle loro ricerche sugli antidolorifici.

Il tiopental sodico è un GABA-agonista e interagisce, nello specifico con il recettore GABA-A. Il GABA, ovvero l’acido γ-amminobutirrico è il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale.

I recettori GABA-A contengono siti che legano i barbiturici con conseguente attivazione e riduzione dell’eccitabilità neuronale deprimendo il sistema nervoso centrale e, se esso vengono assunti in dosi massicce possono portare al coma e alla morte.
Nelle dosi opportune il tiopental sodico viene utilizzato come anestetico per interventi chirurgici brevi o come preanestetico e fu utilizzato nel 1941 a seguito dell’attacco di Pearl Harbor come anestetico per poter operare i soldati statunitensi feriti.

Purtroppo a causa della scarsa esperienza da parte dei medici con questa sostanza fu somministrato in dosi eccessive e molti militari non sopravvissero.

Per la sua capacità di indurre uno stato prossimo al sonno il tiopental sodico risulta, secondo alcuni, valido nell’ambito della psicoterapia.

Il tiopental sodico, indicato come 5-etil-5(1-metilbutil)-2-tiobarbiturato ha la struttura rappresentata in figura:pentothalAlla luce di tutto il tiopental sodico la cui somministrazione può portare a perdita di coordinazione e capogiri fino a difficoltà respiratorie, febbre e allucinazioni dovrebbe essere utilizzato solo da medici specialisti nei casi in cui lo ritengono opportuno lasciando alla fantasia di un fumetto il suo uso come siero della verità.

Parabeni nei cosmetici

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Nell’ultimo anno si stanno diffondendo, anche nella grande distribuzione, prodotti per la pulizia del corpo come bagnischiuma, shampoo, deodoranti e tinture per capelli senza parabeni.

I parabeni vengono utilizzati quali conservanti nei cosmetici, nei prodotti per l’igiene personale, nei prodotti alimentari e in quelli farmaceutici. Sebbene il loro meccanismo di azione non sia del tutto noto essi mostrano grande efficacia nel prevenire la crescita di funghi, batteri e lieviti che possono portare al deterioramento del prodotto.

I parabeni sono esteri derivanti dall’acido p-idrossibenzoico e includono anche sali dall’acido e l’acido stesso. Vengono ottenuti a partire dalla reazione dell’acido p-idrossibenzoico con un opportuno alcol secondo il meccanismo di esterificazione.

acido p-idrossibenzoico

L’acido p-idrossibenzoico è un solido cristallino bianco scarsamente solubile in acqua e cloroformio mentre è solubile in solventi organici polari come alcol e acetone ed è presente in natura in alcuni frutti come ciliegie e mirtilli e in alcune verdure come cipolle, cetrioli e carote.

I parabeni maggiormente usati sono il metilparabene ovvero il metil 4-idrossibenzoato, l’etilparabene, il propilparabene, il butilparabene, isobutilparabene, pentilparabene e il benzilparabene.

A seconda del gruppo alchilico presente nella molecola i parabeni presentano diversa solubilità e spettro di azione antimicrobica. All’aumentare del numero di atomi di carbonio presenti nella catena alchilica diminuisce la loro solubilità in acqua mentre aumenta la solubilità nei lipidi. Pertanto parabeni scarsamente solubili in acqua vengono facilmente assorbiti dall’epidermide.

I parabeni sono stati oggetto di controversie in ambito scientifico per una loro presunta correlazione con il cancro, ma ripetuti studi, effettuati da enti accreditati hanno escluso qualunque nesso causale dei prodotti contenenti parabeni con l’insorgenza della patologia ed infatti la Food and Drug Administation li ha inseriti tra le sostanze GRAS (Generally Recognized As Safe).

Sebbene negli USA l’utilizzo dei parabeni è consentito nei cosmetici senza alcun limite legale di concentrazione, nell’Unione Europea  alcuni di essi e precisamente propilparabene, il butilparabene e isobutilparabene, pentilparabene e benzilparabene sono stati cancellati dalla lista dei conservanti cosmetici autorizzati.

L’Unione Europea infatti classifica i parabeni come potenziali interferenti endocrini in quanto esperimenti effettuati su animali hanno mostrato che essi hanno una debole attività estrogenica in quanto agiscono come xenoestrogeni ovvero composti che disturbano il sistema endocrino. L’attività estrogenica dei parabeni aumenta con l’aumentare del numero di atomi di carbonio presenti nel gruppo alchilico e quindi sono stati effettuati studi in vivo sul butilparabene il cui effetto è 100000 volte minore rispetto a quello dell’estradiolo. Persistendo una controversia scientifica sull’utilizzo dei parabeni si è ritenuto, a scopo precauzionale, di escluderli dai prodotti per neonati.

