
L’astato è l’elemento chimico con simbolo At, numero atomico 85 e configurazione elettronica [Xe] 4f¹⁴ 5d¹⁰ 6s² 6p⁵. Appartiene al gruppo 17 della tavola periodica, ovvero agli alogeni, e si colloca sotto lo iodio. È un elemento estremamente raro, radioattivo e instabile, tanto che per lungo tempo è rimasto uno dei meno conosciuti della tavola periodica.
Il nome astato deriva dal greco ἄστατος, che significa instabile, a testimonianza della sua natura altamente radioattiva, un nome quanto mai appropriato per un elemento i cui isotopi hanno emivite molto brevi e che non si accumula in natura in quantità apprezzabili. La sua esistenza fu a lungo solo ipotizzata, e per molti anni rimase uno degli elementi più elusivi, tanto da essere considerato “il meno conosciuto della tavola periodica”.
L’astato fu predetto da Dmitrij Mendeleev come l’elemento mancante sotto lo iodio, con il nome provvisorio di eka-iodio. Fu ottenuto per la prima volta nel 1940 da Dale R. Corson, Kenneth Ross MacKenzie e Emilio Segrè, bombardando il bismuto-209 con particelle alfa.
La difficoltà nello studio dell’astato non è soltanto teorica infatti la sua produzione richiede reazioni nucleari altamente specifiche, la sua manipolazione deve essere condotta in ambienti schermati e controllati, e la sua brevissima persistenza lo rende un materiale quasi inafferrabile.
Proprietà chimiche e fisiche dell’astato
L’astato, pur appartenendo alla famiglia degli alogeni, presenta una serie di peculiarità che lo distinguono nettamente dai suoi omologhi come fluoro, cloro, bromo e iodio. Il comportamento chimico dell’astato è fortemente influenzato dalla sua radioattività, che limita non solo le possibilità di sperimentazione ma anche la stabilità delle sue specie chimiche.

Dal punto di vista fisico, si stima che l’astato sia un solido a temperatura ambiente, probabilmente con un aspetto metallico o semimetallico, anche se non si è mai riusciti ad osservare una quantità macroscopica dell’elemento. Le proprietà fisiche fondamentali come punto di fusione, punto di ebollizione, densità o conducibilità elettrica non sono state misurate con certezza, ma calcoli teorici suggeriscono che l’astato potrebbe avere un punto di fusione intorno ai 302 °C e un punto di ebollizione stimato attorno ai 337 °C. La sua densità, dedotta per analogia con lo iodio e basata su modelli computazionali, sarebbe superiore a quella degli altri alogeni, collocandosi intorno ai 7 g/cm³.
La sua reattività chimica segue un andamento coerente con la tendenza degli alogeni, anche se più attenuata. Come per gli altri membri del gruppo 17, l’astato può formare composti in cui agisce come accettore di elettroni, dando luogo a specie come l’ione astaturo (At⁻). Tuttavia, la stabilità di questi composti è bassa, data la natura radioattiva dell’elemento, che tende a decomporsi rapidamente.
Una delle caratteristiche distintive dell’astato è la sua tendenza a comportarsi in modo intermedio tra un non metallo e un metallo ed è infatti in grado di formare legami covalenti ma anche di comportarsi come ponte fra specie ioniche e molecolari, soprattutto in soluzioni acquose.
A differenza degli altri alogeni, ha una bassa elettronegatività pari a circa 2.2 e può formare cationi, come At⁺ e At³⁺, oltre agli anioni classici come At⁻. In ambiente acquoso, l’astato può esistere in diverse forme di ossidazione, tra cui –1, +1, +3, +5 e +7. La specie At⁻ è quella ridotta, mentre AtO⁻, AtO₃⁻ e AtO₄⁻ rappresentano specie ossidate, alcune delle quali analoghe agli ioni dell’iodio come lo iodato (IO₃⁻) e il periodato (IO₄⁻). Tuttavia, l’instabilità dell’elemento rende queste specie estremamente difficili da isolare e caratterizzare, e la loro esistenza è spesso confermata solo indirettamente.

In condizioni normali, l’astato sembra avere una affinità particolare per le superfici metalliche, dove tende a depositarsi, probabilmente in forma atomica o sotto forma di composti debolmente legati. Questo comportamento può risultare utile per alcune applicazioni in radiochimica e medicina nucleare, dove la localizzazione del radionuclide è cruciale.
Origine naturale e formazione nei decadimenti radioattivi
Le tre serie naturali di decadimento radioattivo – serie dell’uranio-238, serie dell’uranio-235 e serie del torio-232 comprendono numerosi nuclidi instabili che decadono in catena fino a giungere a un isotopo stabile del piombo. Alcuni isotopi dell’astato si formano transitoriamente lungo queste catene, ma decadono molto rapidamente, rendendo la loro rilevazione e concentrazione naturale pressoché trascurabile.