Queste regolamentazioni risalgono comunque al 2011 e non si comprende la motivazione per la quale solo di recente sono stati riscoperti ed esclusi da molti prodotti che si pubblicizzano per la loro assenza.

Se è indiscutibile che una sostanza potenzialmente dannosa sia esclusa da qualunque prodotto che si trova in commercio non si comprende la motivazione per la quale da un momento all’altro i parabeni, compresi quelli scarsamente assimilabili a causa del basso numero di atomi di carbonio presenti nella catena laterale, siano assurti agli onori della cronaca come se ulteriori ricerche avessero  riscontrato danni sull’uomo.

Variazione di entalpia con la temperatura

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Nell’ambito delle sue ricerche che spaziarono in molti ambiti scientifici il fisico e matematico tedesco Gustav Kirchhoff trovò una correlazione tra la variazione di entalpia di una reazione calcolata a una determinata temperatura con la variazione di entalpia della reazione calcolata a un’altra temperatura.

La variazione di entalpia uguaglia il calore assorbito o ceduto sotto il vincolo della pressione costante. Trasferendo energia sotto forma di calore a un sistema a pressione costante l’entalpia del sistema aumenta ovvero H2 >H1 quindi ΔH > 0

Se è invece il sistema a fornire calore a pressione costante l’entalpia del sistema diminuisce ovvero H2   < H1 ovvero ΔH < 0.

Il calore specifico a pressione costante è dato da:

cp = ΔH/ΔT  (1)

dove ΔH è la variazione di entalpia e ΔT è la variazione di temperatura.

L’entalpia di una reazione dipende dalle condizioni in cui è stata misurata. I dati che vengono riportati nelle tabelle termodinamiche si riferiscono alla pressione di 1 atm e alla temperatura di 25°C.

Se la reazione avviene a una temperatura diversa e il calore specifico non varia al variare della temperatura allora la variazione di entalpia è data dal prodotto tra il calore specifico a pressione costante e la variazione di temperatura.

L’entalpia a una temperatura Tf è data dalla somma dell’entalpia calcolata alla temperatura Ti e il risultato derivante dall’integrale definito tra Ti e Tf di cp in dT.

Se cp è indipendente dalla temperatura nel range di temperature tra Ti e Tf allora la (1) diventa:

HTf = HTi + cp (Tf – Ti)

Questa relazione nota come legge di Kirchhoff è valida per variazioni di temperature inferiori a 100°C in quanto per una variazione di temperatura maggiore il calore specifico cp non può essere più considerato costante.

Diet Coke e Mentos

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Fin dalla sua prima apparizione alla fine degli anni ’90 sul web il video che mostra la reazione tra la Diet Coke e le Mentos ha costituito un vero a proprio fenomeno al punto che ancora oggi, a distanza di anni, vengono messi in rete nuovi video che riscuotono sempre grande successo e un elevato numero di visualizzazioni.

Questa reazione è diventata un vero e proprio fenomeno e di essa si sono occupati programmi televisivi ed è stata oggetto di studi per spiegare l’origine di quella che viene definita “eruzione” che può raggiungere un’altezza di 10 m.

Diverse sono state le teorie per giustificare questo fenomeno e nel 2006 fu suggerito che le sostanze chimiche coinvolte nella reazione fossero la gomma arabica e la gelatina presenti nelle Mentos e la caffeina, l’aspartame e il benzoato di potassio presenti nella bevanda ma non si avevano riscontri scientifici.

Nel giugno 2008 presso l’Appalachian State University furono compiuti studi su questa reazione e i risultati pubblicati sull’ American Journal of Physics.

I ricercatori eseguirono numerosi esperimenti usando sia altre bevande gasate che altri tipi di sostanze solide. Essi esclusero sia che si trattasse di una reazione acido-base in quanto il pH prima e dopo la reazione non variava sia che fosse coinvolta la caffeina in quanto la reazione avveniva anche nella Diet Coke nella formulazione caffeine-free.

Inoltre fu notato che la reazione il fenomeno si verificava in misura molto ridotta nella formulazione tradizionale della Coca Cola e che non si verificava per nulla variando la sostanza solida. Alla luce di tutti i dati sperimentali raccolti sono stati identificati i fattori che favoriscono la rapidissima formazione delle bolle di anidride carbonica.

Innanzi tutto le molecole di acqua presenti in ogni soluzione sono legate tra loro tramite legami a idrogeno quindi ogni perturbazione arrecata a questo sistema come un oggetto che viene lasciato cadere agisce come sito di accrescimento delle bolle.

E’ stata poi considerata la superficie delle Mentos che presenta molti pori e rugosità che costituiscono ottimi siti di nucleazione dell’anidride carbonica e ne favoriscono l’aggregazione in grandi bolle che fuoriescono rapidamente.

Un altro fattore che favorisce l’eruzione dell’anidride carbonica è la tensione superficiale ovvero la forza di coesione che si esercita tra le molecole superficiali di un liquido. La presenza di aspartame utilizzato quale dolcificante nella Diet Coke e della gomma arabica che ricopre le Mentos abbassano notevolmente la tensione superficiale favorendo la fuoriuscita dell’anidride carbonica.

L’ultimo ma non meno importante fattore che contribuisce alla spettacolarità della reazione è la densità delle Mentos che è sufficientemente elevata da consentire il loro affondamento nella bevanda e ciò provoca una maggiore interazione con il liquido che accelera la reazione.

Poiché la reazione avviene in modo vigoroso, anche se molti si divertono a realizzarla senza le dovute cautele, si sconsiglia di farla avvenire in un luogo chiuso e di proteggere gli occhi adeguatamente nel corso della stessa.

 

Gomma arabica

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La gomma arabica nota come gomma di acacia è un biopolimero edibile ottenuto dall’essudato di due specie di acacia, l’acacia senegal e l’acacia seyal che crescono nell’Africa Subsahariana ed in particolare nel Sudan.

Viene ottenuta a seguito di incisioni praticate sull’albero che, per rimarginare la ferita arrecatale, essuda un liquido poco viscoso che, tramite un processo che dura da uno a due mesi detto “gommosi” si rapprende dando luogo alla formazione della gomma.

L’uso della gomma arabica risale ai tempi degli antichi Egizi che la utilizzavano per ottenere i papiri e nei processi di mummificazione. La gomma arabica veniva inoltre usata insieme al nero fumo per ottenere gli inchiostri.

La gomma arabica viene largamente utilizzata quale condensante, emulsionante, strutturante, fissatore del sapore, gelificante e stabilizzante nella produzione di beni di largo consumo nei settori più svariati che vanno dalla produzione di bevande, caramelle gommose, prodotti farmaceutici, vini, condimenti, mangimi per animali, sciroppi. snack e formaggi oltre che nella preparazione di pastelli e acquerelli e come adesivo per carta e cartoni.

La gomma arabica è costituita in prevalenza da carboidrati ed in particolare da D-galattosio e L-arabinosio in ragione del 97% circa e da glicoproteine

gomma arabica

La composizione della gomma arabica è influenzata da moli fattori quali la sua origine, le condizioni climatiche e l’età dell’albero da cui sono state ottenute.

La composizione della gomma arabica varia a seconda che sia ottenuta dall’acacia senegal piuttosto che dall’acacia seyal: quest’ultima ha un minor contenuto di ramnosio e di acido glucuronico, un minor contenuto di azoto e un maggior contenuto di arabinosio e di acido 4-O-metil-glucuronico rispetto all’acacia senegal; le due gomme presentano inoltre diverso potere ottico rotatorio.

Per questi motivi gli utilizzi dei due tipi di gomma sono diversi: la gomma estratta dall’acacia senegal viene utilizzata nel settore alimentare, farmaceutico, del beverage mentre quella estratta dall’acacia seyal trova maggiori applicazioni nel campo enologico e nelle biotecnologie.

La gomma arabica ha un’elevata solubilità in acqua e una bassa viscosità se paragonata ad altre gomme: la gomma arabica può raggiungere una solubilità in acqua fino al 50% m/V  formando una soluzione fluida  con proprietà acide e agisce da idrocolloide.

Le soluzioni contenenti gomma arabica sono in grado di stabilizzare soluzioni colloidali formando film sottili alla superficie delle particelle in sospensione agendo come un colloide protettore e impedendo l’ingrossamento e la flocculazione delle particelle.

Per le sue caratteristiche strutturali la gomma arabica viene usata con la sigla E414 in campo alimentare per prevenire la cristallizzazione degli zuccheri presenti nelle bevande, l’intorpidimento del vino, agisce da emulsionante dei grassi favorendone la distribuzione omogenea evitando che affiorino in superficie con il rischio di una loro ossidazione, stabilizza la schiuma di bevande come la birra.

Tantalio

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Il tantalio è un metallo di transizione appartenente al Gruppo 5B e al 6° Periodo avente configurazione elettronica [Xe] 4f145d36s2.