Serie dell’uranio-235
In questa serie (nota anche come serie dell’attinio), l’astato-219 si forma come prodotto del decadimento alfa del francio-223:
223Fr → 219At + α
219At è estremamente instabile e ha una emivita di circa 56 secondi. Decade rapidamente per emissione alfa a bismuto-215:
219At → 215Bi + α
Serie dell’uranio-238
Nella serie dell’uranio-238 non vi è una produzione significativa di isotopi dell’astato. Tuttavia, reazioni secondarie indotte da neutroni o particelle alfa presenti in ambienti geologici ricchi di uranio possono occasionalmente dar luogo alla formazione di nuclidi di At, sebbene in modo sporadico e non sistematico.
Serie del torio-232
Anche nella serie del torio-232, i precursori dell’astato sono assenti nella catena diretta. Tuttavia, processi di attivazione nucleare secondaria nei depositi minerari contenenti torio possono condurre alla formazione di isotopi transitori di At, soprattutto in presenza di alta attività neutronica naturale.
Considerazioni geochimiche
La quantità naturale di astato è così ridotta che si è ipotizzato che in ogni istante siano presenti non più di poche decine di atomi per chilogrammo di minerale uranifero o torifero. A causa della sua estrema instabilità, l’astato non può accumularsi, e i suoi isotopi esistono solo come specie effimere, rilevabili talvolta tramite sofisticate tecniche spettroscopiche o traccianti radiochimici.
Produzione dell’astato
L’astato è uno degli elementi più rari e fugaci dell’intero sistema periodico: si stima che in tutta la crosta terrestre siano presenti meno di 25 milligrammi. Questa incredibile scarsità rende impraticabile qualsiasi forma di estrazione naturale, rendendo necessaria la sua sintesi artificiale in laboratorio.
In natura, l’astato si forma come prodotto secondario del decadimento di elementi più pesanti, in particolare attraverso le serie di decadimento dell’uranio e del torio. Tuttavia, gli isotopi così generati come l’astato-219 hanno tempi di dimezzamento brevissimi, dell’ordine di secondi o frazioni di secondo, e non raggiungono mai concentrazioni apprezzabili. Per queste ragioni, la produzione di astato avviene quasi esclusivamente per via artificiale, mediante reazioni nucleari controllate.
Il metodo più comune per ottenere astato è tramite bombardamento di bismuto-209 (²⁰⁹Bi) con ioni alfa costituiti da nuclei di elio in un acceleratore di particelle. Questa reazione nucleare produce l’isotopo astato-211, che ha un’emivita di circa 7.2 ore, uno dei più studiati e impiegati, attraverso il seguente schema:
209Bi + α → ²⁰⁹Bi + 2 n
Dopo la produzione, l’astato deve essere rapidamente separato dal bersaglio di bismuto mediante procedimenti di chimica radiologica, in condizioni controllate e schermate, per evitare contaminazioni radioattive. Le tecniche più comuni includono estrazione in fase liquida, cromatografia e sublimazione, a seconda delle specie chimiche in cui si trova l’elemento.
La complessità della sua produzione, unita alla necessità di infrastrutture avanzate come ciclotroni ad alta energia, rende l’astato un elemento accessibile solo a un ristretto numero di laboratori specializzati nel mondo. Tuttavia, l’interesse crescente per le sue applicazioni terapeutiche sta incentivando la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di sintesi e purificazione, che possano renderlo più disponibile per usi clinici.
Isotopi
L’astato è un elemento intrinsecamente radioattivo: non esiste alcun isotopo stabile, e tutti i suoi nuclidi conosciuti sono a vita breve, decadendo rapidamente tramite processi nucleari quali decadimento alfa, cattura elettronica o emissione di particelle β.

Fino a oggi, sono stati identificati più di 30 isotopi dell’astato, con numeri di massa compresi tra 191 e 223. Tuttavia, solo pochi di essi rivestono interesse pratico o scientifico, a causa delle loro brevissime emivite, che vanno da microsecondi a poche ore. Gli isotopi più leggeri (massa < 210) sono estremamente instabili, mentre quelli più pesanti tendono ad avere emivite sufficientemente lunghe da consentirne lo studio.
Tra tutti gli isotopi, ²¹¹At è il più rilevante, in particolare per le sue applicazioni in medicina nucleare. Presenta una emivita di circa 7.2 ore, un tempo sufficientemente lungo da permettere la sua manipolazione e il suo utilizzo clinico, ma breve abbastanza da garantire la rapida eliminazione dall’organismo dopo il trattamento.
Il ²¹¹At decade principalmente per cattura elettronica formando ²¹¹Bi o tramite decadimento alfa formando ²⁰⁷Bi. La percentuale più elevata di decadimenti avviene tramite cattura elettronica (≈58%), un processo che rilascia raggi X e particelle Auger, potenzialmente utili in ambito terapeutico.