Il tantalio fu scoperto dal chimico svedese Anders Gustaf Ekeberg nel 1802 e il suo nome deriva da Tantalo figura mitologia che dopo la sua morte fu sottoposto a un supplizio e si ritenne che il tantalio avesse attinenza con il comportamento dell’elemento che non si scioglie negli acidi.

Fu solo nel 1864 che il chimico francese Jean Charles Galissard de Marignac riuscì ad isolare il tantalio presente in alcune rocce come la tantalite, la columbite e il coltan riducendo il cloruro di tantalio in atmosfera di idrogeno.

Il tantalio è un metallo scuro dotato di elevata densità e ottimo conduttore di calore e elettricità noto per la sua resistenza agli acidi; esso non viene attaccato neanche dall’acqua regia a temperature minori di 150°C ma viene attaccato dall’acido fluoridrico o dall’idrossido di potassio.

Il tantalio presenta numeri di ossidazione +5, +4, +3, +2, +1, -1, e -3 sebbene il numero di ossidazione più stabile è +5.

Il tantalio reagisce a caldo con gli alogeni dando alogenuri di tantalio in cui esibisce il numero di ossidazione +5; il pentafluoruro di tantalio TaF5 così come il pentacloruro di tantalio TaCl5 sono di colore bianco, il pentabromuro di tantalio TaBr5 è di colore giallo mentre il pentaioduro di tantalio TaI5 è nero. Il tantalio forma con gli alogeni composti in cui presenta anche il numero di ossidazione +4 e +3.

Il pentafluoruro di tantalio viene usato insieme all’acido fluoridrico come catalizzatore nell’alchilazione di alcani e alcheni e nella protonazione di composti aromatici.

Il tantalio non reagisce con l’aria e con l’acqua in condizioni normali in quanto tende a ricoprirsi di un sottile film di ossida di tantalio Ta2O5.

Il pentossido di tantalio costituisce il materiale di partenza per ottenere gli altri composti del tantalio che vengono ottenuti per dissoluzione dell’ossido in soluzioni basiche.

Tra i composti più importanti del tantalio vi sono i tantalati derivanti formalmente dall’ipotetico acido tantalico HTaO3.

Tra i tantalati più importanti vi è il tantalato di litio LiTaO3 che presenta proprietà ottiche, piezoelettriche e piroelettriche che lo rendono fondamentale per molti dispositivi tra cui i sensori di movimento.

Tra i composti del tantalio vi è la famiglia dei carburi di tantalio avente formula TaCx con x compreso tra 0.4 e 1 materiali appartenenti alla famiglia delle ceramiche refrattarie dotati di conducibilità elettrica.

In particolare il carburo di tantalio TaC ha una durezza superiore a quella del diamante che viene usato come additivo per leghe di carburo di tungsteno, utensili e attrezzi da taglio.

Il tantalio viene utilizzato nei computer portatili, cellulari, macchine fotografiche digitali, sistemi ABS nelle autovetture, pacemaker, ferri chirurgici, impianti chimici per la sua resistenza alla corrosione e inerzia chimica I condensatori elettrolitici al tantalio in cui il metallo è usato sotto forma di ossido sono caratterizzati da efficienza volumetrica elevata e stabilità nel tempo e in temperatura. L’ossido di tantalio viene usato inoltre per vetri ad alto indice di rifrazione.

 


Schermo dello smartphone che si autoripara

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La ricerca di materiali innovativi, dotati di particolari proprietà da utilizzare nei campi più svariati, ha pervaso l’umanità fin dalla preistoria.

La scoperta di nuovi materiali ha condizionato lo sviluppo della società favorendo il progresso ad iniziare dal bronzo fino ai polimeri e ai materiali in 2D.

Di recente è stato presentato alla American Chemical Society un lavoro rivoluzionario che potrebbe avere, nei prossimi anni, applicazioni al limite dell’immaginazione.

Un team di ricercatori dell’Università della California e dell’Università del Colorado coordinato dal chimico Chao Wang ha ottenuto un nuovo materiale trasparente, estremamente elastico, conduttore di elettricità che ha la caratteristica di autoripararsi una volta rotto che potrebbe essere sfruttato per il touch screen.

Il materiale costituito da un polimero estensibile e un sale ionico in cui è presente un legame ione- dipolo che può “ricucirsi” in meno di 24 ore sfruttando l’attrazione tra ioni e molecole polari.

Questo materiale potrebbe quindi risolvere l’annoso problema della rottura dello schermo dello smartphone che comporta elevati costi per la riparazione oltre che alla rinuncia per svariati giorni dell’accessorio che è diventato praticamente insostituibile.

Gli scienziati sono partiti dal presupposto che i legami covalenti sono forti ma non si ripristinano una volta rotti mentre gli altri legami come, ad esempio il legame a idrogeno è più debole ma può riformarsi: ad esempio il legame a idrogeno è il legame intermolacolare presente nelle molecole di acqua e si rompe e si riforma in modo dinamico. Sebbene esistano polimeri che si autoriparano formano legami a idrogeno o legami di coordinazione ma non sono adatti per essere utilizzati nei conduttori ionici.

I ricercatori hanno quindi appuntato la loro attenzione a un tipo di legame diverso ovvero un’interazione ione-dipolo che si verifica tra ioni e molecole polari che non era mai stato preso in considerazione nella realizzazione di polimeri che si autoriparano.

Si è quindi considerato un polimero estensibile costituito da fluoruro di polivinilidiene-esafluoropropilene di tipo polare

polimero

e da un sale ionico che stabilisce con il polimero interazioni ione-dipolo.

Il nuovo materiale ottenuto conduttore di elettricità può allungarsi 50 volte rispetto alla sua dimensione iniziale ed è in grado di autoripararsi entro un giorno.

La ricerca ora si rivolge all’ottimizzazione del materiale manipolando i legami covalenti presenti e testandolo in particolari condizioni come la presenza di particolare umidità.

Coltan: il costo dei cellulari

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Con il termine coltan si indica una miscela di columbite e tantalite minerali che contengono rispettivamente ossidi di niobio il cui nome antico era columbio e di ossidi di tantalio.

Il tantalio è un elemento raro e scarsamente disponibile che viene utilizzato nella realizzazione di condensatori al tantalio caratterizzati da efficienza volumetrica elevata e stabilità nel tempo e in temperatura per il mondo dell’elettronica ed in particolare negli smartphone per ottenere componenti miniaturizzati.

Stante la domanda sempre crescente di dispositivi elettronici ed in particolare di telefoni cellulari i paesi in cui sono presenti giacimenti di coltan o di tantalite godono di un’incredibile fonte di ricchezza.

Il coltan si trova in alcuni paesi come l’Australia, il Brasile e il Canada ma anche in nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo in cui si perpetua una terrificante violazione dei diritti umani.

Nelle miniere lavorano in uno stato disastroso donne e bambini in condizioni di sfruttamento e riduzione alla schiavitù in cambio di salari irrisori e spesso i bambini vengono sottratti alle loro famiglie e costretti a lavorare gratis.

I piccoli corpi dei bambini che a volte hanno solo 5 anni costituiscono un valido mezzo di accesso ai punti più angusti e impervi delle miniere ed è su di essi che si attua un vero e proprio crimine. Costretti a lavorare per 15 ore di media al giorno e fino a 72 ore consecutive a mani nude la maggior parte dei bimbi che sopravvivono ai gas che si sprigionano e agli stenti non arrivano al compimento del trentesimo anno di età.

Il coltan contiene inoltre piccole quantità di uranio e quindi lavorando senza alcuna protezione si verificano anche negli adulti numerosi casi di tumore.

Il controllo delle zone minerarie che porta a guadagni immensi ha innescato una lotta tra fazioni di gruppi armati che si contendono i lauti guadagni e hanno interesse a mantenere una situazione di precarietà e violenza per poter affliggere con le loro angherie le popolazioni poverissime e inermi che subiscono i conflitti generati che sono costati negli ultimi decenni circa 5 milioni di morti.

Una volta estratto il coltan viene trasportato dalla miniera ai punti di raccolta e ciò avviene grazie ai “portatori” costretti a camminare a piedi per lunghi tratti con enormi carichi che portano a spalla e, a causa di queste condizioni disumane spesso muoiono di stenti o di incidenti lungo il percorso.

Si suppone inoltre che questo scempio avvenga con la connivenza delle forze governative corrotte ed in particolare dell’esercito.

Gli Stati Uniti d’America hanno vietato già dal 2010 alle industrie americane l’acquisto di coltan proveniente da zone in cui non vengono rispettati i diritti umani mentre l’Europa ha imposto dei limiti al suo acquisto. La Cina tuttavia, grazie al prezzo del coltan proveniente dal Congo che è inferiore di circa il 50% rispetto a quello proveniente da altri paesi continua a importare il minerale insanguinato che costa la vita a tante persone.

Alcune aziende meritorie hanno comunque deciso di produrre i loro smartphone in modo equo e solidale realizzando i loro componenti con materiali ottenuti rispettando i diritti dell’uomo.

Fin quando ci saranno acquirenti, tuttavia, il fenomeno in Congo continuerà e ciascuno di noi ha la sua parte di responsabilità.