Oltre al ²¹¹At, alcuni isotopi dell’astato sono oggetto di studio, tra cui ²¹⁰At che ha un’emivita ≈ 8.1 ore e presenta decadimenti multipli, ²¹³At con emivita di circa 125 ns ed è prodotto nel decadimento dell’actinio-225, ²¹⁹At che si forma naturalmente come prodotto intermedio nella serie di decadimento dell’uranio, ma ha una emivita brevissima di circa 56 secondi).
Alcuni isotopi come ²⁰⁰At o ²⁰²At, pur essendo sintetizzati in laboratorio, decadono quasi istantaneamente, rendendo impossibile ogni caratterizzazione chimica. La maggior parte degli isotopi dell’astato decade attraverso processi alfa, rilasciando energia considerevole e trasformandosi in isotopi di bismuto o polonio.
Composti
Nonostante la sua estrema rarità e l’elevata radioattività, l’astato è in grado di formare una varietà di composti chimici, in parte analoghi a quelli degli altri alogeni, ma con caratteristiche proprie che riflettono la sua natura unica. Tuttavia, l’instabilità intrinseca dell’elemento, e in particolare la breve emivita dei suoi isotopi, rende la caratterizzazione dei suoi composti una sfida che può essere affrontata solo con tecniche radiochimiche altamente specializzate.
L’astato può anche formare composti molecolari neutri, come l’astaturo di idrogeno (HAt), analogo all’acido iodidrico (HI). Tuttavia, HAt è estremamente instabile e tende a dissociarsi rapidamente. L’instabilità deriva non solo dal legame relativamente debole tra l’idrogeno e l’astato, ma anche dalla rapida decomposizione radiolitica dovuta all’attività dell’isotopo stesso.
Tra i composti più interessanti vi sono quelli in cui l’astato assume stati di ossidazione positivi, come +1, +3, +5 e +7. In particolare: In soluzione acida ossidante, l’astato forma lo ione AtO⁻, in cui l’elemento si trova nello stato di ossidazione +1.
Lo ione AtO₃⁻ (astatoato), che contiene l’elemento nello stato +5, è un analogo dello iodato (IO₃⁻) ed è ottenibile mediante ossidazione dell’astato in ambiente fortemente acido.
Il composto ipotetico AtO₄⁻, corrispondente allo stato +7, rappresenterebbe il massimo stato di ossidazione noto per l’elemento, ma la sua esistenza è supportata solo da evidenze indirette e studi teorici.
L’astato può anche formare composti con metalli, in particolare con cationi come argento, mercurio e tallio. In queste specie, l’astato agisce come legante anionico, comportandosi in modo simile a uno ione alogenuro.
Un esempio classico è l’astaturo di argento (AgAt), un solido ionico che, per analogia con lo ioduro di argento AgI, precipita facilmente da soluzioni contenenti At⁻ e ioni Ag⁺. Tuttavia, l’instabilità dell’At⁻ rende questi composti difficili da conservare o analizzare.
Va notato che la radioattività dell’astato non solo limita la durata dei composti, ma può anche alterarne direttamente la struttura chimica, e per questo motivo, la maggior parte delle informazioni sulla chimica di questo elemento proviene da analisi spettrali indirette, tecniche di separazione e simulazioni computazionali.
Applicazioni in medicina nucleare
Nonostante la sua rarità e la complessità nella produzione, ²¹¹At ha attirato l’interesse della comunità scientifica per le sue potenzialità terapeutiche in oncologia, in particolare nell’ambito della terapia mirata con radionuclidi. Le sue caratteristiche fisiche e radiologiche lo rendono uno dei candidati più promettenti per la cosiddetta terapia alfa mirata.
L’astato-211 è un emettitore puro di particelle alfa, con una emivita di circa 7.2 ore e una energia di decadimento elevata, sufficiente a indurre rotture doppie del DNA all’interno delle cellule tumorali. Le particelle alfa hanno un raggio d’azione molto limitato nei tessuti biologici (50–80 µm), corrispondente a poche decine di cellule. Questo comporta un elevato potere citotossico localizzato, con danni minimi ai tessuti sani circostanti.
Uno degli aspetti fondamentali per l’impiego clinico dell’astato-211 è la sua coniugazione con molecole vettore, capaci di riconoscere selettivamente le cellule tumorali. A questo scopo si utilizzano anticorpi monoclonali, peptidi specifici, molecole di piccole dimensioni legate a recettori cellulari
L’astato può essere legato chimicamente a questi vettori tramite appositi gruppi funzionali, generando radiofarmaci altamente selettivi. La sfida principale in questa fase è rappresentata dalla stabilità del legame astato-carbonio, poiché l’astato tende a dissociarsi facilmente, rendendo necessaria la progettazione di chelanti e sistemi di legame specifici.