Condividete questo articolo ed altri analoghi con la speranza che i cittadini del mondo possono essere sensibilizzati al problema e pretendano che gli smartphone siano provvisti di appositi certificati in cui vengano indicati con chiarezza i paesi di provenienza dei materiali con cui essi sono realizzati.

Concentrazione di ioni dopo la precipitazione

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Il principio su cui si basa l’analisi chimica qualitativa è la precipitazione di ioni presenti nel campione incognito e la successiva caratterizzazione.

Ad esempio solo gli ioni Ag+, Hg22+e Pb2+ precipitano in ambiente acido sotto forma di cloruri e quindi nella classificazione analitica costituiscono un gruppo. Da un punto di vista quantitativo è necessario conoscere, sulla base delle diverse solubilità dei sali, le concentrazioni degli ioni presenti dopo la precipitazione di uno dei due. Questo tipo di problema viene affrontato e risolto con l’ausilio dei prodotti di solubilità dei rispettivi sali poco solubili.

Vengono proposti alcuni esercizi che richiedono la valutazione delle concentrazioni degli ioni dopo che è avvenuta la precipitazione ed esempi analoghi che vengono risolti basandosi sullo stesso principio.

Esercizi

  • Ad una soluzione contenente ioni Cl e I a concentrazione 0.010 M viene aggiunto lo ione Ag+. Determinare: a) quale sale precipita per primo; b) la concentrazione dell’anione del primo precipitato quando inizia a precipitare il secondo. Kps(AgCl) = 1.6 ∙ 10-10 e Kps(AgI) = 5 ∙ 10-16

Dalla definizione di prodotto di solubilità risulta evidente che quando più piccolo è il valore di Kps tanto minore è la solubilità. Tuttavia è possibile, come nel nostro caso, confrontare direttamente tra loro le solubilità di due sali solo se essi hanno la stessa stechiometria mentre il confronto diretto dal valore del Kps non è possibile se i sali hanno stechiometria diversa ad esempio AB e AB2 per i quali non è possibile trarre conclusioni sulle loro solubilità relative dal semplice confronto dei loro Kps.

Alla luce di quanto detto dai valori dei due prodotti di solubilità possiamo dire che il sale meno solubile, quello che ha il valore di Kps più piccolo ovvero AgI è quello che precipita per primo.

All’equilibrio: [Ag+] = x e [I] = x + 0.010

Si può tuttavia trascurare x rispetto a 0.010 pertanto [I] ≈ 0.010 M

Sostituendo nell’espressione del prodotto di solubilità si ha:

Kps = 1.5 ∙ 10-16  = [Ag+][I] = [Ag+] (0.010)

Da cui [Ag+] = 1.5 ∙ 10-16/0.010 = 1.5 ∙ 10-14 M

La precipitazione di AgCl avviene quando il prodotto delle concentrazioni di Ag+ e di Cl uguaglia il prodotto di solubilità.

All’equilibrio: [Ag+] = x e [Cl] = x + 0.010

Si può tuttavia trascurare x rispetto a 0.010 pertanto [Cl] ≈ 0.010 M

Sostituendo nell’espressione del prodotto di solubilità si ha:

Kps = 1.6 ∙ 10-10  = [Ag+][Cl] = [Ag+] (0.010)

Da cui [Ag+] = 1.6 ∙ 10-10/0.010 = 1.6 ∙ 10-8 M

Quando il cloruro di argento inizia a precipitare la concentrazione dello ione ioduro è data da:

[I] = Kps/[Ag+] = 1.5 ∙ 10-16 / 1.6 ∙ 10-8 = 9.4 ∙ 10-9 M

  • Ad una soluzione contenente ioni Ca2+ e Sr2+ a concentrazione 0.10 M viene aggiunto solfato di sodio. Calcolare: a) la concentrazione dello ione solfato necessaria a far precipitare il sale meno solubile, b) la concentrazione dello ione solfato necessaria a far precipitare il sale più solubile, c) la concentrazione del catione del sale meno solubile quando inizia la precipitazione del sale più solubile. Kps(CaSO4 = 2.4 ∙ 10-5) e Kps(SrSO4 = 2.8 ∙ 10-7)

Poiché la stechiometria di entrambi i sali poco solubili è uguale il solfato di stronzio è il sale meno solubile avendo il valore di Kps più piccolo rispetto a quella del solfato di calcio e quindi precipiterà per primo.

All’equilibrio: [Sr2+] = x + 0.10 e [SO42-] = x

Si può tuttavia trascurare x rispetto a 0.010 pertanto [Sr2+] ≈ 0.10 M

Sostituendo nell’espressione del prodotto di solubilità si ha:

Kps = 2.8 ∙ 10-7 = [Sr2+][SO42-] = (0.10)[SO42-]

Da cui [SO42-] = 2.8 ∙ 10-7/0.10 = 2.8 ∙ 10-6 M che è la concentrazione dello ione solfato necessaria a far precipitare il sale meno solubile ovvero il solfato di stronzio

Analogamente si può calcolare la concentrazione dello ione solfato necessaria a far precipitare il solfato di calcio:

Kps = 2.4 ∙ 10-5 = [Ca2+][SO42-] = (0.10)[SO42-]

Da cui [SO42-] = 2.4 ∙ 10-5/0.10 = 2.4 ∙ 10-4 M che è la concentrazione dello ione solfato necessaria a far precipitare il sale più solubile ovvero il solfato di calcio.

Pertanto quando inizia la precipitazione del solfato di calcio la concentrazione dello ione stronzio può essere ottenuta conoscendo la concentrazione del solfato:

Kps = 2.8 ∙ 10-7 = [Sr2+][SO42-] = [Sr2+]( 2.4 ∙ 10-4)

Ovvero [Sr2+] = 2.8 ∙ 10-7/2.4 ∙ 10-4 =  1.2 ∙ 10-3 M

Niobio

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Il niobio è un metallo di transizione appartenente al Gruppo 5B e al 5° Periodo avente configurazione elettronica [Kr] 4d4 5s1.

La scoperta del niobio è intimamente connessa a quella del tantalio sia perché i due metalli sono in genere presenti negli stessi minerali, sia perché la loro separazione è particolarmente difficile a causa del loro comportamento analogo.

Nel 1802 il chimico britannico Charles Hatchett nell’ambito dei suoi studi sui minerali esaminò un campione inviato dal Connecticut e riscontrò l’esistenza di un nuovo elemento per il quale suggerì il nome di columbio in quanto proveniente dall’America e lo stesso minerale prese il nome di columbite.

L’anno successivo il chimico svedese Anders Gustaf Ekeberg scoprì il tantalio che presentava proprietà simili all’elemento scoperto in precedenza. Fu solo dopo molti studi che nel 1846 il chimico tedesco Heinrich Rose comprese che nelle rocce esaminate oltre al tantalio era presente un altro elemento a cui fu dato il nome di niobio dal personaggio mitologica Niobe, figlia di Tantalo.

Il niobio, metallo di colore grigio, tenero e duttile ha, come il tantalio, numeri di ossidazione +5, + 4, + 3, + 2, + 1, −1, −3  e il numero di ossidazione più stabile è +5.

Come il tantalio anche il niobio reagisce a caldo con gli alogeni dando alogenuri di niobio in cui esibisce il numero di ossidazione +5; il pentafluoruro di niobio NbF5 è di colore bianco, il pentacloruro di niobio NbCl5 è di colore giallo, il pentabromuro di niobio NbBr5 è di colore arancione mentre il pentaioduro di niobio NbI5 è di color oro.

Come il tantalio anche il niobio non reagisce con l’aria e con l’acqua in condizioni normali in quanto tende a ricoprirsi di un sottile film di ossido di niobio Nb2O5.

Il pentossido di niobio costituisce il precursore di molti composti del niobio.

Tra gli ossidi di niobio, oltre al pentossido vi è il biossido NbO2 in cui il niobio ha numero di ossidazione + 4 e può essere ottenuto per idrogenazione del pentossido a temperature superiori a 800°C.

Il biossido di niobio è un buon agente riducente in grado di ridurre il biossido di carbonio a carbonio e il biossido di zolfo a zolfo.

Oltre al triossido di niobio Nb2O3 in cui il niobio ha numero di ossidazione +3 il niobio forma anche il monossido di niobio NbO in cui ha il niobio ha il numero di ossidazione più raro +2. Quest’ultimo viene ottenuto in un forno elettrico ad arco dalla reazione tra pentossido di niobio e niobio secondo la reazione di comproporzione:

Nb2O5 + 3 Nb → 5 NbO

Facendo reagire il pentossido di niobio con NaOH a 200°C si ottengono il niobiato di sodio NaNbO3 mentre il niobiato di litio largamente utilizzato nel campo delle telecomunicazioni in quanto è un buon materiale per la produzione di apparecchi generatori di onde acustiche di superficie viene ottenuto dalla reazione del pentossido di niobio con il carbonato di litio.

Il niobio forma seleniuri come il seleniuro di niobio (IV)  usato come lubrificante alle alte temperature e mostra una conducibilità elettrica maggiore della grafite. Il seleniuro di niobio (VI) NbSe3 esibisce superconduttività a 2 K e, a causa della sua struttura, della sua alta conducibilità e dell’elevata densità gravimetrica può essere usato quale catodo nelle batterie ricaricabili al litio.

Tra i composti del niobio vi è il carburo di niobio NbC  materiale ceramico refrattario estremamente duro, resistente alla corrosione commercialmente utilizzato negli utensili da taglio.

Altro composto di interesse è il nitruro di niobio NbN che a circa 16 K diventa un superconduttore ed è usato nei rivelatori a luce infrarossa.

Il fosfuro di niobio NbF è usato come semiconduttore nei diodi laser

Il niobio viene utilizzato nella produzione di acciai inossidabili speciali che, per le loro caratteristiche, vengono usati nell’industria automobilistica.

Circa il 75% del niobio viene utilizzato per la produzione di acciai microlegati che hanno un alto limite di snervamento per formatura a freddo e piegatura e caratteristiche meccaniche più elevate rispetto ai tradizionali acciai da stampaggio.

In lega con nichel, cobalto e ferro, il niobio viene usato per ottenere leghe resistenti per componenti di motori a reazione, turbine a gas e comunque per dispositivi che devono essere resistenti alle alte temperature.

Una lega di particolare interesse è quella niobio titanio dalle particolari proprietà superconduttive che trova applicazione nei magneti superconduttori.

Gli ossidi di niobio, inoltre, aggiunti ai catalizzatori in piccole quantità migliorano l’attività catalitica, la selettività e prolungano la vita del catalizzatore.

Materiali in 2D: MX-eni

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La scoperta del grafene avvenuta nel 2004 che valse ai fisici Andrej Geim e Konstantin Novoselov il Premio Nobel per la fisica nel 2010 ha costituito uno spartiacque che ha aperto nuovi orizzonti nel campo della ricerca.

La comunità scientifica ha infatti immediatamente compreso le potenzialità del nuovo materiale e si è attivata nello studio delle sue applicazioni soprattutto nel campo dell’elettronica ma non mancano continue scoperte per la sua applicazione nel campo delle celle solari, inchiostri high tech per stampare circuiti, possibilità di potabilizzazione dell’acqua di mare.

Il grafene è divenuto inoltre il materiale rappresentativo di una classe di nuovi materiali 2D che hanno proprietà innovative che consentono la fabbricazione di nuovi dispositivi di piccolissime dimensioni e dotati di enormi potenzialità.

Nel 2011 il Prof. Michel Barsoum ingegnere dei materiali e ricercatore presso la Drexel University di Philadelphia e il suo team nell’ambito delle ricerche sugli anodi ad alte prestazioni da utilizzare nelle batterie al litio.

Essi sfruttarono le loro conoscenze su una classe di composti conduttori ovvero carburi e nitruri noti con l’acronimo di MAX dove M sta per metallo di transizione come niobio, cromo, vanadio e titanio, A sta per un elemento del  gruppo 13 o del gruppo 14 come alluminio e silicio e X sta per carbonio o azoto per migliorare la capacità degli ioni litio di inserirsi reversibilmente all’anodo durante i processi di carica e scarica.

Per favorire l’inserimento di ioni litio fu utilizzato acido fluoridrico al fine di allontanare in modo selettivo gli atomi di alluminio da Ti3AlC2 e da altri MAX.

Il processo, se da un lato migliora le prestazioni delle batterie, dall’altro è in grado di allontanare totalmente l’alluminio e di ottenere monostrati in 2D come il grafene con formula M3X2 ma possono essere ottenuti anche M2X, e M4X3 ed altri materiali; ad esempio è stata dimostrata la formazione di Ti2C, Ta4C3,Ti3CN.

A tale famiglia di materiali è stato dato, in assonanza con il grafene il nome di MX-eni e, ad oggi sono stati preparati circa 30 MX-eni sebbene si ritenga che se ne possano ottenere molti altri.

Il team, che rimane quello più all’avanguardia, ha ideato un metodo per ottenere polimeri compositi MX-ene che si presentano conduttori di elettricità, forti, flessibili e duraturi.

Sono stati inoltre di recente sintetizzati MX-eni contenenti due metalli di transizione del tipo M’2M”C2 o M’2M”2C3 dove M’ e M’’ sono due metalli di transizione.

La famiglia degli MX-eni trova numerose applicazioni oltre alle batterie al litio e al sodio: sono utilizzabili tra l’altro come sensori di gas, fotocatalizzatori, nella purificazione delle acque e quali schermanti delle interferenze elettromagnetiche da utilizzare negli Smart phone e in altre apparecchiature. Sono allo studio le proprietà antibatteriche degli MX-eni che mostrano una maggior efficienza nel diminuire l’attività batterica cellulare rispetto all’ossido di grafene.

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